INTERVISTA Varja Bastjančić. «Nella struttura non ci sarà alcun tipo di discriminazione»

Varja Bastjančić dell’associazione Institut ha avviato l’apertura di un dormitorio

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INTERVISTA Varja Bastjančić. «Nella struttura non ci sarà alcun tipo di discriminazione»
Varja Bastjančić. Foto: DARIA DEGHENGHI

L’esperienza personale con la droga, la strada e il carcere è stata determinante: è stata quella svolta che ha portato Varja Bastjančić a consacrare la sua vita all’assistenza ai tossicodipendenti. Con la sua associazione Institut, un team piccolo ma affiatato, la capacità di mobilitare le istituzioni, la politica, i media e l’opinione pubblica, sempre entrando nel merito, il campo d’azione di Bastjančić si è allargato al dramma dei senzatetto nella più ampia accezione del termine, a prescindere dalle cause scatenanti. In collaborazione con l’assessorato alle Politiche sociali ora retto da Ivana Sokolov, l’associazione Institut sta per aprire in via Trieste un dormitorio pubblico per le persone senza dimora, da non confondersi col Rifugio in via Altura, gestito dalla Croce rossa. Siamo andati a intervistarla per capire la differenza tra le due tipologie di servizi, le modalità di lavoro e di assistenza pensate per la nuova struttura. Abbiamo cercato di capire la condizione dell’uomo senza dimora in una società con un divario sempre più accentuato tra ricchezza e povertà, integrazione ed esclusione, forza e fragilità.

Com’è stato che dalle attività di riduzione del danno della tossicodipendenza, l’associazione è arrivata al punto di aprire un dormitorio?
Nel 2013 abbiamo aperto un locale d’accoglienza diurna per tossicodipendenti nel tentativo di sottrarli alla strada e tenerli sott’occhio e cercare di convincere almeno una parte a scegliere la via della cura in comunità, naturalmente sempre per salvare quante più vite possibili. Ora, siccome una parte dei nostri assistiti sono persone senza dimora, e siccome da noi hanno avuto la possibilità di fare la doccia, cambiare indumenti e lavarli, avere un pasto gratuito, prendere un caffè e scambiare due chiacchiere al caldo, il nostro centro d’accoglienza diurna è diventato conosciuto in città grazie al passaparola. Ed è qui che la situazione è cambiata e non di poco. A un certo punto hanno cominciato a bussare alle nostre porte anche anziani indigenti che, pur non essendo dei senzatetto nel senso proprio del termine, campano con pensioni da fame senza corrente elettrica, riscaldamento, acqua calda e lavatrice. Non chiedevano altro che fare la doccia di tanto in tanto, lavare i panni e scaldarsi nei giorni di grande freddo. Le nostre attività non sono cambiate per volontà, ma per necessità. Nessun progetto, nessun programma: è semplicemente successo.

Tra l’altro il fenomeno non è assolutamente limitato a Pola…
Il nostro locale d’accoglienza a Parenzo ha mostrato esattamente la stessa cosa: fin dal primo giorno ha calamitato gli indigenti di ogni genere e rango e a quel punto abbiamo compreso che l’Istria nord-occidentale, nonostante l’apparente opulenza, è un territorio drammaticamente colpito dal fenomeno dei clochard, tanto che si distingue per essere di varie volte superiore a quello che registriamo a Pola per il semplice motivo che si tratta di località minori che non dispongono di una rete di assistenza socio-sanitaria alternativa. L’unica differenza tra Pola e le altre località è che i disagiati, abbandonati a sé stessi e in mancanza di sostegno delle istituzioni, hanno cominciato a fare squadra e hanno finito per fare squatting e cioè occupare edifici e aree private abusivamente. Per assurdo, questa loro intraprendenza ci ha facilitato il lavoro perché li abbiamo trovati già uniti e compatti come gruppo: dove c’è un senzatetto, ne abbiamo trovati altri. Da qui anche il successo della nostra prima esperienza con l’istituzione della casa-famiglia di Pola che disgraziatamente per mancanza di soldi verrà chiusa. La casa-famiglia è un’istituzione di fondamentale importanza per i senzatetto che hanno la ferma volontà di lasciare la strada. I suoi risultati sono stati eccezionali: abbiamo avuto in tutto 17 fruitori, ne sono rimasti soltanto due. Su 17 solo 3 sono stati allontanati per consumo di droga e alcol. Tutti gli altri hanno superato con successo il programma e sono arrivati a trovare un’occupazione e una sistemazione. I due che rimangono sono sulla buona strada.

Perché sta per chiudere la casa-famiglia?
Perché era spesata dal Ministero del Lavoro, della Previdenza, della Famiglia e delle Politiche sociali che ha sospeso il bando al termine dei tre anni di durata del Programma. Per continuare a offrire questo servizio noi possiamo anche lavorare gratuitamente ma l’affitto dell’alloggio e le spese di casa costano soldi che non abbiamo. Un nuovo bando è possibile verso la fine dell’anno, ma fino ad allora come fare? Dobbiamo trovare una soluzione per bypassare questo semestre senza fondi perché ogni arresto delle attività d’assistenza verso una categoria sociale così fragile e a rischio di ricaduta ha effetti drammatici. Una volta che la fiducia e la fede hanno avuto il sopravvento sulla disperazione, un arresto e un regresso alla situazione precedente è devastante.

Quante sono le persone senza dimora in città?
Abbiamo cercato di capire l’entità del fenomeno io e Helena Babić del Rifugio di via Altura senza mai venirne a capo. Abbiamo un’idea vaga di quelle 15-20 persone che dormono in strada, ma senza la certezza dei dati. Aspettarsi troppo dal Rifugio di via Altura non è possibile perché è l’unica struttura del suo genere in Istria. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato lo sfratto del bunker al Ponte, un evento di per sé triste che se non altro è stato istruttivo perché ha aperto ai polesi gli occhi. Quello sfratto è stato risolutivo. A quel punto ci siamo scambiati un paio di telefonate con l’assessorato perché era l’ora di agire. Devo dire che l’assessore Ivana Sokolov ha colto immediatamente la palla al balzo. È successo tutto nel giro di un mese. Abbiamo avuto un assegno da 300mila kune per ristrutturare il locale e avviare l’attività.

Che tipo di struttura avremo in via Trieste?
Si tratta di un dormitorio nel senso proprio del termine. Sarà dunque una struttura pensata per accogliere sempre e comunque chiunque abbia bisogno di trascorre la notte al chiuso e al caldo. Il locale dispone di 120 metri quadrati, avrà tra i 15 e i 20 letti e materassi in caso di necessità maggiori. Il centro d’accoglienza lavorerà soltanto la notte, dalle 19 alle 7. Dalle 19 alle 22 si potrà entrare e prendere posto, dopo le 11 spegneremo le luci. La mattina alle 6 sono previste la sveglia, la prima colazione e la chiusura. Se mi chiede perché questo regime da caserma con sveglia all’alba e orari rigidi, il motivo è semplice: perché non abbiamo i soldi per assumere più di due guardie notturne per la sorveglianza della struttura. Quello che conta è che non vi saranno discriminazioni di sorta. Il senso del dormitorio pubblico è quello di assicurare a chiunque non abbia casa o abbia freddo in casa, di venire a passare la notte da noi senza spiegazioni e senza limiti. Mi sia concesso di fare un pubblico appello alle società commerciali più benestanti del territorio a contribuire con le proprie donazioni. Maggiore sarà il supporto delle aziende, migliori saranno i nostri servizi. Si dà il caso che abbiamo assolutamente bisogno di un supermercato perché le forniture della Metrò di Parenzo non ci bastano. Bisogna pensare ai pasti da offrire… Insomma. Quello che conta è che i lavori stanno volgendo al termine e che i polesi stanno donando il loro tempo, il loro lavoro e i loro averi per finire di arredare la struttura che aprirà in febbraio e porterà il nome ebreo di “Rachem” nel significato traslato di misericordia e compassione e nel significato letterale utero. Io ci credo sul serio che questa nostra piccola struttura possa crescere ed evolvere per fare da incubatore a una nuova vita, una vita lontano dalla strada.

In quali condizioni vive l’uomo senza casa?
Guardi, chi cerca riparo in un dormitorio non ha un problema, ne ha mille. Dopo 18 anni di lavoro con i tossicodipendenti e i senzatetto lo dico apertamente che tra i due il dramma maggiore è la condizione dell’uomo privo di dimora. Un anno in strada produce più danni che 10 anni di eroina, mi creda. Le privazioni che l’uomo senza un tetto vive sono tali che non vi sono parole per descriverle. Quello che ti trovi davanti non è più un uomo, ma lo scarto di un’esistenza umana. Noi siamo qui per dare loro almeno quelle 12 ore di dignità umana, di comprensione, di affetto e di calore umano. Siamo qui per rispettarli, aiutarli, sostenerli, non per cercare di cambiarli con la forza, con la coercizione. Il nostro servizio non è vincolato a questa o quella condizione particolare. Se fuori bevono o si drogano, al dormitorio non saranno giudicati. Questo è l’approccio che abbiamo scelto di avere con i fruitori. Lo stesso che abbiamo sperimentato con profitto nel soggiorno per i tossicodipendenti. La parola d’ordine è ‘non cercare di cambiare nessuno’, usare gentilezza e rispetto a tutti. Da questo approccio si costruisce lentamente un rapporto di fiducia e d’amicizia da cui in seguito può maturare la decisione personale di cambiare, di accedere a un programma di disintossicazione, di intraprendere un percorso di recupero e integrazione sociale. Soltanto l’amore è capace di aprire questo varco. Le dirò che da quando abbiamo iniziato a distribuire siringhe pulite del programma di riduzione dei danni, il numero dei tossicodipendenti che ha scelto la via del recupero è aumentata in via esponenziale.

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