Cantieristica. Per Scoglio Olivi agonia senza fine

Conti bloccati e aste che non hanno sortito alcun effetto: per lo stabilimento è un lento declino

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Cantieristica. Per Scoglio Olivi agonia senza fine
Lo stabilimento navalmeccanico Scoglio Olivi. Foto: Srecko Niketic/PIXSELL

Come una favola all’incontrario. Lo stabilimento navalmeccanico, nato “imperiale”, ora è sporco di cenere. Le sirene si fanno sì, sentire, ma nulla da spartire con i tempi in cui attraversavano il cancello migliaia di operai, o all’entrata o all’uscita: il numero è ormai più che sparuto. Di vari non ce ne sono. Lo scafo intrappolato tra le gru sembra un monumento alla rassegnazione. Dopo la rovinosa caduta nel 2019 (ma gli scricchiolii si erano fatti sentire già prima, per non dire delle voci che davano il gigante sofferente di anemia finanziaria irreversibile), non c’è verso di rivedere il cantiere in piedi. Da solo, il poco che è rimasto dell’antica gloria cantierina, non si può rialzare e gli appigli o mancano o sono ramoscelli che non possono reggere il peso. In due mesi e mezzo, l’Uljanik Brodogradnja 1856 (più che Araba Fenice nata sulle ceneri di Scoglio Olivi, sembra un piccione spelacchiato) si è ritrovata per la terza volta con il conto bloccato. La difficoltà si è palesata a metà maggio e il cantiere è rimasto a galla grazie al salvagente a marchio governativo: Zagabria, infatti, aveva prorogato le garanzie per il mutuo acceso per la costruzione del peschereccio commissionato da un committente norvegese. La proroga del credito aveva consentito un importo maggiore del mutuo: ai 5,12 milioni di euro era stato possibile aggiungerne 2. Ma si tratta di procedere facendosi luce con i fiammiferi. Poca fiamma, poca luce, poca strada. Servirebbe una soluzione definitiva. Un nuovo proprietario. Con soldi, idee, commesse, impiego…

Valore nominale in ribasso
Questa è storia recente, ma paradossalmente lunga. Finora, nonostante tutti i tentativi, non c’è stato verso di alienare la quota maggioritaria che lo Stato detiene nell’Uljanik Brodogradnja 1856. Neanche a costo scalato.
Si ritenterà all’asta il 21 agosto, con un prezzo praticamente dimezzato: 13,8 milioni di euro. E a dirla tutta, siamo 4 milioni di euro sotto il valore nominale della quota societaria.
Lo ricordiamo, il 54,77 delle quote che lo Stato detiene nell’Uljanik Brodogradnja 1856 (con un conto di colore rosso fiamma) alla prima tornata di vendita era stato offerto al prezzo di 27,64 milioni di euro. Dopo avere declinato, più o meno gentilmente, l’offerta della ceca CE Industries. Il proprietario, Jaroslav Strnad, aveva bussato direttamente alle porte del governo o chi per esso (qualche Ministero) dicendo (OK, la facciamo un po’ romanzata, ma così questa faccenda finanziaria-legale diventa meno pesante): “Signori, ho sentito che vi avanza un cantiere: io lo comprerei. Diciamo per 20,57 milioni di euro. Che ne dite: affare fatto?”. Zagabria aveva nicchiato, preso tempo, pensato e ripensato, poi aveva detto “ma, guardi; grazie dell’interessamento, ma siamo propensi a un tender internazionale per ricavarci qualcosa di più, come abbiamo già valutato. Veda un po’ lei: se l’affare l’interessa, si faccia pure avanti. Sarà un piacere collaborare con lei”. Non prendeteci alla lettera; la sostanza, però, è questa. Il resto è storia: alla due diligence, manovra che rivolta un’azienda come un cappotto, fino a scucire la fodere per vederci meglio, avevano aderito due aziende: la CE Industries a la turca Imza Marine Denizcilik Anonim Sirketim. Al dunque, quando l’offerta da potenziale doveva farsi vincolante, non si era fatto avanti nessuno.

Ciascuno fa gli interessi propri
Poi è seguita la serie delle aste con i ritocchi al costo, che sono state tristemente snobbate da potenziali acquirenti. In quest’ottica, gli iniziali 20,57 milioni di euro (non nudi e crudi, ma accompagnati anche da 10 milioni di investimento nella modernizzazione della produzione e cose così) sembrano un affarone a cinque stelle extra lusso. Ma siamo in zona ipotesi: resta da vedere se poi si sarebbe riusciti a risollevare le sorti di questo vegliardo, che per mettersi al passo coi tempi dovrà sudare. In quest’affare ognuno ha interessi propri: l’eventuale acquirente acquistare senza dover finire in infusione post emorragia; chi vende ottenere il massimo che si possa ottenere. Nel mezzo i cantierini, che a ogni tornata di vendita vedono sbiadire e assottigliare la possibilità di vedersi saldare le spettanze. Chi interessato all’acquisto, realizzato che alla cassa non c’è ressa, può permettersi di aspettare prima di dare la zampata. Chi vuole vendere… beh, faccia i conti che può, meglio che può. Ma il momento del “meglio la filigrana oggi che bruscolini domani”, ci sembra ormai scaduto.

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