Applaudita tappa fiumana per «I due ribaltoni»

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Applaudita tappa fiumana per «I due ribaltoni»

FIUME | Uno spettacolo che affronta un tema importante e vuole fare riflettere e ricordare le conseguenze di uno dei drammi più gravi del ‘900 per l’umanità, quello della Grande Guerra. Si presenta così la pièce teatrale-musicale “I due ribaltoni: Trieste 1918, Fiume 1919”, prodotta dall’Associazione Internazionale dell’Operetta di Trieste, con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in coproduzione con il Dramma Italiano del Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume, che ha debuttato nel capoluogo quarnerino alla Casa Croata di Cultura di Sušak. Lo spettacolo, già andato in scena a Duino, Gorizia e Trieste, è stato presentato a Fiume quale primo e unico appuntamento. La “prima” è stata seguita da un numeroso pubblico, tra cui Melita Sciucca, presidente della Comunità degli Italiani di Fiume, Maurizio Tremul e Marin Corva, rispettivamente presidente dell’Unione Italiana e presidente della Giunta Esecutiva dell’UI.

“I due ribaltoni”, scritto e diretto da Maurizio Soldà (che è pure uno degli interpreti) è una lettura scenica intercalata e incentrata sugli avvenimenti dell’immediato dopoguerra, che colpirono in modi diversi i due porti dell’ex Impero, Trieste e Fiume. Il 1918 per il capoluogo giuliano, con la trasformazione dell’amministrazione austroungarica in quella italiana, e il 1919 per il capoluogo quarnerino, con l’entrata di D’Annunzio in città: due cambi repentini che provocarono grossi sconvolgimenti nelle società amministrata dall’Impero asburgico. Per entrambe le città sono stati “ribaltoni” che provocarono profondi mutamenti.

Psichiatria per tutti

La vicenda si svolge all’Ospedale psichiatrico di Trieste, inaugurato nel 1908, all’epoca l’unica istituzione psichiatrica dell’Alto Adriatico orientale. Negli anni dei due “ribaltoni” questa fu interessata da una massiccia affluenza di reduci della Grande Guerra, triestini, istriani e fiumani: una parte dei letti del reparto psichiatrico era riservata all’Istria e a Fiume, che non avevano una simile istituzione. Il nostro gruppo di personaggi si ritrova all’interno di una sala del reparto, dove ognuno racconta la propria versione della storia. Vicende, spesso tragiche, che vanno a comporre il catafascio derivato dalla fine della guerra.
In scena quattro attori che riescono a trasmettere il disagio sofferto, ma sempre con una certa vena di divertente ironia, dei personaggi che appartengono a un territorio dove culture, lingue, tradizioni e genti si sono mescolati per secoli, convivendo pacificamente grazie a una buona amministrazione e benessere, ma poi con la guerra e con la caduta dell’Impero, hanno perso l’identità.

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I «matti volanti»

In scena il pubblico ha potuto ammirare Elvia Nacinovich (attrice in quiescenza del Dramma Italiano. ma ancor sempre attiva) nella parte della contadina istriana, governante a Trieste presso una famiglia slovena di bancari, che con il tracollo finanziario ha scelto di riparare a Lubiana. Ilaria Zanetti, soprano eclettico, interpreta Caterina, che ha amato l’Italia quando c’era l’Austria felix, e che ora non si ritrova più in tutta la tristezza che il ribaltone si è portato dietro, travolgendo la sua città, Trieste, la sua famiglia, portata via dalla disperazione. Gualtiero Giorgini nei panni dell’ardito seguace del Vate, è il più pazzo del gruppo, che racconta dei primi giorni a Fiume dopo l’arrivo di Gabriele D’Annunzio. Maurizio Soldà oltre a essere il regista e autore del testo, interpreta pure il ruolo del giornalista, collega di Silvio Benco, un letterato irredentista particolarmente noto a Trieste. Ad affiancare gli attori, anche la fisarmonica di Aleksander Ipavec, nella parte di un musicista sloveno, grande e… pericoloso, tanto da essere chiuso in una camicia di forza.
Gli interpreti si raccontano come dei “matti volontari”, disperati e disadattati che non potendo più della fame, della guerra, delle trincee, del fango dei morti, hanno scelto, come estremo atto, di rifugiarsi nel manicomio, anzi frenocomio come si usava dire all’epoca. Lo spettacolo è arricchito da diversi brani musicali oggi rari, come ad esempio “L’Aquila di Fiume”, “Andemo al Comunal”, la disperata canzone d’amore in sloveno di Viktor Parma e altri canti popolari fiumani e triestini. Il tutto misto a situazioni divertenti con una comicità dalla vena sottile e ironica.

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