Esporre i crimini dimenticati della Seconda guerra mondiale

La mostra online «A ferro e fuoco. L’occupazione italiana della Jugoslavia 1941-1943» racconta «una delle pagine più buie» della storia d’Italia

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Esporre i crimini dimenticati della Seconda guerra mondiale

È stata presentata la mostra “A ferro e fuoco. L’occupazione italiana della Jugoslavia 1941-1943”, realizzata dall’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia (IRSREC FVG), dall’Istituto nazionale “Ferruccio Parri” e dal Dipartimento di Scienze politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Trieste. Allestita online per garantire la fruizione nel rispetto delle restrizioni antiepidemiche, l’esposizione è incentrata su “una delle pagine più buie” della storia dell’Italia, con la quale, a detta degli organizzatori, è venuto il momento di fare i conti.

La cittadina d’Arbe in una foto d’archivio

Una pagina volutamente scordata
In occasione della presentazione, trasmessa in diretta per il tramite del canale YouTube dell’IRSREC FVG, sono state esposte le motivazioni che hanno portato alla realizzazione della mostra. “A ottant’anni da quella tragica data del 6 aprile del 1941, abbiamo pensato che fosse arrivato il momento, pur in questa difficile situazione di pandemia, di dare all’opinione pubblica la possibilità di conoscere questa brutta pagina della storia italiana”, ha affermato in apertura Mauro Gialuz, presidente dell’IRSREC FVG. “Una pagina volutamente dimenticata e rimossa – ha proseguito –, con cui non abbiamo voluto fare i conti per non smentire lo stereotipo di Italiani brava gente e paradossali vittime di una guerra che invece abbiamo dichiarato e contribuito a rendere mondiale”.

Ante Pavelić con Mussolini in occasione dei Patti di Roma (18 maggio 1941)

Crimini rimasti impuniti
La mostra infatti espone la responsabilità dei soldati italiani per crimini che tuttora sono rimasti impuniti, gettando luce anche su alcune questioni legate all’occupazione italiana della Jugoslavia, come il rapporto tra l’Italia e lo Stato indipendente croato e le modalità con cui si è articolata la repressione fascista nella regione. “L’occupazione e l’attacco italiano alla Jugoslavia fanno parte di una guerra voluta e scatenata dal regime fascista, condotta con strumenti e metodi assolutamente criminali”, secondo quanto dichiarato da Paolo Pezzino, presidente dell’Istituto Nazionale “Ferruccio Parri”, in occasione della presentazione. “Abbiamo purtroppo scordato facilmente – ha aggiunto – che siamo stati attori responsabili di questi metodi durante il periodo in cui, alleati con la Germania, abbiamo combattuto a suo fianco”.

I quattro punti di concentramento che costituivano il campo di Jasenovac

La purificazione della memoria
In questo senso, il ruolo della scienza e della storiografia risulta estremamente importante, in quanto porta alla luce questioni che altrimenti rischiano di cadere nell’oblio. Solamente grazie a uno studio approfondito e non politicamente strumentalizzato si può scoprire la verità della storia che ha plasmato i nostri Paesi, in modo da poterla tramandare alle nuove generazioni. “Credo che non bisogna mai avere paura della verità e, quando la ricerca storica porta a mettere in campo quello che è accaduto in quegli anni terribili, facciamo un servizio importante alla verità”, ha spiegato Ettore Rosato, vicepresidente della Camera dei deputati dell’Italia. “Spesso la storia è stata utilizzata strumentalmente – ha proseguito – per aprire discussioni politiche nel presente. Invece la storia e la ricerca scientifica e storiografica devono servire per rendere consapevolezza alle future generazioni delle cose tristi che sono avvenute e quella pagina buia del secondo conflitto mondiale deve essere impressa nella memoria degli Italiani per sapere che la conquista che c’è stata con la Resistenza, con la nascita della nostra Repubblica, con la scrittura della Costituzione, è stata fatta anche su gravi errori e gravissime tragedie che hanno segnato la nostra storia”. Una di quelle tragedie è stata, appunto, quella compiuta sulle popolazioni jugoslave durante la Seconda guerra mondiale.

Inoltre, l’esposizione risponde, per certi versi, all’idea della purificazione della memoria, come rilevato dal curatore Raoul Pupo, storico e docente dell’Università di Trieste. “Il concetto della purificazione della memoria – ha puntualizzato – vuol dire avere il coraggio di guardare anche nelle zone oscure della propria memoria. Quello che compiamo con questa memoria è l’ultimo passo a suggello di un lunghissimo ciclo sulla storia e la memoria della frontiera adriatica che non hanno riguardato solamente nuclei circoscritti di popolazioni, ma tutto il Paese”.

Conversioni forzate di serbi in una chiesa di Glina (1941)

Gli enti inclusi nel progetto
Alla presentazione della mostra, mediata da Mauro Gialuz, sono intervenuti anche Sara Tonolo, direttrice del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Trieste; Vojko Volg, Console generale della Slovenia a Trieste; Filippo Focardi, docente dell’Università di Padova; nonché Chiara Boscarol dell’azienda Divulgando Srl, che ha costruito la piattaforma digitale dell’esposizione. Il progetto è stato realizzato in collaborazione con la Biblioteca nazionale slovena e degli studi, il Museo di Storia contemporanea di Lubiana, l’ONG Documenta di Zagabria e l’istituto sloveno APIS, con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e con il patrocinio della Camera dei deputati dell’Italia. La mostra, in cui figurano fotografie, documenti, lezioni video e testimonianze dell’epoca, è visitabile in Rete per il tramite della piattaforma www.occupazioneitalianajugoslavia41-43.it.

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