Kamov, Grum e i «Parassiti» della mente umana

Lo spettacolo ibrido, ispirato alle opere in prosa dei due autori, ha debuttato all'Exportdrvo nella serata di venerdì

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Kamov, Grum e i «Parassiti» della mente umana
Qui e sotto, alcuni momenti dello spettacolo. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

La bellezza del teatro contemporaneo è che non si limita a portare in scena i generi teatrali più comuni, come ballo, arte drammatica, opera e musica, ma spesso li unisce superando le limitazioni di ciascuno di loro. Lo spettacolo teatrale di danza “Parassiti”, diretto e coreografato da Natalija Manojlović Varga, basato sui motivi delle opere di Janko Polić Kamov e Slavko Grum, è il risultato della coproduzione tra il Dramma croato del TNC “Ivan de Zajc” e il Teatro della danza di Lubiana e ha debuttato all’Exportdrvo di Fiume presentando al pubblico un originale miscuglio di danza, recitazione, musica e letteratura. Il progetto, ispirato alle opere di due poeti “maledetti” e dimenticati dalla storia e riscoperti a molti decenni dalla morte, il fiumano Janko Polić Kamov e lo sloveno Slavko Grum, entrambi attivi all’inizio del Novecento, ha un grande potenziale espressivo in quanto entrambi gli autori hanno rivelato alcuni aspetti della psiche umana che fino ad allora erano stati sottovalutati.

L’autenticità dei costumi
Alla base della messinscena c’è un uomo che prende in affitto una camera il cui affittuario precedente è scomparso, probabilmente assassinato. Anche se la scenografia (di Ana Rahela Klopčič) è scarna, composta in pratica da una costruzione in legno che funge da porta, finestra e armadio, i costumi tipici della fine del XIX secolo (pensati da Aleksandra Ana Buković e realizzati nei laboratori dello Zajc) fanno fare allo spettatore un balzo nel passato. Sembra quasi di guardare uno spettacolo che racconta il romanzo “Delitto e castigo”, con un ambiente squallido e malsano nel quale vive un letterato estremamente povero, che viene colpito non solo da una serie di malanni fisici, ma anche disturbi mentali. Edi Ćelić, questo Raskolnikov di stampo fiumano/sloveno, impersona con grande maestria lo scrittore decadente che lotta con le sue allucinazioni, con i fantasmi della sua mente, i parassiti, appunto, che danno il titolo all’opera.

Molto movimento, poche parole
Questo “cabaret noir”, com’è stato definito dal Teatro fiumano, è un genere deludente per gli spettatori che si sono recati a teatro sperando di vedere uno spettacolo in senso classico. La narrazione e la recitazione sono secondarie e la maggior parte dell’azione scenica è composta dal ballo tra il personaggio principale e i suoi tre demoni. All’inizio lo scrittore li cerca, gli sembra di impazzire, ma col passare del tempo entrano in una sorta di simbiosi e imparano a coesistere e a ballare insieme. Quello che forse è un difetto di questo spettacolo è il fatto che la danza nella seconda parte della messinscena diventa fine a sé stessa, non trasmette alcun messaggio nuovo. Se all’inizio l’uomo cerca e lotta con i suoi demoni, a un certo punto il rapporto con loro smette di evolversi e si assiste a una sorta di danza moderna che più che un ballo sembra piuttosto un numero circense. È sicuramente da lodare, però, l’esecuzione, sia di Ćelić che dei tre ballerini, Jelena Lopatić, Deni Sanković e Andreja Brozović Adžić-Kapitanović, che hanno svolto un ottimo lavoro e hanno eseguito perfettamente una coreografia fisicamente molto impegnativa.

Tanti elementi che stonano
Quello che del progetto ha meritato un voto se non negativo, comunque molto basso, a parere di chi scrive, sono alcuni elementi sperimentali assolutamente non in sintonia con le opere e il pensiero degli scrittori decadenti ai quali si è ispirato lo spettacolo. Innanzitutto è poco chiaro il motivo per cui, in uno spettacolo che in quanto costumi resta fedele alla cultura e società del XIX secolo, a un certo punto la regista decide di far indossare al personaggio principale delle scarpe femminili col tacco. Non si sa se dietro ci sia un intento di provocazione, il desiderio di introdurre un elemento LGBT in un pezzo di carattere storico o se in questo modo lo spettatore venga spinto a cercare altre risposte, fatto sta che, a parere di chi scrive, questa scelta è assolutamente insensata. Un altro elemento sconcertante è la decisione di introdurre due o tre momenti umoristici in un progetto che è decisamente macabro e inquietante. Pensiamo ad esempio alle opere di Edgar Allan Poe, al loro carattere gotico e a quella che è stata definita “detective fiction”. Anche Janko Polić Kamov e Slavko Grum, nella descrizione della psiche umana e dell’ossessione con l’omicidio o il suicidio, non ricorrono mai all’umorismo, ma mantengono un approccio sofferente e cupo.

La pazzia come fonte d’ispirazione
Tirando le somme, dunque, l’idea di prendere due autori relativamente sconosciuti e portarli in scena per mostrare e descrivere i lati più oscuri della mente umana è un’ottima decisione, soprattutto se lo spettatore viene portato in quell’epoca storica, caratterizzata dalla tubercolosi, dalla povertà, dalle cimici, dai pidocchi e altri parassiti, ma anche dai disturbi mentali che venivano studiati dal contemporaneo Sigmund Freud, grazie a costumi autentici e alla narrazione di brani originali delle opere. Farlo distorcendo, alterando o deformando la loro visione della realtà e introducendo elementi incongrui, è un crimine contro la loro memoria. Ovviamente, alla fine, come avviene sempre nelle arti e dunque anche in quella teatrale, l’apprezzamento o meno del risultato è una questione di gusti. Alla sottoscritta lo spettacolo “Parassiti” non è piaciuto e a giudicare dall’applauso e dal numero di inchini alla fine della première, nemmeno il resto del pubblico fiumano ha mostrato troppo entusiasmo. È, però, un progetto che esula dai soliti schemi e che forse qualcuno troverà interessante proprio per il fatto che non si limita a seguire pedissequamente i soliti canoni.
Nello spettacolo sono stati usati i brani di compositori croati contemporanei come Margareta Ferek Petrić, Mirela Ivičević, Petar Obradović, Tena Ivana Borić, Davor Bobić e Gordan Tudor, eseguiti dal quartetto Papandopulo.

Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

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