«È la coscienza quella che ci limita»

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«È la coscienza quella che ci limita»

SICCIOLE | La pittrice accademica Fulvia Grbac, insegnante della Scuola media “Pietro Coppo” di Isola, è stata insignita del massimo riconoscimento per la categoria Design, arti applicate e illustrazione, al Concorso Istria Nobilissima 2018 intitolato a Romolo Venucci. Il suo libro d’artista “Welcome to Europe”, ha convinto la giuria con la tematica estremamente attuale, ma anche la grande qualità e la tecnica grafica dell’artista. L’insieme ha un enorme impatto visuale sull’osservatore, dovuto al notevole spirito critico dell’autrice.

Fulvia Grbac lavora nelle istituzioni italiane da 28 anni. Non appena laureatasi all’Accademia delle Belle arti di Venezia, inizia a insegnare materie artistiche presso la Scuola elementare “Dante Alighieri” di Isola. Da allora ha sempre insegnato, in quasi tutti gli istituti della Comunità Nazionale Italiana della fascia costiera slovena. Ma il suo raggio d’azione si estende ben oltre le aule scolastiche: collabora, infatti, con varie Comunità degli Italiani, nello specifico con la “Pasquale Besenghi degli Ughi” di Isola e la “Giuseppe Tartini” di Pirano, dove svolge laboratori artistici per bambini di fasce d’età differenti. A Isola è responsabile del corso di pittura per adulti. Da ormai 10 anni, grazie al sostegno della CAN di Isola, in estate i bambini hanno la possibilità di trascorrere parte delle vacanze all’insegna della creatività con Fulvia Grbac. È attiva nell’Associazione artistica “Insula” e assieme a due collaboratrici gestisce il club artistico “Folart”, punto di ritrovo per diversi ambiti e sede del suo atelier.

Amante del teatro kamishibai

Attraverso la grafica, la sua forma d’espressione, è entrata nel mondo del teatro kamishibai, una forma di narrazione di origine nipponica basata sul teatrino di carta. Nell’ambito di quest’ultimo è stata ospite al Cesena Comics e ha partecipato, l’anno scorso, al simposio mondiale del kamishibai, tenutosi a Lubiana. Ha fatto, inoltre, parte del team che ha tentato di battere il record mondiale di rappresentazioni kamishibai, che ha contato poco meno di 800 performance in un giorno a livello nazionale. A giugno sarà protagonista di una mostra alla galleria “Herman Pečarič” di Pirano. Un’artista completa, prolifica e senza confini, che ha sentito il bisogno di esternare la propria visione dei limiti attraverso la sua arte.

Che cosa rappresenta l’opera premiata, “Welcome to Europe”?

“Con le stampe che ho fatto in xilografia volevo rappresentare uno stato d’animo. In primo luogo, mi dà fastidio il concetto del confine e del limite imposto da qualcun altro. A poter limitare un individuo è soltanto la coscienza di ciascuno. Abito a Sicciole e il filo spinato si trova nelle vicinanze. Lo trovo assurdo, innaturale. Rappresenta la stupidità umana, va a rovinare ulteriormente i rapporti interpersonali, è incivile. Ci stiamo allontanando da quegli ideali europei che tanto abbiamo voluto, invece di velocizzare il processo per l’abbattimento del confine, lo stiamo rafforzando. L’artista sloveno Lojze Spacal mi aveva insegnato a parlare con l’arte di ciò che si vede e si conosce: queste sono le scene che io vedo da casa mia e non posso non esprimermi a riguardo”.

Il filo spinato e le migrazioni

Si tratta di un libro d’artista con sole grafiche, come mai?

“Nonostante sia un libro senza parole, credo dica anche più di quel che serve. È presente il contrasto tra il paesaggio naturale e il filo spinato, che trovo, ripeto, innaturale. Per metterlo è stato rovinato anche il bosco, intervenendo su diversi chilometri. Alla fine anche l’essere umano è natura, ma ce lo dimentichiamo troppo spesso”.

Qual è il suo punto di vista sul fenomeno della migrazione?

“La migrazione non si ferma con il filo spinato. Possiamo soltanto organizzare un modo migliore per gestire la situazione. Sembra che tutti i problemi dell’Unione europea abbiano origine dalla migrazione, ma è solo un modo per sviare l’attenzione da altre questioni”.

Ha partecipato a varie edizioni di Istria Nobilissima, portando a casa numerosi premi. Come fa a decidere quale opera sarebbe adatta al concorso?

“Quando sento che un’opera è riuscita particolarmente bene, mi viene naturale pensare di mandarla a qualche concorso. La tematica del filo spinato mi è sembrata adatta per l’attualità, ma anche per la nostra realtà che io vedo senza confini. La categoria Design, arti applicate e illustrazione poi, accetta progetti particolari che non sono rigorosamente di pittura o grafica, perciò mi sono decisa a partecipare. Sono davvero contenta che la Commissione abbia capito e apprezzato il mio lavoro. Le immagini erano più numerose di quelle che alla fine ho incluso nel leporello, visto che si tratta di un’opera su cui lavoravo da tempo”.

Ci illustri il contenuto di alcune immagini…

“Nel complesso sono immagini di vita, che, nonostante tutto, continua da entrambe le parti del filo spinato, ma ne viene afflitta. In una delle xilografie mi sono ispirata alla fotografia di Srdjan Živulović, fotografo sloveno, che nel 2016 ha vinto il premio Pulitzer. Nel suo scatto ritrae gli immigrati in arrivo alla periferia di Brežice e mostra l’esodo e il colpo di scena della politica che taglia la vita”.

Rispetto alle forme d’incisione che adopera nella sua produzione, come mai stavolta ha optato per la xilografia?

“In ‘Welcome to Europe’ ho usato la xilografia perché la trovo consona alle mie corde, è d’impatto, s’adopera spesso per raccontare. Altrimenti uso tutte le tecniche incisorie in base alle necessità. È un processo impegnativo. Il solo processo di realizzazione è durato dieci giorni circa, sembra poco, ma parlo di dieci giorni di lavoro dalla mattina alla sera, spesso fino a tarda notte. Il progetto l’ho realizzato nello studio di stampa dell’Opificio della Rosa, presso Montefiore Conca”.

Quali sensazioni vorrebbe suscitasse “Welcome to Europe” nello spettatore?

“Tutte le immagini invitano a porsi delle domande e interpretarle a modo proprio. Sono in bianco e nero, d’impatto, con l’eccezione di due dettagli rossi, uno sotto forma di una goccia di sangue. Chi l’avrà lasciata? Verrà capito sfogliando il leporello. Spero sia questo il messaggio giusto. Altrimenti nelle opere ci metto qualcosa di personale, mi esprimo su un pensiero o un fatto accaduto e lo inserisco in quello che sto creando. A questo punto è come se il prodotto non mi appartenesse più, comincia a vivere una seconda vita dell’opera che non posso dirigere”.

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