Elio Velan, tra testimonianze e confessioni della sua Istria

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Elio Velan, tra testimonianze e confessioni della sua Istria

ROVIGNO | Elio, il padre, ragiona col figlio Gianni, mentre la barca li culla e li porta in giro nell’arcipelago rovignese. Cosa è giusto e legittimo che i figli sappiamo dei genitori, dei loro pensieri, delle loro vicende? L’autore del volume “La mia Istria”, il giornalista Elio Velan cerca di rispondere attraverso “confessioni e testimonianze” raccolte in questo libro, uscito prima in lingua croata e ora nella versione italiana per i tipi della “Giusto Curto” di Rovigno. Il libro verrà presentato anche a Trieste, il 5 dicembre all’Auditorium del Revoltella di via Diaz, alle ore 18, grazie all’iniziativa della Comunità croata di Trieste e del suo presidente Gian Carlo Damir Murković, che l’ha voluto includere nel suo programma di iniziative del 2018. Sarà introdotto da due giornalisti, Giovanni Tomasin de Il Piccolo di Trieste e da Luciano Santin, giornalista, scrittore e autore teatrale; al suo fianco ha voluto un gruppo di cantori rovignesi della “Giusto Curto”, il tutto arricchito dalle proiezioni di immagini dell’Istria, firmate dal grande maestro della fotografia, Virgilio Giuricin, per far sentire non solo le tipiche armonie, ma anche quello spirito condiviso che fa di Rovigno una località singolare e ricca.

Strana generazione quella nata negli anni Cinquanta in Istria, con la Seconda guerra ormai alle spalle, con una lenta pacificazione in atto, ma anche alla ricerca di una ricomposizione, dentro e fuori sé stessi, che rende cittadini del mondo ma anche molto concentrati sul locale, di cui si ha bisogno, come del pane. Elio, per molti di noi è stato un compagno di giochi, di scuola, del coro, della Comunità, delle estati all’estivo o ai bagni Delfino per cimentarsi nel nuoto sotto gli occhi attenti del prof. Kalacic, un collega a La Voce del popolo: un mondo, tanto tempo fa. Ricordiamo un ragazzino pieno di domande che ora viene a fornirci delle risposte, non senza emozione perché fanno bene e male allo stesso tempo. Una generazione che si è reinventata, che si è spostata dovendo spiegare la propria appartenenza alla cultura italiana, per far capire che non è diversa da quella di chi in Italia è nato e cresciuto e spesso si stupisce che chi è nato e cresciuto in Istria sappia “parlare e scrivere così bene in italiano”, sottolineando il luogo comune che ci vuole ibridi, alieni, padroni di più culture che non permettono di affinarne alcuna in modo particolare.
“La mia Rovigno – racconta Elio Velan, giornalista de La Voce del Popolo, del Glas Istre, della RAI, di TV Capodistria, in un percorso molto articolato – era molto concreta: non avevi il tempo, tutto preso da sport, scuola, amici, el cine, la caseta in bosco, le ragazze…Il padre di una mia amica che è anche tua, l’Antonietta che fa la psicologa, mi diceva sconsolato che lui non capiva il lavoro della figlia. Mi diceva: quando da ragazzo ero pensieroso mio padre mi guardava e mi chiedeva nel suo rovignese antico: fio, chei ti ié, i ta vido un può incucalei? Mi portava in campagna e mi consegnava el sapon e le mie incertezze svanivano…”.

Che cosa ha significato crescere in una località come Rovigno?

“Non saprei, me lo chiedo ancora oggi. Qualche volta di sera vado a Monte e guardo il mare e mi chiedo: sono nato con negli occhi questo spettacolo, come spiegare tutto questo?”

La scuola italiana che mondo è stato per te?

“Non amavo la scuola, odiavo svegliarmi la mattina, quando sono andato a studiare a Zagabria mi sono preso sei mesi di sonno, ho dormito tanto, fino a mattina inoltrata. Fuori c’era la neve e nessun obbligo…”.

Quando devi spiegarlo agli altri, che cosa ti senti di dover trasmettere di questa tua realtà?

“È obiettivamente la città più bella di tutto l’Adriatico orientale, le ho viste tutte e posso dirlo. Non ha eguali. Poi è anche il luogo dove sono nato”.

Quando ti sei accorto della sua unicità, della pienezza dei suoi messaggi, del mare, delle isole che la circondano?

“Vivere una realtà e riflettere su di essa non è la stessa cosa, diciamo che tutto è nato quando me ne sono andato. Se gli istriani conoscono poco l’Istria i rovignesi la conoscono ancora meno”.

Andare, come per tutti i giovanissimi, è una necessità, Zagabria, Fiume, che cosa credevi di trovare?

“Sono andato a studiare a Zagabria Scienze politiche perché volevo fare il giornalista. È tutto quello che ho fatto e so fare. Mi piace raccontare una storia, da giornalista, la letteratura è troppo impegnativa”.

Un mondo composito come il nostro, di unioni e divisioni, di contrapposizioni e volontà di costruire, che cosa sviluppa nell’individuo?

“Se ci pensi e più ci pensi: tanta tristezza, troppo bella e troppo triste (penso all’Istria)”.

Scrivere per il giornale del gruppo nazionale, un’opportunità, un momento di crescita e cosa ancora?

“Quando ho cominciato io c’erano colleghi anziani da cui potevi imparare molto. Poi nel 1996 ho lasciato tutto e sono passato a scrivere in un’altra lingua. È un percorso molto personale, molto complicato, ma sono rimasto giornalista…”.

Trieste, una vicenda felice. Alla radio della RAI regionale eri a tuo agio, cordiale e aperto con i tuoi ospiti, solo una tappa di passaggio o una pietra miliare?

“Alla RAI mi sono trovato bene, è stata una buona sorgente di reddito. Quando hai un contratto a termine e anche quando questo contratto si rinnova per oltre dieci anni non diventi mai parte dell’azienda. È la regola, spietata, ma è la regola. Quando ho lasciato Trieste ho ringraziato e la collaborazione si è interrotta. Anche lì c’erano molti bravi colleghi…”.

Lo spirito rovignese è spesso uno spirito contro, come lo spieghi? Questo tuo libro l’hai affidato alla Giusto Curto. Stai pensando a un editore nazionale?

“C’è troppa sedimentazione storica, troppa individualità plasmata nei secoli. Nessuno in Istria ha avuto una storia come Rovigno: aperta a tutti ed esigente nei confronti di tutti. Come spieghi diversamente il dialetto, la lingua di questa città? A Rovigno la Società artistico-culturale Giusto Curto è per me un gruppo di amici. Mi dispiace che qualcuno abbia interpretato la sua nascita come un attacco alla soggettività della Comunità degli Italiani e della SAC Marco Garbin. Noi siamo un’altra cosa, per dirti: ora sto preparando uno spettacolo sulla storia dell’Istria e lo scrivo in croato, anche questo libro nasce in croato, la Giusto Curto è l’editore dell’edizione italiana. Siamo un gruppo di persone in pensione o vicina alla pensione che si diverte e che è legata alla propria città e alla sua tradizione. Non ho pensato seriamente a un editore, costa fatica. Se poi qualcuno si accorge e valuta positivamente il mio libro, ne possiamo parlare”.

Fiume, Trieste ma sempre con l’idea del ritorno. È possibile, veramente, fino in fondo?

“Lo scrivere è per sé stesso un distacco. Quando hai finito qualcosa si stacca da te, se ne va e non ritorna più. Scrivere è una buona terapia, viaggiare costa. Non ti dico quanti soldi ho speso a Trieste per tenere insieme la famiglia…”

Entrare in un bar cinquantenne – affermi nel tuo libro –, uscirne ventenne; perché il bar?

“A Rovigno il Rio bar è mitico, fa parte della nostra gioventù, io la vedo ancora la Rosanna con la sua mini nera, corta, stretta… come fai a invecchiare? Io non ho mai trascorso un sabato e una domenica a Trieste, sempre a Rovigno. La gente neppure se ne accorge…”.

La barca è stata per un lungo tempo la tua casa, che hai portato in giro come una lumaca, una “cuguia” nel tuo dialetto. È la libertà? Quale libertà?

“La barca a vela mi ha dato molto è con lei che ho cominciato a scrivere, con lei sono tornato alla lettura, ho scoperto il tempo lungo del racconto, il tempo che il giornalismo ti nega anche se la voglia di scrivere è tanta…”

Che cosa vorresti cambiare del presente?

“Non so, troppe cose, è meglio non pensarci…”

Quali nostalgie suscita il passato?

“Ora che sto scrivendo sulla storia dell’Istria sono partito da un concetto: senza il tempo lo spazio non esiste. Noi siamo fatti di tempo, sudditi del regno di Memoria, come dice Marc Bloch”.

La prefazione al libro è stata firmata da un’esule rovignese, Franca Dapas. Com’è nata questa collaborazione?

“Franca è amica di classe di mia madre, andata esule. Si sono ritrovate dopo 70 anni e ora sono sempre assieme quando Franca viene a Rovigno. Ha insegnato italiano e latino a Padova, è un’intellettuale onesta e sensibile”.

Il mondo dell’esodo per te non è mai stato un tabù, una realtà da comprendere. Come mai?

“Agli inizi degli anni novanta (penso fosse il 1991) dirigevo il mensile della CI ‘Le cronache’ e lì ho cominciato a scrivere sul caso Hutterott, le proprietarie dell’Isola di S.Andrea e le altre, di Punta Corrente. Tuo padre, Giuseppe Turcinovich, mi rivelò dettagli importanti… Poi ho conosciuto Gianni Giuricin, un signore sia come uomo che come politico, e Gianni Curto, allora presidente della Famia ruvignisa. Sono incontri importanti. Mi volevano bene, li ricordo con affetto come don Marcello Glustich: la città dovrebbe dedicargli un monumento”.

Quando racconti le tue radici, la tua provenienza in Italia, si stupiscono mai che tu sappia parlare, o scrivere, così bene in italiano?

“Non mi arrabbio più, lascio correre. Agli ospiti della RAI venuti da Milano o Roma che si complimentavano per il mio italiano spiegavo che era il risultato di una passione di gioventù…”

Che cosa siamo noi, gente di confine?

“Come fai a pensare in italiano e scrivere in croato?, mi chiedono. Eppure succede proprio questo. Tutta la vita trascorsa a tradurre e a spiegare a chi non sa. Magris racconta in ‘Danubio’ di un giovane poeta della Vojvodina che usava con disinvoltura il tedesco, l’ungherese e il serbo, ha scritto poesie in tutte e tre le lingue ed è ricordato nelle antologie dei tre popoli… siamo sospesi tra gli Appennini e i Balcani”.

Cosa auguri a questo tuo libro, oltre al successo naturalmente?

“Quello che ha avuto finora: una buona accoglienza. È bello vedere che le porte si aprono…”

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