Intervista a Gaetano Benčić: «Obiettivo qualità»

Il titolare del Settore Istituzioni della Comunità nazionale italiana e collaborazione transfrontaliera. «Desidero ribadire agli artisti, ai giornalisti, agli scrittori, a tutti gli operatori, che a noi non basta la bravura: ogni nostra azione deve saldarsi al patrimonio della nostra Comunità, in tutte le sue sfaccettature»

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Intervista a Gaetano Benčić: «Obiettivo qualità»
Foto: RONI BRMALJ

Dopo le elezioni del 2022, con la nomina avvenuta nel settembre scorso a Pola, Gaetano Benčić ha assunto un incarico a dir poco complesso in seno alla Giunta esecutiva dell’Unione italiana. Occuparsi di istituzioni della Comunità nazionale italiana in Croazia e Slovenia, del loro funzionamento, renderle quanto più efficienti e in sintonia con i tempi, non è cosa da poco. Se a questo si aggiunge pure la cooperazione transfrontaliera, allora si capisce che l’ambito di competenza e la responsabilità che ne derivano sono grandi.
Laureato in storia a Trieste, attualmente curatore del Dipartimento di archeologia del Museo del territorio parentino, ciò che colpisce di questo 45.enne di Torre (di cui è vicesindaco in quota Cni), è il sincero e profondo attaccamento alla nostra Comunità. Si ha l’impressione che ci metta l’anima. Progetta, ascolta, media le tante voci e le diverse anime che abitano la Cni e non ha paura del confronto. Anzi, lo considera un percorso fondamentale. Vorrebbe ripulire le istituzioni da certi retaggi del passato che frenano il loro sviluppo. Lo sa che non potrà realizzare in tutto e per tutto quello che ha in mente, ma non si scoraggia. Per lui è importante assicurare nuova linfa alle istituzioni e metterle nelle condizioni di operare in serenità. Il suo obiettivo è la qualità. E l’efficienza. Le cose effimere, come le definisce lui, non gli interessano, o non più di tanto. Vorrebbe riavvicinare tutti gli intellettuali che per, un motivo o l’altro, si sono allontanati dalla minoranza.

Guida un settore molto importante in seno alla Giunta esecutiva dell’Unione italiana, che è quello dei Rapporti con le istituzioni e collaborazione transfrontaliera. Come si presenta la situazione a circa un anno dall’avvio del suo mandato?
“Non credo che nell’arco di questo primo anno, ossia da quando sono entrato a far parte della Giunta esecutiva dell’Unione italiana e ho preso in mano questo Settore, siano avvenuti dei grossi cambiamenti in seno alle nostre istituzioni. Ci sono stati, però, degli assestamenti, e come Giunta stiamo preparando un piano di rilancio complessivo di tutte le istituzioni. Quando ho assunto questo mandato, ho riscontrato una situazione molto varia, con istituzioni che hanno alle spalle una lunga storia, molto solida, che fanno un lavoro certosino, ma al contempo affrontano anche delle situazioni di disagio”.

«Voglio occuparmi dei problemi»
“È su queste che mi sto focalizzando e le sto scoprendo gradualmente. Innanzitutto, è stato necessario intervenire perché determinati contratti stavano scadendo, sono stati rinnovati i Consigli d’amministrazione del Centro di ricerche storiche di Rovigno, dell’ente giornalistico-editoriale EDIT, sono stati fatti degli assestamenti all’Aia, l’agenzia informativa di Capodistria, concertati tra le diverse anime che formano la nostra Ui e la sua Assemblea. Il tutto è scaturito da una dialettica, anche in seno alla Giunta. Non sappiamo come si muoveranno questi Consigli d’amministrazione, si vedrà nell’immediato, ma si spera che aiutino le istituzioni a compiere una profonda analisi di quanto sta succedendo al loro interno.
La cosa più facile è occuparsi di quello che funziona, bisogna invece affrontare i problemi che esistono e risolverli. Il mio intento è dunque capire quali siano le difficoltà e cercare, con chi dirige queste istituzioni, di individuare delle soluzioni. L’Unione italiana non è solo la cassa che fa da tramite a elargizioni. La nostra istituzione madre dovrebbe indirizzare, dare consigli, confrontarsi con gli enti che ha fondato, di cui è cofondatrice o che finanzia. L’impressione è che ciascuno di questi enti viva, chi meglio chi peggio, concentrato sui propri problemi e i propri punti di vista”.

Foto: RONI BRMALJ

Si cerca una visione d’insieme
“Quello che manca è una visione d’insieme, che coinvolga Ui, scuole, comunità degli italiani e istituzioni: uno dei propositi sarà quello di dare maggior unità alle attività e orchestrazione tra le istituzioni. Questo non vuol dire che faranno tutti le stesse cose, perché sono nate per fare cose differenti, ma in alcuni momenti decisivi dovranno essere partecipi al processo di ricostruzione dell’Unione italiana. Processo necessario se vogliamo avere un futuro. Rinnovamento non significa soltanto cambiare lo statuto, che reputo sia indispensabile fare e anche farlo quanto prima, ma porre il nostro operato al servizio dei connazionali, essere proprio l’associazione che loro vorrebbero.
Basta vedere la partecipazione dei connazionali alle elezioni interne dell’Ui (avvenute il 26 giugno 2022, ndr), i risultati del censimento 2021 in Croazia e gli appelli che ci arrivano dall’interno delle nostre istituzioni, per percepire la disaffezione dei connazionali verso l’Unione. Se ci fosse un piano generale, grande, una visione, sarebbe tutto molto più facile. Certo che alle visioni bisogna anche sottostare. La visione ha un’idea, ha un proposito, va perseguita. A qualcuno piacerà di più, a qualcuno di meno, ma va perseguita. Questo è quello che io, come titolare, sostengo quando parlo alle istituzioni. E da singole persone che operano nelle istituzioni arrivano segnali molto positivi”.

Ho notato che molto spesso parla di lentezza quando si riferisce alle nostre istituzioni. A cosa è dovuto tutto ciò?
“Penso che, come in generale ogni istituzione, facciano fatica a cambiare… oggi si usa il termine aggiornare. Sul loro modo di operare pesa la lentezza che ha caratterizzato la gestione da parte dell’Ui, lentezza che si è riflessa pure sulle istituzioni. Se il fondatore è lento e non accetta le sfide del futuro non può trasmettere vigore alle istituzioni che presiede. A partire da questo mandato, con Marin Corva a capo della Giunta esecutiva e Paolo Demarin a guida dell’Assemblea, noto una maggiore dinamicità nella gestione dell’Ui e delle sue istituzioni, che spero porterà, dopo questo primo anno di assestamento, a una fase di crescita”.

Collaborare con Can e Consigli
Esiste un programma, una traccia scritta, con magari delle scadenze, sulle questioni da affrontare in seno alle istituzioni della Cni?
“Sì, esistono molti programmi, tracce scritte e scadenze. Nell’archivio dell’Ui potremmo creare una sezione apposita di programmi da attuare, verbali vasti, immensi, per poi vedere quanto poco sia stato fatto. Ora le potrei sbandierare un programma magnifico, ideale, di rilancio, ma non voglio farlo. Lo status delle nostre istituzioni è complicato, i malanni non curati vanno affrontati giorno per giorno, in maniera molto pragmatica e concreta. Dobbiamo ricostruire la nostra organizzazione, modificando lo statuto in modo da raggiungere il massimo grado di democraticità, un regolare e periodico ricambio ai vertici, una formazione di quadri che dirigerà le nostre istituzioni, una maggiore mobilità all’interno delle istituzioni, e un sistema che garantisca occupazione, professionalità e condizioni di lavoro migliori rispetto allo standard che vige attualmente.
La minoranza, per essere solida, deve avere una base economica forte, non precaria. Se saremo chiari e precisi nell’azione il risultato ci sarà. Dobbiamo, inoltre, operare e collaborare in sintonia con gli altri organi posti a tutela della Comunità nazionale italiana, mi riferisco principalmente alle Comunità autogestite della nazionalità italiana in Slovenia e ai Consigli per la minoranza italiana in Croazia. L’Ui, in quanto tutrice dell’unitarietà, deve perseguirla superando le differenze di trattamento della Cni previste in Croazia e in Slovenia. Dobbiamo garantire alla Cni, che vive e opera sul territorio d’insediamento storico, il massimo standard possibile”.

Operazione svecchiamento
All’Edit di recente è stato insediato il nuovo Consiglio d’amministrazione. Che cosa si aspetta da questo organismo e quale futuro auspica per l’ente e le sue pubblicazioni?
“Mi aspetto un grande lavoro assieme al fondatore e alla direzione dell’Edit. Il fondatore deve impegnarsi a reperire mezzi e aumentare gli standard per i dipendenti, il Consiglio di amministrazione, invece, dovrà vigilare e collaborare con la direzione nel percorso della casa giornalistico-editoriale verso la modernizzazione. Io partirei dal contenuto: dobbiamo offrire una produzione letteraria, culturale, politica e di informazione curata nella lingua e nell’acume critico. Maggiore attenzione a cosa e a come lo si dice, tenendo conto anche del ruolo che la scrittura della CNI si trova ad avere.
Non me ne abbiano i lettori, ma non possiamo ridurre un giornale solo a cronaca di serate nelle Comunità degli italiani o a bacheca per i comunicati stampa degli incontri di circostanza dei nostri vertici. Penso a una carta stampata con contenuti di alto livello, alla digitalizzazione delle testate, alla creazione di un archivio digitale di tutte le pubblicazioni storiche e attuali dell’Edit, ad ampi investimenti nella diffusione dei nostri temi nei mezzi di comunicazione digitali a disposizione, alla pluralità di informazione. Per ora non sottostiamo in modo ferreo alle leggi del mercato, non dobbiamo fare cose solo per vendere, siamo in una condizione che ci consente di fare pubblicazioni e giornali che siano un punto di riferimento per l’AlpeAdria”.

Politica di assunzioni mirata
“Per quanto riguarda la politica dei quadri, va detto che non si pensa a tagli, piuttosto ad assumere profili che servono veramente ad avviare questo processo e non solo a far numero. Io non discuto sul numero di dipendenti, che nelle nostre istituzioni sono sempre pochi, ma su cosa effettivamente sono chiamati a fare. Per me ‘La battana’, ‘Panorama’, ‘La Voce’, Radio e tv Capodistria, Radio Fiume e Pola, in alcuni casi siamo fondatori in altri partecipiamo al finanziamento, sono comunque istituzioni preposte alla tutela e alla salvaguardia dell’identità del nostro gruppo nazionale. Per fornire un prodotto di qualità dobbiamo individuare le persone.
Il mio compito, in quanto titolare del Settore istituzioni della Cni, è sollecitare con una certa costanza, invitare i direttori dei nostri enti a fare una politica di assunzioni mirata. E quando loro mi rispondono ‘non abbiamo gli strumenti, non abbiamo i mezzi’ allora faccio loro presente che è compito dell’Unione trovare i mezzi, ma è compito delle istituzioni ripulire tutto quello che è antiquato, che è retaggio di un passato che non può funzionare.
Quando uso il termine ripulire non mi salterebbe in mente di applicarlo alle persone. È piuttosto un modo di fare design, di fare vendita, marketing, di fare tante cose. Se riproponiamo quel certo modo di operare di tanti anni fa, non possiamo fare un prodotto che sia al passo con i tempi. Laddove l’Ui è fondatore, collaborerà in modo attivo con i direttori delle istituzioni indirizzandoli verso determinati cambiamenti, almeno questo è ciò che il presidente Corva vuole e me lo ha ribadito quando mi ha invitato a prendere in mano questo Settore, ed io ho accettato con entusiasmo. Sono occasioni che, se non vengono colte, poi è difficile recuperare. Siamo di fronte alla possibilità di un cambio generazionale fondamentale”.

Un’accademia di formazione
Il problema relativo alla pianificazione delle risorse umane coinvolge un po’ tutte le nostre istituzioni. La necessità di assicurare il ricambio generazionale è alle porte, o forse è già in atto. Ci sono parecchi pensionamenti, ma il turnover si presenta problematico un po’ ovunque. L’Ui è preparata per affrontare questa grande sfida?
“Alle riunioni della Giunta la questione è all’ordine del giorno e sono sicuro che, grazie anche al Settore giovani, si proporrà un piano di coinvolgimento di quadri capaci. Ma per farlo dobbiamo sforzarci a creare sistemi di cooptazione e bandi sempre più trasparenti, dove prevarrà il criterio della qualità e professionalità a scapito di altri criteri meno virtuosi. Credo che si debba avviare un’Accademia di formazione per la Cni, dove oltre a verificare le qualità professionali si educhi al valore dell’appartenenza nazionale, culturale e linguistica italiana”.

Di recente l’agenzia Aia ha avuto parecchi problemi e non è mancata la polemica sul suo funzionamento e la sua missione. È stata individuata una soluzione?
“L’Aia di per sé non ha avuto problemi che gli altri enti non hanno. Ripeto, il problema in questo caso è stato trasmesso dal fondatore all’istituzione. La soluzione è stata la nomina di Marin Corva a presidente dell’Assemblea dei soci. Ma il caso dell’Aia ha solo rivelato un pessimo modo di affrontare i problemi a cui bisogna mettere fine: le nostre istituzioni non esistono per servire i vertici, che nominano e rimuovono chi vogliono, sono espressione di tutta la Comunità nazionale italiana e sono al servizio di tutti i connazionali, non di un gruppetto di connazionali che ha architettato pazientemente regolamenti interni, regolamenti di procedura, statuti e norme interne, con lo scopo di preservare il controllo su tutto. Questa Giunta e questa Assemblea Ui hanno un compito molto arduo, che è quello di abbattere il meandro di norme interne inutili, nate solo per ostacolare un salutare progresso ed aprire l’Ui e le sue istituzioni a un’esperienza di dialettica e serenità di confronto che finora non c’era”.

Due parole sul Centro di ricerche storiche di Rovigno, che ha pure un nuovo Consiglio d’amministrazione…
“Credo che non ci siano al momento problemi che incombono sul Crs e sono sicuro che l’attuale Consiglio d’amministrazione saprà lavorare con il direttore per implementare la ricerca storica e proseguire la missione dell’istituto”.

Dramma italiano, più autonomia
Ci sono novità per quanto riguarda il funzionamento del Dramma italiano e il suo organico?
“Con il drettore Giulio Settimo abbiamo instaurato un dialogo proficuo e franco. Penso che il Dramma italiano debba lavorare su più piani. Uno di questi è allestire ogni anno dei grandi spettacoli, impegnativi dal punto di vista organizzativo e artistico, sicuramente nel teatro di Fiume, portando connazionali e scuole all’‘Ivan de Zajc’. Ma la stagione deve esser fatta anche da almeno uno spettacolo, anch’esso con notevoli risorse, in dialetto istroveneto, da portare in Istria. Inoltre, nel repertorio andrebbero inseriti pezzi più agili, da far circuitare in tournée in Istria, Dalmazia, Trieste, Friuli, Veneto ed oltre.
E desidero ribadire agli artisti, ai giornalisti, agli scrittori, agli operatori in tutte le nostre istituzioni, che a noi non basta la bravura, la qualità esecutiva, ma che ogni nostra azione deve saldarsi al patrimonio della nostra Cni, in tutte le sue sfaccettature. Non certo come un piccolo mondo autoreferenziale, ma nella sua funzione di nota di saldatura tra nazioni, che in passato si sono anche scontrate, ma che oggi vivono unite nella comune casa europea. Io non dico loro di abbandonarsi al provincialismo, dico loro che noi non abbiamo tempo per il frivolo e il mondano, perché il nostro fare cultura significa soprattutto impegno. Tornando al Dramma italiano, voglio dire che per fare una stagione di qualità ci vogliono risorse e noi dobbiamo trovarle. Dobbiamo aiutarli a riacquistare maggiore soggettività dentro allo ‘Zajc’, perché la compagnia italiana per attuare le sue finalità ha bisogno di autonomia”.

RTV, superare i «palliativi»
In quale modo l’Ui sostiene i programmi italiani di RTV Capodistria, considerato che pur non essendo fondatore, è molto interessata a quanto succede all’interno dell’emittente radiotelevisiva?
“L’Ui fa da tramite per lo stanziamento dei mezzi. Ma questa non è la sua funzione principale, l’Ui dovrà sempre di più insistere verso la RTV nazionale slovena, ribadendo che RTV Capodistria non esiste solo per coprire il territorio tra il Risano e il Dragogna. Dunque, l’obiettivo è uno solo: far arrivare il segnale in ogni casa abitata da nostri connazionali, ben oltre i confini della Repubblica di Slovenia. Quello che abbiamo adesso tramite MAXtv è una soluzione di ripiego, io non mi accontento.
Questo è un dossier scottante da trattare in modo trilaterale. Penso ci siano a disposizione tecnologie nuove, che superano l’efficacia del satellite e anche RTV Capodistria dovrà lavorare molto sul web. Sono certo che il deputato al Parlamento di Lubiana, Felice Žiža, saprà trovare un canale privilegiato di dialogo col governo sloveno, e troverà nell’Ui tutto il supporto necessario. La nazione madre non mancherà all’appello e da parte sua credo che anche il deputato al Sabor Furio Radin si impegnerà assieme ai vertici dell’Unione a porre fine a questo problema”.

Radio Fiume e Radio Pola hanno riscontrato pure delle difficoltà nel portare avanti la propria missione, quella di trasmettere un’informazione in lingua italiana che rispecchi quanto avviene nel mondo minoritario e non solo. Per non parlare della Legge sulla Radiotelevisione croata che sta levando la soggettività alle nostre redazioni….
“Sono emittenti molto seguite dai nostri connazionali, per niente marginali, e questo è un dato che va tenuto presente. Non sono informato su cosa abbiano attuato in concreto su questo versante i vertici Ui assieme al deputato Cni, dopo l’appello arrivato dai giornalisti. Non vorrei che anche qui si palesasse quella lentezza che intacca perennemente la nostra azione. Io sono pronto, con delega alla mano, ad andare a parlare con chi di dovere per ridare ai nostri giornalisti, non delle soluzioni salvagente, ma condizioni di lavoro che reputo un diritto acquisito, che poi è stato ridimensionato.
I mezzi che arrivano dalla Repubblica di Croazia sono un fattore positivo, ma questo non ci esonera dal vigilare e chiedere ciò che spetta agli enti minoritari in virtù degli accordi internazionali firmati. Abbiamo discusso seriamente la questione con il presidente Corva e con il presidente Demarin e sono certo che già dalla prima settimana di settembre parleranno con l’Hrt (Ente radiotelevisivo croato, ndr) e il Ministero della Cultura per ribadire la necessità di ridare soggettività ai nostri programmi e migliorare le condizioni di lavoro dei giornalisti”.

Quale rapporto con l’UPT?
Come giudica i rapporti con l’Università popolare di Trieste e in quale senso lei crede vadano sviluppati?
“Credo che verso l’Università popolare di Trieste vada mantenuto un rapporto di rispetto e riconoscenza, per il ruolo storico che ha rivestito in tempi difficili nella tutela della Cni. Ma credo che oggi l’attuazione dei programmi debba ricadere quasi interamente sull’Unione italiana. Il ruolo che oggi detiene l’Upt è del tutto superato e antiquato. Io sono il primo a sostenere che ci debbano essere dei controlli e vigilanza sulla gestione finanziaria dell’Ui, ma a farlo deve essere un ufficio pubblico, statale e regionale, come avviene per tutti gli altri enti che beneficiano di sovvenzioni pubbliche.
Anche perché è un’anomalia istituzionale avere un ruolo ibrido: ora beneficiario dell’attuazione di un programma con sovvenzioni pubbliche e allo stesso tempo vigilante. Ma sono questioni che non mi competono e sono certo che il Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale e la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia sapranno scegliere la modalità più adeguata per finanziare gli italiani in Croazia e Slovenia”.

La cooperazione transfrontaliera sta dando i propri frutti? Su quali progetti si sta lavorando, inclusi quelli che riguardano il mondo degli esuli?
”Stiamo operando affinché la collaborazione con le associazioni degli esuli si rafforzi e si proceda insieme nel concretizzare dei progetti che avrebbero una ricaduta positiva sul territorio. Tra le priorità sarà segnare i luoghi simbolo della tragedia delle foibe e dell’esodo, dove poter manifestare la pietas verso le vittime, lasciare traccia visibile e materiale di ciò che è successo, rispettare la memoria e perseguire il dialogo tra i popoli”.

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