Romolo Venucci, testimonial dell’amicizia tra Fiume e Trieste (foto)

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Romolo Venucci, testimonial dell’amicizia tra Fiume e Trieste (foto)

Il maestro, molto probabilmente, avrebbe gradito questo suo inaspettato ruolo (postumo) di “testimonial” dell’amicizia tra le cugine Fiume e Trieste. Del resto, da vivo, di ponti ne ha costruiti – come il suo amico Francesco Drenig (1982-1950), figura chiave dei rapporti italo-croati a Fiume, cui ha dedicato uno stupendo ritratto cubista realizzato in azzurro nel 1930 –, dialogando con la sua arte, con realtà diverse dalla sua. E lo fa ancora una volta, sbarcando nel capoluogo giuliano con una selezione di opere che testimoniano il suo percorso. Infatti, come evidenziato in una nota del Museo civico di Fiume, sebbene la “buona collaborazione” con il triestino Istituto regionale per la civiltà istriana-fiumana-dalmata, che gestisce il Civico Museo della civiltà istriana, fiumana e dalmata, sia stata avviata e continui da diversi anni, è appena ora, con la mostra inaugurata ieri sera negli spazi espositivi di via Torino, che si segna un “primo risultato concreto” e si inserisce un importante tassello nella cooperazione “tra la Fiume di oggi e quella degli esuli”.

Uno sguardo pluridimensionale

Come si diceva, per questo significativo inizio è stato scelto proprio Romolo Venucci-Wnoucsek (Fiume, 4 febbraio 1903 – 2 agosto 1976). Organizzata dall’ente fiumano, con capolavori che provengono dalle sue collezioni, da quelle del Museo d’arte moderna e contemporanea di Fiume e da privati, la retrospettiva “Viaggio nell’astrazione”, sarà visitabile fino al 2 luglio nelle sale dell’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata di Trieste, con la curatela di Ema Makarun (Museo civico, Fiume) e l’apporto degli storici dell’arte Ervin Dubrović (Fiume) ed Enrico Lucchese (Trieste). Questo omaggio al più grande artista fiumano della prima metà del Novecento si realizza anche con il sostegno della Comunità Croata di Trieste e offre ai visitatori uno sguardo sul percorso artistico venucciano, da un’avanguardia espressiva cubo-costruttivista verso una sua via personale alla scomposizione della figura sino ad arrivare a dimensioni che entrano nell’astratto.

Resa giustizia all’italiano per elezione

Un messaggio straordinario, quello lanciato con quest’iniziativa che è sì un progetto culturale di alta valenza, ma anche sociale e storico, come evidenziato dal vicesindaco di Trieste, Serena Tonel. Dimostra ancora una volta la ricchezza di città dall’aspetto composito, di una diversità che in passato ha causato dissidi e strappi, che oggi invece “siamo in grado di superare”, diventando paradigma di quello che dovrebbe essere l’Europa. “Sono contento di essere riusciti a realizzare questa mostra alla quale lavoravamo da due anni”, ha esordito il presidente dell’Irci, Franco Degrassi, “Opere di Venucci si erano già viste a Trieste nell’ambito di altre esposizioni, ma non una mostra così grande per quantità e qualità”, ha rilevato Degrassi, che ha ricordato la vita travagliata e complicata dell’artista, italiano per elezione. “Devo constatare, con grande rammarico, che è poco conosciuto in Croazia, anche se il Museo civico di Fiume e alcuni critici d’arte stanno rimediando a questo torto, e praticamente sconosciuto in Italia. Questa mostra rende giustizia a lui e alle genti di queste terre – ha concluso – e l’Irci vuole essere la casa in cui sarà valorizzato e divulgato il loro lascito, il loro contributo all’umanità”.

Il presidente della Comunità Croata di Trieste, Damir Murković, ha evidenziato il filo che unisce le due città e che passa anche per la sede attuale del Museo civico di Fiume, il palazzo dell’ex Zuccherificio; infatti, gli imprenditori del Nord che fondarono la fabbrica, inizialmente volevano aprirla nel capoluogo giuliano. “Noi voltiamo pagina, ci lasciamo alle spalle i momenti difficili per costruire una convivenza di qualità e guardiamo al futuro con speranza e fiducia”. La curatrice Ema Makarun ha raccontato Venucci e la sua arte, l’evoluzione stilistica, appunto il “viaggio verso l’astrazione”, come titola quest’antologica che propone una settantina di lavori, tra schizzi, studi, pastelli, tavole e tele (anche di grandi dimensioni), a partire dagli anni universitari che il pittore trascorre all’Accademia di Budapest, assorbendo appieno la carica di innovazione e di ricerca del movimento di avanguardia ungherese.

Ormai in rottura con l’antiquato storicismo e secessionismo, nella Fiume della fine degli anni Venti l’arte figurativa comincia finalmente ad aprirsi a quel cambiamento che i giovani artisti della città avevano da tempo preannunciato: già prima della guerra, infatti, i fiumani si erano interessati ai futuristi, divertiti dalle loro “stranezze” (non dimentichiamo che, nel bel mezzo dell’Impresa dannunziana, arriva a Fiume in persona Filippo Tommaso Marinetti). Il momento di svolta nel gusto pittorico sarà l’esposizione organizzata nel giugno 1930 dal Circolo artistico di Fiume, grazie a un gruppo di artisti moderni, portatori di nuovi valori artistici e nuovi criteri, che si era formato attorno a Drenig, tra cui Anita Antoniazzo Bocchina, Ladislao de Gauss, Romolo Wnoucsek-Venucci, Miranda Raicich, Maria Arnold, Lucio Susmel, Marcello Ostrogovich, Odino Saftich, Mario de Hajnal, Umberto Gnata, Oloferne Collavini, Giovanni Butcovich-Visintini, Oscar Knollseisen, Fabbro De Santi e al quale partecipavano altri cittadini colti e sensibili (come i fratelli Silvino e il podestà Riccardo Gigante, gli scrittori Garibaldo Marussi, Franco Vegliani e Oreste Carpinacci).

Opere ben definite

Nell’articolo “Vecchie e nuove tendenze nell’opera di artisti fiumani, espresse anche le proprie concezioni artistiche”, apparso su “La Vedetta d’Italia” (1 giugno 1930), Drenig scrisse che Venucci fra i giovani era “il più ardito, e quello che tenta con tenacia temeraria le esperienze più azzardate e audaci. Sarebbe però errato il credere che le sue opere siano dovute ad un’improvvisazione facile e spensierata, esse sono invece tutte create con un saldo criterio razionale, profondamente sentito; e in ognuna di esse l’artista si è proposto un tema, o di rapporti di toni e colori, o di forme o di espressione pura”. E ancora: “I suoi quadri, pur nella loro ricercata semplicità di linee e colori, sono freschi e suggestivi, pieni di un’intensa vita interiore”.
I lavori in mostra abbracciano il periodo tra la fine degli anni ‘20 e gli anni ‘60 del secolo scorso. Nella prima parte della sua carriera, lo stile di Venucci è futurista e cubo-costruttivista. “Il periodo in cui mi sono reso conto di aver trovato me stesso era proprio quello vissuto tra il 1931 e il 1942”, dirà il maestro. Dopo la Seconda guerra mondiale, la sua pittura diverrà più realistica e decorativa, aggiungendo una “persuasività quasi fotografica” ai soggetti della Cittavecchia, per poi reinventarsi negli anni Sessanta, quando conobbe un nuovo ciclo, nello stile astratto, avvicinandosi a quello che era stato l’apice della sua produzione.

Ritratti, composizioni e rocce

All’Irci si possono ammirare tutte le opere più iconiche del pittore, dai ritratti alle figure (cubiste) e composizioni (astratte), alle suggestive rocce, alle intramontabili vedute di Fiume. Visibilmente emozionato l’ex direttore del Museo civico di Fiume, Ervin Dubrović: “Ci conosciamo da anni, per noi era importante iniziare questa collaborazione che, confido, proseguirà. In fondo, noi condividiamo dei valori culturali, perché noi non siamo solo italiani o croati, ma anche istriani, fiumani, dalmati”. All’inaugurazione erano presenti anche i vertici dell’Università Popolare di Trieste – che nel 2010, insieme con l’Unione Italiana, ha pubblicato una monumentale monografia di Venucci, curata dal triestino Sergio Molesi e dalla fiumana Erna Toncinich –, ossia il presidente Emilio Fatovic e il vicepresidente Paolo Rovis, ma anche diversi artisti e critici d’arte arrivati pure da Fiume, come Mauro Stipanov.

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