David Skoko: «Apprezzo tutte le cucine del mondo»

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David Skoko: «Apprezzo tutte le cucine del mondo»
Foto: Sandra Simunovic/PIXSELL

Raccontiamo una storia di successo che ha il suo nome. Si chiama David Skoko, ristoratore, cuoco e personaggio televisivo molto seguito. È il celebre chef TV che ha conquistato il pubblico della nazione amante della cucina e anche non, per quel suo fare disinvolto e capace di comunicare l’abilità di valorizzare gli ingredienti e trasmettere il piacere insito nei buoni piatti. La carriera è decollata da Bagnole, dalla trattoria “Batelina”, un luogo che senza pretese di sorta ha catturato l’attenzione per il rispetto del mare e di ogni sua creatura o prodotto commestibile, dall’alga alle frattaglie di pesce, un posto dove la famiglia Skoko ha messo in campo tutto il pregio della propria semplicità del vivere e del cucinare, traducendola in squisito cibo fresco e apprezzato a prezzi ragionevoli.

Com’è successo? Il sogno di ogni bambino è solitamente di diventare pilota, superman o altro di macho. Il suo era quello di cuoco?
Ero in settima-ottava classe e non immaginavo sicuramente di fare il cuoco. Volevo diventare falegname. Adoro l’odore del legno, sono abile con le mani e un tipo pratico. Usavo fare cose con il nonno, utensili da lavoro, sgabelli, scagni, fionde. Era molto divertente. Sono cresciuto in una famiglia di pescatori, per cui si facevano molte cose in legno utili per le imbarcazioni. Alla scuola agricola di Parenzo, poi, mi sono innamorato dell’agricoltura, del potere della terra di fornire tutto quello di cui necessitiamo. Nel 2000 i miei genitori hanno voluto aprire un locale di ristoro, il più piccolo concesso per legge a conduzione familiare, dove poter offrire il pescato ai turisti d’estate, friggere due calamarini, qualche pescetto, un po’ d’erbetta, un brodetto, un di paté di tonno, insomma ricette di famiglia. In cucina papà arrostiva i pesci, mamma preparava un brodetto e le sardelle in savor. Io facevo da assistente e servivo i commensali. Allora avevo 24 anni. I turisti hanno riconosciuto subito il valore dell’offerta e l’intraprendenza cominciò a generare i suoi frutti. Io, essendo senza lavoro, ho continuato a lasciare aperta il locale anche d’inverno per “giocarci” dentro con la cucina, mentre mio padre cuciva le reti dietro al locale. La nostra offerta non era niente di più di quanto pescato da mio padre, una cassetta o due di pesci. La nostra è una storia semplice, che più semplice non si può. Un grande ruolo in questo senso è stato rivestito da mia madre, donna molto abile e creativa. Il nostro era un cibo diverso da quello di altri ristoranti, perché noi non sapevamo fare altrimenti. Non conoscendo i trucchetti gastronomici, si cucinava esattamente come in casa propria, per noi. Non eravamo contaminati dalla “ristorazione”, ma motivati da buone intenzioni di presentare la nostra cassetta di pescato, nella miglior maniera possibile. Ed è proprio per questo ci siamo fatti notare.

Tutto quello che la rete pesca si fa sfruttare? È questa la vostra specialità non segreta?
Per noi era normale, vendere quello che è commerciale e crescere cibandosi del non commerciale, dello “scarto”, sfruttare assolutamente tutto. Era semplice preparare due moli, un grongo, un gattuccio, un pezzo di razza, delle sogliole dall’occhio mangiato da altri organismi, lo scarto che non va sul mercato, il cibo “povero” dei pescatori. In effetti, siamo divenuti interessanti alla clientela per il fatto di essere un piccolo posto, simpatico, diverso, più economico di altri, senza pretese di diventare qualcosa di speciale, un ristorante chic. Abbiamo iniziato a sperimentare, messo in campo l’esperienza, il sapere, intrapreso tanti viaggi nel mondo per vedere come si cucina in Vietnam, Indonesia, Africa, tutta Europa. Io sono entrato nel milieu degli altri cuochi locali, letto molto, seguito ogni cosa pertinente alla cucina fino a crescere, da persona a cui piace studiare ma soltanto quello che piace.

Ci dite che dopo vent’anni la Batelina è sempre in un edificio modesto e non presenta un interieur fancy. Ma, avete la stellina Michelin?
No, ha letto male. Della Michelin abbiamo ottenuto la raccomandazione Bib Gourmand, il riconoscimento per locali in grado di proporre una buona esperienza gastronomica con un menù completo non dispendioso. Definitivamente, non siamo un ristorante di lusso, ma una piccola trattoria marinara dove si mangia davvero bene e dove si ripropone il medesimo stile di cucina del massimo sfruttamento del pescato. Ed è sempre mio padre ad avere voce in capitolo nella gestione. Quello di cui io mi occupo, invece, negli ultimi 4-5 anni sono altre iniziative legate alla formazione e alla promozione nei mass media della cucina sostenibile sulla base del pescato reale. M’impegno per una maggiore introduzione del menù di pesce di casa nelle scuole e negli asili. Da anni collaboro con l’agenzia per lo sviluppo rurale AZRI, al fine di incoraggiare il consumo del prodotto ittico nostrano nell’alberghiera e nella ristorazione ed è mio desiderio impegnarmi per migliorare la qualità organizzativa del mercato del pesce, per farlo consumare di più ed esportare di meno. Le trasmissioni culinarie TV contribuiscono a questo.

Foto: ARLETTA FONIO GRUBIŠA

Di personalità creative e carismatiche ci sono tante. Lei però è riuscito a sfondare nei mass media e a diventare famoso. Non ci riescono tutti…
Non basta essere un cuoco provetto per essere anche un bravo comunicatore con facoltà di rendersi interessante. Bisogna volerlo. Nulla accade per caso. Sono di natura curiosa e desideroso di apprendere. Quando ho fatto qualche presentazione culinaria in TV e sono stato ospite del Masterchef, la Batelina, trattoria di cuochi con passione speciale, era già conosciuta quale luogo dove sta succedendo qualcosa di appassionante e unico. La produzione del masterchef mi aveva invitato, e il pubblico mi ha apprezzato come giovane e carismatico, ben sviluppato, eloquente, pieno di passione per la cucina e senza paura delle telecamere. Così ho raccontato la mia storia da bravo storyteller. Alla gente è piaciuta la mia performance, sono arrivati gli ingaggi TV, le occasioni di promozione della cucina istriana e del nostro prodotto turistico nelle TV straniere. Strada facendo, nel 2012 il mio ristorante ha ottenuto premi significativi, la menzione come uno dei migliori locali al mondo in un’edizione del News Week, poi anche in Croazia e via dicendo.

Come vi adattate quali ristoratori, ai cambiamenti nel mare e all’avanzata di nuove specie marine invasive dal sud, che sicuramente impongono anche nuove varianti di menù?
Niente è più come prima. Tutto cambia. Non solo dentro al mare. Ci sopraggiungono specie nuove… dopo tutti quei cambiamenti che abbiamo prodotto e la pesca intensiva. È normale. Io promuovo la consumazione di tutte le specie invasive già ad anni: il granchio blu, il pesce serra che è ormai di casa nostra, il barracuda, mentre d’altra parte notiamo come le murene e le mostelle stiano facendo ritorno dopo una certa assenza. Vi chiedete se i mutamenti sono un male? Da una parte sì, perché dobbiamo cambiare abitudini alimentari, d’altra parte non lo sono perché si aprono nuove opportunità. Ci dobbiamo adeguare. Se non ci sono più sogliole mangiamo triglie, se non ci sono più triglie mangiamo occhiate o salpe.

A scapito delle vecchie specie, della buona, se non eccelsa gransievola sempre più introvabile?
Il consumatore non è importante. È importante l’ecosistema, lo stato reale nel mare, il nostro influsso sull’ambiente marino. Non chi mangia e cosa mangia. Andiamo avanti. Mi chiede che cosa farei se fossi ministro del mare o dell’ambiente per il bene delle specie autoctone? No, non farei proprio niente, perché niente si può fare. Le specie non conoscono i confini. Non possiamo fermare alcunché, possiamo adeguarci perché il tempo scorre, non puoi fermare la produzione agricola e di riso nella Pianura Padana. Non possiamo fermare l’industria e l’evoluzione e quella sua voglia di mangiare il granchio rosso deve ora sostituirsi alla voglia di consumare il granchio blu.

David Skoko alla presentazione di un progetto sul mangiare sano negli asili e nelle scuole.
Foto: Srecko Niketic/PIXSELL

I cibi hanno una nazionalità? L’Istria è erede di più culture. Si può fare un’inquadratura delle pietanze istriane, una classificazione precisa sulla provenienza dei piatti tipici?
Io non farei divisioni in scomparti. Questa è una zona che attraverso la storia ha vissuto molte migrazioni e la mistura delle nazionalità si riflette anche nella gastronomia. Mai tanto come ora quando c’è pure l’influsso di tutte le cucine mondiali attraverso i media. Una parte della nostra storia culinaria risale ancora a Roma. La bellezza della nostra cucina è insita nella varietà e nel condizionamento di tutti coloro che hanno attraversato questa terra unitamente all’influsso degli approcci moderni. Finiamola di delimitare. L’Istria è uno stupendo “miš maš”. La sarma e la moussaka dopo la Seconda guerra mondiale sono arrivate dalla gastronomia turca, dai Balcani orientali. Gli gnocchi di patate con il goulash dall’Emilia Romagna o dal Veneto i primi, dall’Ungheria il secondo creando un connubio che funziona. Il baccalà è un tipico prodotto veneziano di qualità a lunga scadenza, perché serviva a dare da mangiare ai marinai che poi lo rubavano dalle stive per portarselo a casa come cibo di festa. Sotto l’influenza austroungarica abbiamo i piatti a base di crucifere e la jota. L’influsso di Venezia si riflette nelle sardelle in savor, nei brodetti, nella parte litoranea”.

Come valuta la cucina italiana?
Mi piace, come mi piace quella francese, spagnola, turca, vietnamita, indonesiana, tailandese, giapponese, indiana, peruviana… Apprezzo tutte le cucine del mondo. Quella che è più vicina a me è quella di provenienza italiana, su quella sono cresciuto in una famiglia di pescatori. Parlo della cucina istriana che è molto vicina a quella veneta. Il mio cibo preferito? Quando ho la possibilità di mangiare un tartufo vero lo mangio, poi ne perdo la voglia e passo ad altro, ai fusi con sugo di lepre, all’agnello… Sono amante della cucina sana che non sempre coincide alla lettera con quella tradizionale.

Abbiamo sentito del suo ingresso in un reclusorio femminile per tenere un laboratorio di cucina alle recluse madri. Ci sembra un’iniziativa insolita e generosa….
Negli ultimi paio d’anni sono particolarmente interessato all’alimentazione dei bambini. La qualità della medesima è bassa. Le abitudini dei giovani non sono sane e troppi sono i bimbi in sovrappeso che semplicemente infilano il cibo nello stomaco. Tanto si fa parola dell’alimento stagionale e locale, ma poco si fa in questo senso. Vorrei cambiare l’andamento insegnando che, ad esempio, la proteina più salubre di cui disponiamo è il pesce azzurro. Per questo sto facendo pubblicità al valore nutritivo della cucina locale attraverso questo alimento che dovremmo consumare in quantità maggiori. Cominciando da bambini. Ho fatto tappa al reclusorio di Požega per aiutare le mamme a cucinare quanto meglio per i propri figli, neonati fino ai 3 anni di vita, con gli ingredienti disponibili nel refettorio. Ho sentito il bisogno di fare qualcosa per loro, per quanto possibile, in questa situazione di prigionia. Ho sempre voglia di fare del bene. Adesso sono concentrato sul come far crescere in salute i nostri bambini.

David Skoko durante un laboratorio di cucina a Pisino.
Foto: Sandra Simunovic/PIXSELL”

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