Valichi di confine come città fantasma

Quanto è cambiato il lavoro del personale in piena crisi sanitaria? Ce lo spiega il poliziotto Neven Abramović

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Valichi di confine come città fantasma

Da circa metà marzo, la vita dei cittadini croati, come del resto del mondo, è cambiata drasticamente. Infatti, in quei giorni il Paese ha decretato un pacchetto di rigorose misure antipandemiche volte a contenere i rischi di contagio da coronavirus, giunto dalla Cina, e che inizialmente sembrava si sarebbe fermato lì. E invece, è servito pochissimo affinché succedesse il finimondo e il virus si propagasse anche in Europa e nel resto del globo. Una pandemia vera e propria, che tempi recenti non ricordano. Per quanto riguarda le aree di nostro interesse, inizialmente c’è stato il terribile boom di contagi in Italia, che ha causato e sta ancora causando un gran numero di morti. Vista la vicinanza con il Bel Paese, il Covid-19 è penetrato ben presto anche in Croazia, che ha reagito molto bene decretando misure ferree grazie alle quali si è riusciti a mantenere un quadro epidemiologico lineare sin dallo scoppio dell’emergenza. Una delle norme di sicurezza adottate da subito, è stata la chiusura dei valichi di frontiera. Raggiungere, pertanto, in questo periodo il confine con la Slovenia sembra quasi un gioco da ragazzi. Le strade sono completamente deserte. Il valico di Rupa sembra essere una città… fantasma. È questa la nostra impressione, una volta giunti in loco. Sul posto soltanto qualche camion, che trasporta merci, e al quale è permesso circolare tra un Paese e l’altro.

Neven Abramović

Ad accoglierci, il responsabile della Stazione di Polizia di Rupa, Neven Abramović, con il quale scopriamo quanto sia cambiato il lavoro di frontiera durante la crisi sanitaria. Infatti, le prime reazioni ai confini ci sono state già a metà febbraio, quando in Italia erano apparsi i primi casi di coronavirus. “I media seguivano l’andamento dell’epidemia, ma non avevamo ancora un quadro completo della situazione. Noi invece, che sentivamo le testimonianze della gente in arrivo dai luoghi più colpiti, abbiamo capito subito che la cosa si stava facendo seria. Poi sono state introdotte le prime misure. Era il periodo di Carnevale e quando è stato annullato quello di Venezia e sono rientrati tantissimi turisti, abbiamo capito la gravità della situazione. Non appena sono giunte le prime direttive ufficiali da parte del Comando nazionale di Protezione civile, abbiamo messo in atto tutta una serie di misure”, spiega Abramović.
I primi a subire le nuove misure sono stati i ragazzi che si trovavano all’estero per viaggi di studio, escursioni e simili, che sono dovuti rientrare prima del dovuto. In seguito, la Polizia di frontiera ha iniziato a collaborare con gli epidemiologi, con l’Istituto regionale di salute pubblica, fino al momento della “chiusura” dei confini. “Non possiamo dire che i valichi siano stati chiusi del tutto, essendoci ancor sempre persone che devono spostarsi all’estero per motivi di lavoro. Dal Comando abbiamo ottenuto vari tipi di ordinanze, che abbiamo introdotto a mano a mano. Anche se i confini sono stati chiusi ufficialmente il 19 marzo, il nostro personale ha adottato e fatto proprie una serie di misure preventive già alla fine di febbraio”, spiega ancora Abramović. Fino a oggi, lo scenario non è cambiato. Nel frattempo ci sono state tantissime persone ferme all’estero per lavoro – sia in Italia che in Austria, Paesi particolarmente colpiti – e che, a un certo punto, sono dovute tornare a casa. Fortunatamente, nessuno dei nostri dipendenti ha contratto il virus, grazie soprattutto al proprio comportamento responsabile, ma soprattutto ai consigli degli epidemiologi e dell’Ispezione sanitaria. “Il personale sanitario è rimasto con noi al confine per tutto questo periodo, fino a qualche giorno fa, e ci è stato di grandissimo aiuto. Abbiamo imparato tanto da loro e colgo l’occasione per ringraziarli”, afferma Abramović.
La vita ai valichi non si è fermata e il traffico transfrontaliero, seppur ridotto all’… osso, si svolge comunque a frequenza quotidiana. I tir con la merce devono oltrepassare il confine ogni giorno, seguendo regole ben definite. Lo stesso vale per coloro che vivono nei pressi del confine e che lavorano in Slovenia o viceversa. La riduzione del traffico è visibile anche nelle statistiche. A febbraio, ad esempio, ci sono stati meno passaggi in rapporto allo stesso periodo del 2019. A marzo sono calati, invece, di quasi il 90 p.c.. “La nostra reazione è stata tempestiva e questo ha contribuito certamente a contenere i contagi. Il Comando nazionale ha svolto un lavoro egregio, che è stato poi riconosciuto anche dagli altri Paesi. All’inizio non è stato facile, ma devo dire che abbiamo fatto un buon lavoro”, sostiene il nostro interlocutore.
Una sorpresa per tutti
Lo scoppio del virus e la conseguente introduzione di tutta una serie di severe misure, hanno colto di sorpresa tutti. Adeguarsi a un altro stile di vita non è stato certo facile e gran parte delle persone ha fatto fatica ad accettare determinate restrizioni come ad esempio l’impossibilità di viaggiare. “Ci sono stati eventi specifici per i quali abbiamo dovuto trovare soluzioni particolari. Ricordo ad esempio un funerale a cui avevano dovuto partecipare persone che vivono a Rupa, ma la cui tomba si trova a Jelšane, in Slovenia. In quel caso, abbiamo dovuto individuare un modo fuori dalle… norme, per organizzare il tutto. Il pacchetto di misure antipancemiche è stato introdotto per motivi di sicurezza e la gente lo capisce. In questa zona ci sono, però, famiglie che vivono da sempre tra i due confini e la cui routine di vita è diversa dalla nostra. Hanno ad esempio il loro conto in banca in Slovenia, ma non possono andarci. Sono casi in cui, in collaborazione con i Comandi di Protezione civile di entrambi i Paesi, dobbiamo aiutarli”, racconta ancora Abramović.
Dispositivi obbligatori
Al momento dell’arrivo al valico di confine, è necessario esibire un documento che provi che la persona non ha l’obbligo di osservare l’autoisolamento, oppure se sia stata contagiata. Per chi viaggia, è obbligatorio indossare la mascherina durante i contatti con il personale, che a sua volta è munito di dispositivi di protezione, tra cui anche particolari visiere donategli dal Centro di cultura tecnica di Fiume e realizzate con stampante 3D.
«Non è ancora il momento di rilassarsi»

Sicurezza al primo posto

Infine, una domanda che interessa un po’ tutti. Quando riapriranno i confini? “Al momento non è possibile saperlo. Onoriamo le ordinanze del Comando nazionale. Abbiamo avuto delle domande da colleghi sloveni per quanto riguarda la festa del Primo maggio, ma credo che fino ad allora non sarà sicuramente possibile mettersi in viaggio. La seconda fase di allentamento parte infatti il 4 maggio. Col tempo accadrà di sicuro, ma ora non possiamo sapere la data esatta. Bisognerà seguire i consigli del Comando e in particolar modo le parole degli epidemiologi, che agiranno a seconda del quadro complessivo. Non è davvero il caso di mandare all’aria tutto quanto fatto finora soltanto per poter andare due giorni in vacanza. Credo non ne valga la pena. Non è ancora il momento di rilassarsi e comportarsi come niente fosse, perché il virus è ancora presente. Speriamo, comunque, che presto la vita torni alla normalità”, conclude Neven Abramović.

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