«Igor x Moreno» e la danza che trasmette sensazioni

A colloquio con i membri del collettivo che ha trascorso dieci giorni nel capoluogo quarnerino per preparare il progetto «Karrasekare» ispirato al Carnevale

0
«Igor x Moreno» e la danza che trasmette sensazioni
Moreno Solinas e Igor Urzelai. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

La compagnia “Igor x Moreno”, fondata da Igor Urzelai and Moreno Solinas, che solitamente prepara i suoi progetti a Sassari, ha accettato l’invito della Casa croata di Cultura (HKD) di Sušak e del suo direttore Edvin Liverić, di trascorrere dieci giorni a Fiume per preparare una parte del lavoro “Karrasekare” nella grande sala dell’HKD e concretizzare la parte tecnica dello spettacolo, in modo da riportarlo a Fiume l’anno prossimo, con ogni probabilità nel mese di maggio. “Karrasekare” debutterà il 4 e 5 novembre a Roma, al Festival “Romaeuropa” e poi partirà in tournée, facendo tappa anche a Fiume.

Chi sono Igor e Moreno e come si legge il nome del collettivo?
Moreno: “Noi lo leggiamo ‘Igor e Moreno’, ma l’idea di usare una ‘ics’ deriva dal fatto che la compagnia si è formata a Londra, ma poi ci siamo trasferiti a Sassari, in Sardegna, ma lavoriamo anche in Spagna perché Igor è basco. Quindi abbiamo usato la ‘ics’ in sostituzione alle varie congiunzioni nelle diverse lingue. Ci siamo conosciuti a Londra nel 2006 e abbiamo fatto gli studi insieme al Conservatorio ‘The Place’ a Londra. Lavoriamo insieme, dunque, dal 2006, ma i primi esperimenti risalgono al 2007”.

La compagnia “Igor x Moreno” non siete solo voi due?
Igor: “All’inizio pensavamo di mettere un segno ‘più’ tra i nomi, ma la ‘ics’ riflette la molteplicità del collettivo. I nostri nomi sono nel titolo perché noi due siamo la costante di tutti i progetti, però collaboriamo con molte più persone e tante sono diventate dei membri regolari del gruppo. Tra i membri che ci seguono ci sono alcuni interpreti, il produttore, il drammaturgo e altri con i quali ci conosciamo da una quindicina d’anni”.
Moreno: “Al momento sono sei le persone stabili nella nostra organizzazione, però abbiamo molti collaboratori e collaboratrici che si aggiungono per progetti specifici. Siamo aperti a collaborazioni nuove e infatti in questo progetto che stiamo preparando a Fiume ci sono molte facce nuove, quasi tutte le interpreti, di cui quattro sono alla prima collaborazione con noi, il compositore Edoardo Robert Elliot, il lighting designer Joshua Harriette e poi abbiamo un nucleo che prosegue e si modifica piano piano”.

Qual è la vostra peculiarità in senso artistico?
Moreno: “Direi che il corpo è sempre centrale nei lavori, come pure l’azione e l’estensione del corpo, come ad esempio la voce. La voce è uno strumento che usiamo molto, la voce cantata, ma anche gridata. Sicuramente c’è un gusto per creare dei flussi, dei viaggi per il pubblico e ci è capitato spesso di lavorare con elementi che hanno a che fare con le ripetizioni, con la resistenza. Quindi generalmente ci piace avere un approccio molto fisico e generare un senso di trasformazione attraverso la ripetizione e la perseveranza. Questa è una cosa che è presente in molti lavori, proprio come una relazione molto diretta con il pubblico. Rispetto ad una delle convenzioni della danza, che è quella che avviene in uno spazio separato dal pubblico, tendenzialmente i nostri lavori sono molto in connessione con il pubblico, abbiamo spesso uno sguardo diretto al pubblico e ci piace giocare con la presenza effettiva del pubblico”.
Igor: “Non facciamo lavori partecipativi, nel senso che non coinvolgiamo il pubblico, però ci piace sentire e far sentire che stiamo condividendo lo spazio”.
Moreno: “Ci sono strategie diverse a seconda dello spazio. In alcune sale è molto più semplice ‘bucare’ la quarta parete. Quando siamo a teatro ci capita spesso la possibilità di portare la luce sul pubblico, quindi mettere il pubblico in una condizione in cui non si sente protetto dal buio, ma in realtà sa di essere osservato. Spesso ci capita di includere dei momenti negli spettacoli in cui il pubblico sa di essere osservato. Se una persona, ad esempio, mi sorride, io sorrido di risposta”.
Igor: “Ci piace giocare anche con la fisicità del suono perché attraverso il suono lo spettatore si ricorda del suo stesso corpo. Con lo stesso scopo usiamo anche la ripetizione”.

C’è un messaggio che volete trasmettere al pubblico?
Moreno: “Stavamo parlando di questo tema col drammaturgo, che è la persona che ci pone sempre domande di questo tipo e siamo giunti a due risposte. La prima è che comunichiamo attraverso l’azione e l’immagine e quindi ci curiamo che tutto ciò che mettiamo in scena risuoni nel mondo. Ad esempio il modo in cui le interpreti e gli interpreti vengono rappresentati in scena. Ci piace portare avanti estetiche queer e dare un senso del tipo di identità che speriamo possa essere presente nel mondo. Proviamo, dunque, noi per primi a metterlo in scena. La seconda risposta che mi viene da dare è che non c’è mai realmente un messaggio. Nel senso che non c’è niente che vogliamo dire attraverso la danza. Quello che la danza fa molto bene è calare il pubblico in una sensazione e dunque cerchiamo di sorprendere, creare o allentare la tensione, dare un senso di conforto, un senso di tenerezza. Tendiamo a lavorare molto più con sensazioni che stiamo provando a generare per il pubblico piuttosto che trasmettere un messaggio già formulato. I nostri mezzi espressivi sono il ritmo, la qualità, la tensione tra le persone in scena. Vogliamo portare il pubblico in questi posti dove a livello emotivo ci si può spostare”.
Igor: “Sono percorsi anche estetici che secondo noi sono spesso la dinamica trainante della danza. I messaggi ci sono, ma sono astratti e sono legati alle sensazioni e all’immaginazione. In quasi tutti i lavori la parola chiave è ‘catarsi’, ma pensata come nel teatro greco antico. Anche quando non esiste una morale abbiamo il sollevamento di un peso e un’apertura emotiva, una permeabilità che ci permette di stare assieme meglio”.

L’effetto sul pubblico è sempre quello descritto?
Igor: “Prendo come esempio il lavoro che abbiamo fatto a Fiume l’anno scorso, ‘Idiot-Syncrasy’, le interpretazioni sono sempre diverse però l’essenza è sempre la stessa. In alcuni Paesi l’hanno interpretato come lavoro capitalista, in altri posti vi hanno letto messaggi differenti, ma la sensazione provata è sempre la stessa perché quello che è universale per l’uomo è il corpo. Le culture possono essere diverse, ma tutti i corpi sentono alla stessa maniera”.
Moreno: “Noi creiamo gli spettacoli sapendo di poter fare solo la metà del lavoro, perché l’altra metà la farà il pubblico. Ci può essere un’intenzione da parte nostra di scaldare il pubblico, ma se poi quel pubblico non si scalda noi non ci prendiamo la responsabilità totale. Proviamo a tenerci aperti al fatto che noi diamo questa offerta, ma sta allo spettatore a prenderla o meno. La reazione non dà e non sottrae valore a ciò che facciamo”.

Cosa state preparando adesso?
Moreno: “Stiamo facendo un lavoro che è molto contemporaneo, ma allo stesso tempo guarda molto all’antico. Il progetto ‘Karrasekare’ prende spunto dai carnevali pagani e in generale il folk e le tradizioni tendono a ispirarci molto perché utilizzano delle strutture molto semplici che si connettono con i ritmi biologici del corpo. Tutti quanti sappiamo cosa significa avere una pulsazione e tutti i corpi umani quando sentono una pulsazione si sincronizzano”.
Igor: “Puoi avere o meno le gambe, la vista o la voce, però tutti abbiamo un cuore che batte. Anche il respiro si sincronizza e se siamo in uno spazio condiviso giochiamo con questi elementi per unirci in una sola pulsazione, un solo ritmo biologico”.

Cosa vuol dire «Karrasekare»?
Moreno: “La parola è uno degli ‘spelling’ della parola ‘carnevale’ in sardo. Ci sono delle connessioni forti tra i carnevali sardi, quelli baschi, ma anche quello di Fiume. Ad esempio la campana scacciava l’inverno e risvegliava la terra. Anche l’orso è un animale ricorrente. Abbiamo studiato queste tradizioni popolari e per puro piacere personale ogni anno partecipiamo ad uno di questi carnevali. Diciamo dunque che è una nostra passione a prescindere da questo lavoro, però l’idea non è stata di prendere e riprodurre questi rituali, ma cerchiamo di lasciare che questi rituali ci attraversino per creare un’esperienza teatrale che abbia le tempistiche e le logiche di uno spettacolo teatrale e che generi non tanto le immagini, ma l’energia del carnevale. ‘Karrasekare’ ti cala in questo inverno, nella lentezza e nella tristezza, per poi scaldarti e presentarti dei rituali, della danza e dei canti che si formano e che hanno degli elementi ripetitivi. Lo spettatore viene portato ad uno stato alterato o comunque diverso da quello della quotidianità. Credo che siamo riusciti ad attualizzare questi carnevali, perché non abbiamo usato maschere specifiche, ma ci siamo lasciati ispirare dalle maschere tradizionali per fare pezzi di scenografia o abiti”.
Igor: “Ci sono tanti elementi molto belli nel carnevale ed è stato difficile abbandonare le maschere, ma non siamo voluti entrare negli elementi per così dire ‘culturali’ di ogni singola regione. Siamo andati a ritroso e abbiamo investigato qual è l’essenza di queste tradizioni, come ad esempio il ritmo e la trasformazione, una sorta di rito di passaggio”.

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display