LA CITTÀ NASCOSTA Bunker Katarina A: una fortificazione tutta italiana

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LA CITTÀ NASCOSTA Bunker Katarina A: una fortificazione tutta italiana

Dopo avere esplorato i rioni di Tersatto, Vežica superiore e inferiore, Costabella e Bivio, siamo tornati al punto di partenza, ovvero a Pulac – dove avevamo già in precedenza affrontato svariate perlustrazioni, in quel frangente della casamatta Katarina B –, al fine stavolta di visitare quello denominato Katarina A. Sita in un’area controllata e recintata sotto l’ingerenza della Questura litoraneo-montana, per accedervi è stato necessario ottenere il benestare dalla stessa. Effettuati, così, i dovuti controlli all’ingresso, abbiamo intrapreso una comoda salita circondata dal verde e, a circa cinque minuti dall’entrata, abbiamo parcheggiato in uno spazio piano e ampio, attorniato da svariati magazzini e caseggiati abbandonati e in evidente stato di degrado. Per raggiungere a piedi una delle entrate del bunker di nostro interesse (ve ne sono diverse), indicataci dal collega Igor Kramarsich, nostra fidata guida, ci sono voluti una decina di minuti. Superata la stessa, barricata da una specie di portone in spesso filo metallico, il primo impatto con la struttura è stato di un non lieve disagio, dovuto al cavernoso buio. Accesa la potente e rassicurante torcia frontale di Igor e quella del cellulare di Željko, fotoreporter del nostro quotidiano, abbiamo proseguito spingendoci lungo un largo corridoio ricoperto da sassi e mattoni, guadagnando, dopo non molto, le prime gallerie, tutte strettissime e caratterizzate dalla tipica cementazione utilizzata anche nel resto delle casematte del luogo.

La nostra valente guida, Igor Kramarsich

Ciò che abbiamo notato sin da subito, a parte le scritte e le firme colorate lasciate dai pochi visitatori in anni recenti, è stata l’originaria segnaletica a muro in lingua italiana, non cancellata come negli altri rifugi blindati, relativa per lo più all’orientamento dei soldati all’interno del bunker e, in molti casi, corredata da frecce direzionali, tipica della Seconda guerra mondiale. Altri particolari ricorrenti, non osservati nel corso delle esplorazioni precedenti, sono stati la presenza delle panchine cementate, sistemate all’interno di nicchie scolpite lungo le pareti degli infiniti tunnel e le numerose e impegnative scalinate, per lo più di larghezza ridotta, sia in discesa (verso le altre sale), che in salita, verso le postazioni di controllo e/o osservazione. Inoltre, non potevamo non notare che nella casamatta vi è una miriade di oggetti e parti achitettoniche (scale, volte, telai e controtelai di quelle che una volta erano le porte antigas) in acciaio massiccio, ormai corrose e arrugginite, come pure le cupole dei postamenti d’osservazione, tutte in condizioni abbastanza buone, soprattutto quella in cui abbiamo riscontrato l’iscrizione “FIAT”, affiancata altresì dall’anno di costruzione (1933).Casamatta sicura e completa
Considerando le dimensioni, i contenuti e il numero dei locali, scrive il sito www.projectrevival.eu, si può presumere che i bunker Katarina A e Katarina B rappresentassero, all’epoca, le principali strutture militari della zona. Quest’ultima si avvaleva anche degli alloggi per i soldati (di larghezza 3 metri e lunghezza variabile a seconda della posizione – 10, 15, 20 e 25 metri), adibiti a una permanenza più lunga in caso di situazione d’assedio, come pure quelli degli ufficiali e dei sottufficiali, una cucina, un serbatoio dell’acqua, i servizi igienici, ventilazioni e filtri d’aria, un generatore di corrente elettrica, nonché un fotofono, atto alla comunicazione con le fortificazioni circostanti. A detta del succitato sito, il Katarina A, denominato altresì Angheben, risalente alla Seconda guerra mondiale, è stato costruito quale casamatta sotterranea costituita da un ben organizzato sistema di gallerie e da una serie di bunker e garitte antibomba in superficie. La stessa, edificata dalle forze italiane tra il 1931 e il 1941 (“Circolare 200”) è una delle poche strutture militari dell’area quarnerina portate completamente a termine e costituisce parte integrante della cintura difensiva in acciaio e cemento del Vallo Alpino, innalzato dal Regno d’Italia durante il periodo fascista e mirato alla difesa dei propri confini. Riporta, a tale proposito, Vladimir Tonić, nel suo scritto “Sulle tracce del bastione alpino” (“Tragom Alpskog bedema”): “Il complesso militare Katarina A consisteva in due fortificazioni note come “Centro n. 1” e “Centro n. 2”, costruite nelle colline sopra il canyon dell’Eneo, le quali dominavano il porto di Sušak (Baross, nda). Collegate da un passaggio sotterraneo lungo circa 160 metri, con quella delle gallerie interrate e delle svariate diramazioni secondarie corrispondente a 1.000 metri, le roccaforti erano del tutto autonome e pronte a una resistenza prolungata, anche in caso di totale accerchiamento da parte del nemico”. Data la loro funzione e tipologia, scrive ancora l’autore, le strutture militari di questo genere venivano realizzate nella massima segretezza e risultavano fisicamente inaccessibili alla popolazione locale, oltreché abilmente mimetizzate e, quindi, quasi impossibili da localizzare.

Qui e sotto, le scritte a muro in italiano

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