Andare avanti con la forza dell’amore

Bojana Meandžija ha raccontato agli alunni delle classi superiori il suo volume «Corri, non aspettarmi»

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Andare avanti con la forza dell’amore
I ragazzi hanno seguito l’incontro con interesse. Foto: ORNELLA SCIUCCA

“Io non so parlar d’amore, l’emozione non ha voce…”, recita il testo di una celeberrima canzone di Adriano Celentano. Ed è proprio così. Non è semplice dare voce ai sentimenti, quelli autentici, che ci scaldano il cuore, che riempiono e impreziosiscono il nostro essere. Eppure oggi più che mai, quando spesso si presenta in maniera distorta, confuso con la solitudine e il desiderio di essere accolti, a volte esasperato, c’è un disperato bisogno di rivivere il vero senso dell’amore. Perciò è fondamentale parlarne e insegnarlo ai nostri ragazzi, con parole belle o brutte, equilibrate o strampalate, disinvolte, gridate o soffocate, sussurrate, timide ma sempre sentite. Si, perché nonostante lo mascherino nella pletora di altre emozioni, in loro palpita forte la richiesta di essere amati. Ne siamo capaci? Effettivamente, non vi sono controindicazioni e per capirlo basta provarci, ognuno a suo modo e nella forma che sa e ritiene più giusta, come ha fatto la scrittrice Bojana Meandžija durante il toccante incontro letterario con gli allievi delle classi superiori della SEI “San Nicolò”, nel corso del quale ha presentato il suo scritto “Corri, non aspettarmi” (pubblicato per i tipi dell’Alfa edizioni).

Infanzie strappate
A detta dell’autrice, che invitandoli a chiudere gli occhi e immaginare le sue parole (imbevute di odori, sapori, sensazioni, situazioni) ha coinvolto e immerso i ragazzi e le loro insegnanti nei suoi mondi, il libro racconta di un’infanzia, anzi, di tante fanciullezze che la guerra (nel suo caso si riferisce a quella Patriottica, ma l’idea è estesa a tutti i tipi di conflitti) ha rubato, o meglio strappato a coloro che “nell’istante in cui si trovano a percepire la paura e la sensazione d’impotenza negli occhi dei genitori sanno che non vi è più scampo”. Lo stesso sguardo profondo e azzurro, quello di sua madre, vestita con un maglioncino del giallo più luminoso, che incrociò a 200 metri di distanza nella data del 4 settembre 1991, a Karlovac, nel mentre correva verso casa per raggiungere il rifugio in seguito a quella che ricorda come la giornata più bella e più brutta dei suoi 16 anni compiuti quello stesso giorno. Uno sguardo nel quale, però, per qualche millesimo di secondo, Bojana ha colto anche il conforto, la sicurezza, la forza e l’esortazione a non fermarsi e continuare a correre, quindi a sperare e a crederci fino all’ultimo.

L’importanza della famiglia
In tale contesto, Meandžija ha rilevato che “lo scritto è nato inizialmente in forma di frasi intagliate sulle tavole che trovavo nel rifugio (ubicato sotto al grattacielo in cui viveva con la sorella, Marija, di cinque anni, e i suoi genitori), in cui eravamo in circa 200 persone. Parole che, in seguito ai primi momenti di terrore e panico relativi alle nostre sorti, ho voluto tatuare sulle stesse quasi per ripicca, con l’idea che comunque, indipendentemente da ciò che sarebbe accaduto, un segnale, della mia vita e della mia esistenza, così ingiustamente pregna in quei momenti di punti interrogativi, l’avrei lasciato, dandole un senso. Quel senso che per otto anni, da quando è uscito il libro (di cui in seguito sono state realizzate altre 6 edizioni) ho cercato nelle risposte dei vostri colleghi in giro per le tantissime istituzioni scolastiche che ho visitato e che mi avete regalato anche voi oggi. Sì, perché nel mio intimo ho vissuto a lungo nella convinzione che, in qualche modo, fossi stata responsabile dell’inizio della guerra. Infatti, la sera prima, verso le due di notte, mentre ero in vacanza da mia nonna (il giorno precedente all’inizio del nuovo anno scolastico) sentii cigolare il portoncino del cortile. Con il cuore in gola mi avvicinai alla finestra, sbirciai fuori e osservai la silhouette di un uomo con il fucile. Non svegliai la nonna, bensì me ne tornai a letto, mi avvolsi tutta nella coperta e, con gli occhi sbarrati e gli orecchi tesi a mo’ dell’elefante Dumbo, attesi l’arrivo dell’alba, quando i genitori vennero a prendere mia sorella e me”.
Sulla falsariga delle sue parole, gli allievi l’hanno rassicurata, specificando che, indipendentemente dalle sue azioni di quella sera, il conflitto purtroppo avrebbe avuto luogo. A seguire, le domande e le curiosità della scolaresca non finivano mai, come pure la fila per l’acquisto e la firma dell’autrice a conclusione dell’appuntamento che la preside della SEI “San Nicolò”, Iva Bradaschia Kožul, ha definito “prezioso per il calore e gli importanti messaggi d’amore che ha seminato nei nostri cuori. Ringrazio Bojana per averci ricordato di curare e dare valore ai nostri cari, alle nostre famiglie e ai rapporti umani in generale”.

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