Dunja Vejzović. L’addio a una carriera brillante

A colloquio con la primadonna che con il ruolo della vecchia contessa ne «La dama di picche» di P.I. Čajkovskij al TNC «Ivan de Zajc» di Fiume si congederà dal palcoscenico

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Dunja Vejzović. L’addio a una carriera brillante
Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Al Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume andrà in scena oggi (ore 19), l’ultima première della stagione 2022/2023, l’opera “La dama di picche” di P.I. Čajkovskij, che si presenta come un evento straordinario in quanto vedrà la primadonna Dunja Vejzović congedarsi dalle scene dopo decenni in cui ha costruito un’illustre carriera internazionale. Lo spettacolo, la cui regia è firmata da Christian Romanowski, si avvale della direzione artistica della primadonna, la quale si esibirà pure nel ruolo della vecchia contessa.

Non è possibile presentare in poche parole la biografia di Dunja Vejzović, in quanto questa abbonda di esibizioni memorabili nei più grandi teatri mondiali, collaborazioni con i maggiori direttori d’orchestra e cantanti lirici della storia, progetti di grande spessore artistico e un importante lavoro con le giovani promesse del mondo della lirica.
Basti dire, pertanto, che all’unica replica di questa stagione de “La dama di picche”, sabato, 17 giugno, presenzierà il grande artista teatrale contemporaneo, Robert Wilson, che giungerà a Fiume soltanto per vedere in scena Dunja Vejzović, la sua collaboratrice preferita e straordinaria interprete del suo teatro, il che è un’ulteriore testimonianza della grandezza di questa personalità artistica. La sua eccezionale espressività, la sua forte personalità e la bellezza e precisione della sua voce avevano ammaliato a suo tempo sia Wilson che altri registi mondiali di spicco quali Jurij Ljubimov e Liliana Cavani.
Nell’ambito di un’intervista, abbiamo voluto ripercorrere sommariamente i punti salienti della carriera di Dunja Vejzović e conoscere la sua opinione sul mondo contemporaneo della lirica.

La sua partecipazione a “La dama di picche” è stata annunciata come il suo addio al palcoscenico. Però, già nel 2002, il suo ultimo ruolo operistico avrebbe dovuto essere quello di Charlotte nel “Werther” di Jules Massenet…
“In quell’occasione, al Teatro Nazionale Croato di Zagabria mi avevano dato la possibilità di scegliere l’opera che avrei sempre voluto cantare, ma non ne ebbi mai prima l’occasione. Espressi il desiderio di esibirmi in ‘Werther’ con il ruolo di Charlotte. Avevo bisogno di fare un taglio netto con il passato per potermi dedicare all’insegnamento. Nel frattempo, però, si erano presentate delle interessanti sfide alle quali non potevo rinunciare, per cui sono ritornata occasionalmente in scena. Per quanto riguarda la mia partecipazione alla ‘Dama di picche’, questa si è presentata come una delle opere in cui avrei potuto realizzare un buon ruolo.
Il personaggio della vecchia contessa è speciale, delinea una persona forte che appare in tutte le scene e ovunque simboleggia il destino, il quale è un elemento essenziale nel Romanticismo russo. Nonostante il ruolo del destino, sono effettivamente i personaggi e le loro motivazioni il motore dell’azione. La vecchia contessa è il personaggio che contribuisce a raccontare meglio la storia. Avevo già interpretato questo ruolo all’età di 33 anni, ma oggi lo vedo in una luce differente. A 33 anni, una persona non può avere la stessa esperienza come più tardi nella vita. Amavo questo ruolo anche da giovane e lo cantavo con convinzione, ma a questa età posso dire che osservo la vita in maniera più distanziata. Ed è proprio questa la caratteristica principale di questo personaggio: lei guarda al suo passato come se ad averlo vissuto fosse stata un’altra persona”.

Nel corso della sua ricca carriera ha cantato un repertorio vastissimo ed è considerata una delle più grandi interpreti del repertorio wagneriano…
“Il repertorio wagneriano è stato senza dubbio molto importante per la mia carriera, ma sentivo che mancava qualcosa. Per questo motivo decisi di dedicarmi al repertorio lirico italiano e al belcanto”.

Si può dire che Wagner è più complesso rispetto al belcanto, o stiamo facendo una semplificazione troppo banale della questione?
“Se uno vuole cantare bene qualsiasi brano, ad esempio una canzone di Bellini, allora dovrà sicuramente superare delle difficoltà. Fare bene qualcosa richiede sempre impegno. Per quanto riguarda il significato più profondo del testo, qui il repertorio tedesco è più affine alla filosofia. Nelle opere italiane, invece, la bellezza sta nell’immediatezza, qui le emozioni sono chiare e palesi”.

Uno dei grandi direttori d’orchestra con i quali ha lavorato nella sua ricca carriera è stato anche il celebre Herbert von Karajan. È quasi d’obbligo chiederle com’era lavorare con questo grande artista?
“Ritengo che la parte artistica di un progetto sia sempre un lavoro di squadra e che questo non abbia molto a che fare con la vita privata di una persona. Molti mi chiedono che tipo di persona fosse stato Karajan. Egli per me fu un dio dal punto di vista artistico. Privatamente, non lo conoscevo affatto. Karajan mi invitò assieme ad altri artisti a cena alcune volte, ma ciò che importa è l’arte alla quale egli diede vita mentre si trovava nella buca d’orchestra. La mia esperienza legata a Karajan è molto positiva. Egli conosceva ogni battuta, ogni più piccolo particolare dell’allestimento e tutti si impegnavano a fare per lui tutto il possibile, incluso il personale del teatro. Personalmente, non mi interessa l’aspetto privato di una persona, ma il suo lavoro dal punto di vista artistico, professionale. Uno può lasciare molto a desiderare come carattere e nelle relazioni con le persone, ma se la sua arte è straordinaria, tutto il resto non ha alcuna importanza”.

Prima di diplomarsi in canto all’Accademia di Musica di Zagabria, si laureò in grafica all’Accademia di Belle arti…
“Dal momento che non potevo iscrivermi all’Accademia di Musica senza aver frequentato la Scuola media superiore di musica, decisi di andare a studiare arte o matematica. Venni ammessa all’Accademia di Belle arti e parallelamente frequentai la scuola di musica. Dopo quattro anni, quando conclusi la scuola di musica, mi iscrissi all’Accademia di Musica. L’arte figurativa non ha mai avuto alcun influsso sulla mia carriera musicale e dopo aver concluso gli studi di grafica non ho disegnato mai più nulla. Perché scelsi la grafica? Da bambina disegnavo sempre, essendo stata mia madre di professione architetto, e i miei disegni erano sempre lineari. Probabilmente per questo decisi di scegliere questa tecnica artistica”.

Ha notato dei cambiamenti nella preparazione dei cantanti lirici, nella tecnica vocale, rispetto ai tempi in cui era studentessa?
“La tecnica vocale migliore è quella antica italiana. Naturalmente, le cose sono cambiate nel corso dei decenni, in quanto all’epoca i cantanti lirici migliori erano i virtuosi, mentre oggi questo non è il caso. Oggi, per imporsi, un cantante lirico deve saper anche recitare. In passato l’elemento più importante erano le colorature brillanti, l’omogeneità del timbro e così via, mentre oggi non sono di primaria importanza. Al giorno d’oggi, l’artista deve essere completo sia vocalmente che dal punto di vista della recitazione. Purtroppo, viene altresì dato troppo rilievo all’aspetto fisico, tanto da discriminare cantanti di una certa statura, razza e peso corporeo. I cantanti che non soddisfano determinati criteri non possono nemmeno accedere all’audizione”.

Lei istruisce nuovi cantanti lirici ormai da anni. Quanto sono diverse le circostanze e la professione al giorno d’oggi rispetto a qualche decennio fa?
“Le differenze sono grandi. Dal punto di vista della preparazione vocale, i giovani cantanti non hanno il tempo di maturare. Il mondo della lirica oggi richiede che i cantanti siano giovani e preparati, per cui sono costretti a trovare quanto prima uno sbocco professionale, anche se avrebbero bisogno di ancora tempo per raggiungere l’apice delle loro capacità. Per un cantante lirico è essenziale la preparazione, che deve essere graduale e solida, perché soltanto così l’artista potrà cantare anche a cinquanta o sessant’anni. Io lavoro in questo modo con i miei studenti e spesso mi chiedo se facendo così mi trovo in un mondo parallelo, in quanto il mondo della lirica richiede da loro di iniziare la loro carriera a vent’anni. Per me questo è inaccettabile. La conseguenza di questi criteri sempre più duri sono le carriere via via più brevi dei cantanti lirici. E le cose difficilmente cambieranno, in quanto i cantanti sono numerosi e ci sarà sempre qualcuno che potrà prendere il posto di colui che ha rinunciato. In questo modo non si possono sviluppare dei grandi cantanti”.

Qual è la sua opinione sulla scena operistica croata?
“Qui c’è un’incredibile moltitudine di grandi talenti, ma la pressione di salire sul palcoscenico quanto prima è molto pronunciata. I giovani che vengono ingaggiati dai vari teatri lirici vengono sfruttati al massimo in un periodo di tempo quanto più breve. Questo è un fenomeno che caratterizza i teatri lirici un po’ ovunque. Per questo motivo devo lodare lo ‘Zajc’, dove la situazione è migliore rispetto agli altri teatri in Croazia. Qui i giovani hanno la possibilità di maturare e di sviluppare le loro potenzialità”.

Quanto tempo è necessario per preparare un ruolo operistico?
“Il tempo per preparare un ruolo non è mai sufficiente. Per un grande ruolo sarebbero necessari uno o due anni, ma fatto sta che un cantante non viene scritturato due anni in anticipo, ma in un arco di tempo molto più ridotto. Oggi, un cantante deve poter preparare un ruolo nell’arco di pochi mesi. Se non accetta, non canterà, ma se accetta lavorerà sotto pressione. Si tratta di un grande stress”.

Ha mai sofferto di ansia da palcoscenico?
“All’inizio della carriera ne soffrivo, ma l’ho superata nel momento in cui sono riuscita a sfruttare le mie emozioni durante l’esibizione. Questo è successo letteralmente da un giorno all’altro”.

Come mai la decisione di studiare proprio il canto? Da dove l’ispirazione?
“A casa nostra si cantava sempre. Inoltre, durante le feste di classe portavo sempre con me una chitarra. Così, un giorno, una compagna di classe mi portò a cantare in un coro. Il maestro Emil Cossetto (rinomato compositore, maestro di coro, direttore d’orchestra e pedagogista croato, nda) notò il mio talento e mi disse che avrei dovuto assolutamente occuparmi di musica nella vita. All’epoca avevo già 18 anni, abbastanza tardi per iniziare a cantare. Mi iscrissi alla Scuola di musica ed eccomi qui. Sono grata a Cossetto per avermi spronata a dedicarmi al canto. Un’altra persona che mi ha sostenuta molto sia nel canto che dal punto di vista personale fu la prof.ssa Marija Borčić, una persona estremamente serena e positiva che mi aiutò ad aprirmi agli altri”.

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