DAL ČAJ AL CHÁ Una cerimonia di ricordi

Il potere evocativo dei profumi. Un filo impercettibile che avvicina luoghi altrimenti fra loro lontani

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DAL ČAJ AL CHÁ Una cerimonia di ricordi
"Pastiglie" di Pu'er pronte per essere immerse nell'acqua. Foto: Ivo Vidotto

Esistono parole con un potere evocativo tale da farsi spazio nei ricordi ed estrarre emozioni che pensavamo essere sepolte. Ve ne sono altre che, discrete, si accostano alla quotidianità e si modellano sugli umori del momento; altre ancora con uno schiocco di dita riescono ad accomodarsi, con sorprendente naturalezza, in ciò che a noi è più familiare.
Così come i profumi, che siano essi gradevoli, repellenti o appetitosi risvegliano sensazioni e spesso intuizioni assopite, anche le parole hanno un effetto pressoché istantaneo su ciò che annusiamo, mangiamo, tocchiamo e viviamo.
Creano raccordi immaginari e ponti che uniscono distanze geografiche e culturali e lo fanno di istinto, scavalcando quei limiti fisici che, nella realtà, potrebbero risultare insormontabili o, quanto meno, fuori portata.
La pioggia di Fiume
L’acqua è l’elemento principe nella preparazione del tè ed è stata la pioggia di Fiume, persistente e inflessibile, a dare il benvenuto al mio ingresso in questa città.
“Čaj”! E mi si illuminarono gli occhi. Una parola che si accostava perfettamente a quella cinese “chá”. Mi parvero da subito gemelle, legate da una sorellanza che non era solo verbale. Chiesi conferma del significato per il timore di avere frainteso.
“Sì, vuol dire tè”. E la risposta fu un lasciapassare nella città. Un salvacondotto desiderato e voluto, ma che ancora si mostrava incompleto e traballante. Fu il tassello di un puzzle che pose fine alla ricerca spasmodica di un po’ di Cina nel luogo in cui mi ero appena trasferita. Un punto di svolta che sopraggiunse inaspettato e, se vogliamo, in modo banale, al termine di un turbinio di esplorazioni. Cercavo riferimenti, persone e indicazioni che potessero accogliere una parte della mia identità, professionale e umana, maturata nella cultura del Celeste Impero, a suon di studio serio e appassionato.
I legami tra le lingue
“Čaj!” Fu la parola a cui mi aggrappai per costruire una relazione, un rapporto amichevole nella città in cui la Fiumara scorre verso il mare, talvolta impetuosa talvolta moderata, specchio e quintessenza di ondosità, a tratti intime e confidenziali.
Mi sembrò assurdo che un nome semplice, breve e ordinario avesse creato una possibilità straordinaria, un nuovo approccio mentale e fisico. Ma fu proprio ciò che accadde.
Scoprii cose interessanti, ricostruii legami, non solo storici, tra la lingua croata e quella cinese. Questo, addomesticò il mio sentirmi anima in pena, un po’ fuori posto e contesto.
“Čaj” equivaleva al carattere cinese “Chá” e da qui ebbe inizio un nuovo capitolo di vita.
Da cultrice e studiosa del Paese di Mezzo, ho sempre avuto la consuetudine di accompagnare le giornate, ovunque mi trovassi, con questa antica bevanda, amica di lune e di soli interiori.
«La strada verso la scelta migliore»
Qualche anno fa, un esperto coltivatore di tè proveniente da Pu’er, a sud-ovest della Cina (Yunnan), un’area dal 2023 inserita nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO e nella quale si trovano coltivazioni millenarie tra le più pregiate, mi disse che il tè possiede una personalità e che non lo si può sorseggiare a caso o semplicemente per compiacere un gusto soggettivo.
“Dobbiamo imparare ad ascoltare lo Yin e lo Yang che sono dentro di noi. Saranno loro a indicarci la strada verso la scelta migliore”.
Mi regalò una confezione in terracotta di foglie di tè Pu’er che tuttora conservo a ricordo dell’incontro unico e prezioso. Spesso, la osservo per fermare i particolari di quella giornata che dall’impegno lavorativo mi aveva fatta balzare in una dimensione senza tempo. Tutto si era arrestato. I ritmi pressanti, gli appuntamenti, le scadenze, quasi si erano svuotati di importanza.
Di fronte a me, si ergeva il monte Jin Ma, sul quale si estendevano e si estendono piantagioni di tè che le abili mani dei raccoglitori rispettano con una riverenza fatta di gesti rituali e che venerano alla stregua di una divinità.
Il segreto delle foglie
Numerosi i racconti e gli aneddoti, tra i leggendario e il fiabesco, tra l’invenzione e la realtà, tra la tradizione e la modernità che riconducono alla sua introduzione nelle abitudini giornaliere in Cina. I monaci buddisti sarebbero stati tra i primi a coltivarlo e a consumarlo nei monasteri per stimolare la meditazione e la concentrazione e molti imperatori lo avrebbero considerato un elisir di longevità, tanto da essere conservato segretamente e riservato a uso esclusivo dei ranghi aristocratici.
Il sig. Li, l’esperto coltivatore, mi allertò preoccupato sul sapore terroso e sul retrogusto di legno del tè Pu’er. Scherzando aggiunse che “le sue foglie sono coraggiose e pazienti poiché si fanno pressare e maturare per diversi anni, ma loro resistono senza lamentarsi. Più invecchiano, più migliorano. È come il vino in Italia, no?”. E ci salutammo.
Mi risulta ormai spontaneo ringraziare, provare gratitudine nei riguardi di quelle foglie, che immagino di genere femminile (e non solo grammaticalmente!), per il sacrificio di migliorarsi e rendersi simpatiche a tutti i costi.
L’archivio dei ricordi
È incredibile come una parola possa risvegliare l’archivio dei ricordi. Mi diverte sollecitarne la chiusura e apertura a fisarmonica, entrando e uscendo dai negozi che a Fiume propongono assaggi, cerimonie e vendita di tè. Ho scoperto esservene non pochi, distribuiti sul tessuto locale, e, date le dimensioni della città, mi sembrano addirittura più numerosi rispetto a quelli presenti a Roma, da cui provengo.
Credo che il čaj abbia trovato una collocazione speciale nelle abitudini a Fiume. A differenza del chá, si degusta anche con l’aggiunta di miele o di zucchero e può abbinarsi a biscotti e dolci fatti in casa. In Cina, è il dessert a mettersi al servizio del chá. Ogni sua tipologia detta suggerimenti e accortezze mirate a non contrariare il microcosmo che in esso risiede. Il tè verde rappresenta la giovinezza, il Pu’er la vecchiaia, il primo predilige tortine ai fagioli rossi, i biscotti alle noci e tutto ciò che possa neutralizzarne l’astringenza e arricchirne il gusto; il secondo, ama dolci a base oleosa o spuntini di carne secca. Ma esiste un’altra curiosa affinità. Il čaj alla camomilla si avvicina, per le proprietà lenitive e rilassanti, al JuHua chá o tè al fiore di Crisantemo, consumato durante le dinastie Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) come tisana rinfrescante.
Il potere del Crisantemo
Rimasi a bocca aperta, quando, a Pechino, un medico specializzato in fitoterapia cinese mi prescrisse proprio questo fiore per applicare degli impacchi agli occhi fortemente arrossati. Mi parve strano riconoscere nel Crisantemo delle caratteristiche terapeutiche lontane da quelle commemorative per i defunti in Italia, ma poi pensai al suo significato intrinseco di vita, di morte, di rinascita e mi rassicurai sul fatto che anche i miei occhi avrebbero avuto presto una nuova opportunità.
Il fiore di Crisantemo gode di un ricco corredo di storie popolari che tutt’oggi si tramandano e che impreziosiscono la tradizione culturale cinese. Una, in particolare, narra di un contadino poverissimo, A Niu. All’età di sette anni, rimane orfano di padre e quindi, per sfamarlo, la madre è costretta a piccoli lavori di filatura. A causa della grave precarietà economica, la donna si dispera notte e giorno sino ad ammalarsi “di pianto”.
Quando compie tredici anni e poiché la vista della madre si è gravemente indebolita, A Niu la supplica di rinunciare al lavoro. Quindi, il giovane decide di trasferirsi a casa di un ricco proprietario terriero, il sig. Zhang, per guadagnarsi da vivere. Dopo qualche anno, la vista della madre si aggrava irrimediabilmente e presto diviene cieca.
La fanciulla dei sogni
Una notte, ad A Niu appare in sogno una bellissima fanciulla che gli suggerisce di inoltrarsi a una dozzina di miglia a ovest del Canale Imperiale, dove si trova un piccolo stagno di fiori. “Lì, coglierai un Crisantemo bianco, un fiore che cura le malattie degli occhi”.
A Niu si reca nel luogo indicato, ma scopre esservi desolazione, erba incolta e soltanto Crisantemi gialli, meno rari. Impiega un’intera giornata per trovare quello bianco e, quando alla fine ciò avviene, lo sradica per piantarlo nel campo della sua casa. Il fiore raccolto ha un aspetto diverso dagli altri: uno stelo con nove rami, un rigoglioso Crisantemo bianco e otto boccioli. Dopo averli innaffiati con cura, questi ultimi iniziano a schiudersi, belli e profumati. Così ne raccoglie uno al giorno per preparare il decotto miracoloso. Al settimo Crisantemo, gli occhi della madre iniziano a riacquistare la vista. I fiori continuano a sbocciare e A Niu, con riguardo, li raccoglie.
La notizia sugli effetti straordinari del fiore giunge al sig. Zhang, il quale se ne vuole impossessare. Ma il ragazzo si rifiuta. Non soddisfatto, il ricco possidente invia un gruppo di uomini a casa del giovane per rubare i Crisantemi bianchi. Ne deriva un violento scontro a causa del quale i fiori vengono disastrosamente spezzati. A Niu nel vederli ridotti in quello stato, inizia a piangere, sconfortato singhiozza fino a tarda notte, quando, inaspettatamente, in un sogno si ripresenta la stessa fanciulla, la fata dei Crisantemi, a rassicurarlo. I fiori si sono spezzati, ma le radici sono ancora ben piantate nel terreno! La sua pietà filiale lo ha ricompensato, potrà continuare a coltivarli per curare la madre e insegnare agli altri abitanti del villaggio a fare lo stesso.
Sarà per questa storia, romantica e al contempo poetica, che nell’infondere i fiori di Crisantemo giallo mi soffermo ad ammirarne l’eleganza con la quale si aprono nell’acqua. I petali essiccati si scoprono pian piano, è come se sbocciassero una seconda volta. Ricordano le coreografie aggraziate del nuoto sincronizzato. In qualche modo, aggiungono un pizzico di pathos anche alla camomilla del čaj. Non sarà il Crisantemo bianco di A Niu, ma il giallo accomuna entrambi e poi, è il colore dell’Imperatore. Inevitabilmente, ci si sente speciali.
L’energia delle parole
Il tè, sia in Cina che in Croazia, gioca un ruolo coadiuvante tra le persone, le induce alla condivisione, chiude un cerchio che sa di storia, di cultura e di tradizioni diverse, talvolta discordi, ma che possono convergere.
Le parole non sono quindi un semplice veicolo di comunicazione. Sono titolari di un’energia che va ben oltre i piani del linguaggio. Uniscono e separano, creano e distruggono, spesso influenzano la nostra percezione e il nostro agire, sono messaggere di significati che oltrepassano la loro apparenza o che nella loro apparenza esprimono la propria natura, come i caratteri cinesi.
Un ciuffo di foglie sulla sommità (il tè), un uomo – persona al centro (che lo coltiva con amore), un albero (le radici dell’esistenza), alla base, ci rammentano che l’essenza della vita si ritrova nelle nostre mani con una ciclicità che sa di meraviglia e di prodigio. In fondo, è questa la vera fragranza del chá (茶) e, inevitabilmente, del čaj.

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