Francesco Borchi, un talento privo di filtri

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Francesco Borchi, un talento privo di filtri
Francesco Borchi. Foto: ARKO FERENI FREY

A Umago, l’annuale manifestazione dedicata al teatro da camera internazionale “Zlatni Lav – Leone d’oro” riserva sempre sorprese, ma raramente intense come quella di venerdì scorso, quando è andato in scena il monologo “Sea Wall” di Simon Stephens, con la regia di Boris Cavazza e interpretato da uno straordinario Francesco Borchi.
L’attore dovrebbe avere (non ci sono dati certi disponibili e non è carino chiedere direttamente) sui 35-39 anni, ne dimostra 20 e ha un curriculum da prepensionamento. Scuola di recitazione, laurea in lettere, film, televisione, più di vent’anni di teatro (molto contemporaneo, ma anche testi classici). Inoltre si è anche cimentato nella regia di un cortometraggio. Ma dove trova il tempo di fare tutto? Specialmente se riesce in tutto così bene come nell’atto unico che ci ha presentato.
Un’interpretazione senza filtri
Francesco, nel ruolo del fotografo Alex, è entrato in scena senza filtri, fermandosi a volte solo a pochi centimetri dal pubblico, catturando spesso, con intensità destabilizzante, gli occhi delle persone in prima fila. Non ci ha presentato solo un personaggio, ma è riuscito a illuminare un’anima pulsante di vita e carica di emozioni in tempestosa contraddizione. Alex ci tiene ad apparire un tipo comune, cerca di convincerci di non guardarlo troppo da vicino perché rimarremmo delusi dalla sua normalità, dalla positività dei suoi sentimenti: una moglie e una figlia che ama visceralmente e un suocero con cui ha trovato un linguaggio comune e una piattaforma emotiva confortante. Allora perché tutte quelle frasi lasciate in sospeso? Perché le sue labbra si serrano improvvisamente, accompagnate da una gestualità tormentata e dolorosa? E soprattutto, perché tanta insistenza sull’esistenza o meno di Dio?
La vita segnata da una sciagura
Strato dopo strato il suo animo si rivela e scopriamo che la sua vita è stata brutalmente segnata da una sciagura, da uno di quegli eventi che diventano uno spartiacque tra un prima e un dopo causando una frattura abissale.
Alex anche ci prova a colmare lo squarcio. A diverse riprese raccoglie tutte le sue forze per dare forma ai cocci e creare un tentativo di sentiero della quotidianità da percorrere un passo alla volta in nome del principio che “la vita va avanti” e che bisogna apprezzare quello che si ha. Siccome l’autore del dramma è inglese, si presume che quest’operazione rientri nello spirito della frase “count your blessings” tanto cara allo stoicismo anglosassone. Ma è ovvio che Alex non ce la fa, che la tragedia è detonata troppo profondamente inquinandogli l’anima. Perciò il suo “non detto” è più forte dell’urlo che cerca di trattenere.
Dare vita ad Alex è un compito intenso un tour de force che l’attore Francesco Borchi affronta senza risparmiarsi, anzi, mettendosi in gioco fino al limite estremo delle proprie capacità, trovandosi emotivamente esausto alla fine.
L’arte della recitazione scavalca i confini
Ma c’è dell’altro. Nella chiacchierata informale post-spettacolo ci è stato rivelato che tutto quello che abbiamo menzionato, il toscanissimo Francesco lo fa anche in sloveno. È difficile immaginare un attore italiano, formatosi sulle melodiose tonalità della lingua del conterraneo Dante, che improvvisamente si confronta con le asperità delle lingue slave. Esatto! Lingue al plurale perché ha lavorato anche in croato e serbo. La sua devozione all’arte della recitazione che scavalca i confini è ammirevole.
Una potente motivazione
È comprensibile che il fatto di abitare a Lubiana insieme alla moglie slovena sia una potente motivazione a impegnarsi su questo percorso, ma ciò non toglie nulla all’eccezionalità di quest’impresa professionale che, per quanto ne sappiamo, è unica nel suo genere. Il pubblico umaghese ha manifestato con prolungati e calorosi applausi il piacere di aver assistito alla sua rappresentazione e non c’è dubbio che future visite di Francesco saranno ugualmente ben accolte al teatro “Antonio Coslovich”.

Francesco Borchi tra Adrijana e Maura Favretto (alla sua sinistra). Foto: MARKO FERENI FREY

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