Lesco, la casamatta con scala a chiocciola

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Lesco, la casamatta con scala a chiocciola
Una delle postazioni fuoriterra. Foto: GORAN ŽIKOVIĆ

Affacciato sul Golfo del Quarnero, in cima a un colle dalla vista mozzafiato, scrupolosamente mimetizzato e accuratamente inserito nel paesaggio circostante, ubicato nel quartiere di Brašćine-Pulac, dove la vicinissima ex linea di confine tra Italia e Jugoslavia piegava bruscamente verso la costa, è sito un altro lodevole esempio (accanto a Katarina B, di cui abbiamo trattato nell’edizione del 26 novembre scorso) di archeologia militare. Trattasi della casamatta di Lesco (Veli Vrh) nella quale, a differenza delle fortificazioni “Katarina A” e “Katarina B”, le cui postazioni di battaglia erano scavate, le stesse erano state posizionate fuori terra e mascherate con opere murarie e vegetazione varia ai lati.

Il rifugio militare venne costruito tra gli ultimi e, data la cronica mancanza d’acciaio all’epoca in Italia (1941), era manchevole di svariati elementi inerenti all’equipaggiamento in ferro, per lo più concentrati negli sbarramenti difensivi destinati al fuoco diretto (molte feritoie e postazioni di fiancheggiamento non ne avevano alcuno, ma abbondavano di quelli in cemento molto spesso), come pure di quelli elettrici e delle apparecchiature di comunicazione. La fortificazione vantava nove blocchi da combattimento, alcuni dei quali provvisti di tubi per il lancio delle bombe a mano, necessari per la difesa ravvicinata, alcune caserme interrate, passaggi strettissimi intercalati da altri più larghi e svariate scale in ferro e in cemento per la circolazione da un piano all’altro. Al momento della nostra visita, il pavimento alla sua entrata era rivestito di detriti di cemento e mattoni rotti i quali, prima di venire abbattuti da ignoti (come pure le tante scritte in italiano cancellate) costituivano pareti che, sulla base della “tecnologia costruttiva” delle fortificazioni sotterranee italiane, facevano da isolamento o protezione termica, quale secondo strato al manto cementizio. Per il resto, abbiamo riscontrato le strutture logistiche della casamatta in condizioni abbastanza buone e non troppo pericolanti. Il dettaglio più suggestivo del forte è sicuramente la splendida scala a chiocciola, con 84 gradini alti ciascuno circa 18 centimetri, tramite la quale si raggiungeva la cima dello stesso.
Nelle adiacenze della fortificazione di Monte Lesco si trova la piccola cappella della S. Madre di Dio, edificata nel 1941 dai soldati del 27º battaglione e dalle guardie di frontiera dell’esercito italiano (per lo più provenienti dal Nord Italia, nello specifico bresciani e bergamaschi), in segno di riconoscenza per avere conquistato, senza alcuna vittima, l’altura del Monte Lesco, nonché quale simbolo della vittoria nella Guerra d’aprile (identificata con il nome in codice Operazione 25 dall’Asse e consistente nell’attacco sferrato dalle potenze dello stesso contro il Regno di Jugoslavia durante la Seconda guerra mondiale). In tale contesto, nelle date del 5, 11 e 12 ottobre del 1941 il quotidiano “La vedetta d’Italia”, che veniva pubblicato a Fiume all’inizio del secondo conflitto mondiale, riportava svariate testimonianze sull’edificazione e inaugurazione della cappella nel giorno di San Martino, ovvero l’11 novembre. In quell’occasione, si legge in un articolo, la stessa era stata benedetta dall’ordinario militare mons. Angelo Bartolomasi, affiancato dal cappellano militare Giuseppe Raimondi. La cappella è sita nella parte più elevata del colle, a un’altitudine di 439 metri. L’interno dell’abside è stato dipinto dall’artista russo Aleksandar Zvyagin e il rilievo in pietra è stato restaurato dallo scultore accademico Zlatko Kutnjak. Sul muro della stessa si legge un’iscrizione incorniciata che recita: “Amico! Riposati… Ammira le cime delle montagne che ti portano in paradiso, osserva il blu dell’Adriatico che ti unisce alle altre persone, volgi lo sguardo verso l’immagine e dici ‘Ave Maria, nostra consolatrice!’, firmata “Un pellegrino”.

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