Cosmopolita Lisbona, una città variopinta (foto)

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Cosmopolita Lisbona, una città variopinta (foto)
Uno dei sette belvedere da cui si apre un panorama mozzafiato sulla città

L’aveva spesso sognata, Lisbona. Seppure non ci fosse mai stata e non sapesse minimamente che aspetto avesse. Certo, il fedele assistente Google, che aveva consultato diverse volte al riguardo, l’aveva aiutata a farsene un’idea, ma un conto è vederla in foto, una città, e un altro è andarci per davvero. Dove, poi, rimanerci per un prolungato periodo e viverla appieno facendosela in un certo senso propria. Lara, ballerina professionista, con un ingaggio fisso nel teatro della sua città d’origine, Fiume, si sentiva da tempo un po’ stretta nel luogo in cui era nata e dal quale non si era mai mossa. Il suo ambiente di lavoro non le dava più le soddisfazioni di un tempo, anzi, a volte aveva addirittura l’impressione di retrocedere in ciò che faceva. Sentiva di avere raggiunto il massimo che potesse raggiungere e ora, la luce e l’entusiasmo iniziali, si erano un po’ spenti. Era il momento di reagire. L’età, venticinque anni, era quella giusta e il tempo era prezioso, soprattutto nel campo della danza. Infatti, per la natura del loro mestiere, i ballerini sembrano quasi avere una data di scadenza e se non si sbrigano nel costruire una carriera artistica, perdono spesso l’ultimo treno. Lara sentiva che il suo era arrivato e che la invitava a imbarcarsi. Doveva cambiare aria, dare a sé stessa una nuova opportunità e Lisbona che, come già detto prima, aveva spesso sognato, le sembrava la città ideale per realizzare il suo sogno: danzare in una compagnia internazionale di spicco.
Quella di iniziare un nuovo capitolo della sua vita proprio nella capitale del Portogallo non era stata, però, una scelta ponderata. Per una buona volta, Lara aveva deciso di agire di pancia, proprio lei che si faceva sempre mille domande e che non amava improvvisare. Quella volta, invece, si era buttata dando ascolto al proprio istinto. Era successo in una giornata uggiosa, in cui si sentiva particolarmente demoralizzata e in cui, al ritorno dalle prove in teatro, camminando per il suo Corso, non di certo un campione in nettezza, aveva calpestato con un piede un foglio strappato, probabilmente ciò che rimaneva di una rivista patinata, che raccontava di Lisbona e della sua Companhia Nacional de Bailado, una delle più prestigiose compagnie di danza al mondo. Le foto parlavano chiaro: era una città bellissima e lei, Lara, non se la sarebbe lasciata sfuggire. Ci sarebbe andata per rimanerci. Quel breve attimo, in cui aveva ripercorso mentalmente tutta la sua giovane vita, le aveva aperto improvvisamente gli occhi. Lo considerava, pertanto, un segno del destino. Sì, Lisbona faceva per lei.
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Le era bastato un mesetto per organizzare tutto, licenziarsi dal teatro, salutare la sua cerchia di affetti e prepararsi psicologicamente a un cambio drastico della sua vita. Da quando aveva preso quella decisione, si sentiva costantemente su di giri: un misto tra felicità e timore per quanto l’attendeva. Non aveva però alcun dubbio su ciò che stava per fare: nel suo subconscio lo sapeva da sempre che se ne sarebbe andata da Fiume, seppure a malincuore. Era innamorata della sua città, ma sentiva che il futuro le prospettava altro. Probabilmente, un giorno, vi sarebbe tornata, ma ora doveva abbandonarla. L’aveva salutata, con il viso bagnato di lacrime, in una tiepida giornata primaverile, una di quelle in cui ci si sente per forza bene, ripercorrendo gli angoli che maggiormente amava e promettendole che quello non sarebbe stato un addio bensì un arrivederci. Come quando si salutano i genitori e il rassicurante nucleo familiare, prima di spiccare il volo verso lidi lontani per rendersi indipendenti. Il suo lido sarebbe stato Lisbona. Era pronta.
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Nelle circa tre ore di volo che le servivano per arrivare a destinazione partendo dall’aeroporto di Venezia, Lara aveva fatto mente locale immaginando i suoi prossimi movimenti una volta atterrata. Aveva preparato tutto nei minimi dettagli: le piaceva avere le cose in ordine. In quel mese di preparativi aveva comprato il biglietto d’aereo, trovato un appartamentino, dal prezzo accettabile, in cui abitare, studiato un po’ meglio la città dal punto di vista pratico, ma soprattutto contattato la Companhia Nacional de Bailado per un’audizione. Non era sicura di superarla, ma non avrebbe di certo rinunciato al primo no. In caso di bocciatura, non si sarebbe data per vinta, ma avrebbe trovato un lavoretto e continuato a studiare per poi concedersi una seconda chance. Era stata sempre molto tenace, sin da piccola, e questo lato caratteriale le era stato di grande insegnamento nei momenti cruciali della sua vita, come quello che stava per affrontare. D’altra parte, il suo problema erano le emozioni, o meglio il modo emotivo, di grande impatto, con cui viveva le cose, che spesso l’avevano consumata psicologicamente. Le bastava, però, poco per riprendersi ed era piuttosto abile nel ritrovare la forza. Stava pensando proprio a questo quando sentì il pilota annunciare che il volo stava per concludersi e che si trovavano sopra Lisbona.
Una volta a terra, Lara aveva ripreso la sua valigia e abbandonato l’aeroporto della capitale portoghese, che dal 2016, aveva letto, si chiamava Aeroporto Humberto Degrado e che da una decina d’anni era collegato al centro della città con la metropolitana (linea rossa). Era proprio quella che doveva prendere per raggiungere il quartiere in cui si trovava il suo alloggetto. Aveva avuto fortuna nel trovarne uno libero proprio in centro. E il prezzo era più che economico, visto il rione. Era riuscita a risparmiare un gruzzoletto che le sarebbe servito a coprire le spese correnti finché non si sarebbe sistemata per bene, cominciando a guadagnarsi uno stipendio in quella città che le era apparsa così spesso nei suoi, a volte travagliati, sogni.
Non era la prima volta che si trovava in metrò: nei viaggi che aveva fatto in passato in alcune grandi metropoli europee, se n’era servita spesso. Era un mezzo pubblico comodissimo e spesso si era chiesta perché Fiume non ne potesse avere una. Non era possibile, data la sua configurazione. Sì, la sua città era davvero specifica e, ora che si trovava su quel velocissimo treno sotterraneo, ne aveva sentito per un attimo una nostalgia quasi dolorosa. Sentendosi d’un tratto smarrita, aveva scacciato con forza quel pensiero contribuendo ad allentare quella morsa nello stomaco che l’aveva spinta a dubitare della sua scelta. Ma era durato un secondo. Aveva deciso di distrarsi osservando le persone che viaggiavano con lei sul treno, di concentrarsi sul portoghese, che finalmente udiva dal vivo. Una lingua meravigliosa. Si era chiesta quanto tempo le sarebbe servito per impararla. Una cosa che l’aveva particolarmente colpita, in maniera positiva, erano state le tante razze e nazionalità in cui si era imbattuta una volta a bordo, come pure le innumerevoli lingue che sentiva parlare mentre viaggiava in quell’angusto spazio sotto terra. Più che portoghese, in quel primo impatto con Lisbona, aveva sentito molto inglese, ma anche tedesco, italiano, francese e addirittura croato. Non le pareva vero. E tutti parlavano a voce bassa, sommessa, in modo molto tranquillo e rilassato. Una cosa piacevolissima a cui non era abituata, anche perché a Fiume si era sempre mossa in macchina usando raramente i mezzi pubblici. Ascoltando chiacchierare la gente, tra una fermata e l’altra, sembrava che lo stress non abitasse a Lisbona. Aveva calcolato che le sarebbe servita mezz’oretta per arrivare in piazza del Rossio (nota anche come Praça Dom Pedro IV con la Colonna di Pedro IV, monumento al re Pietro IV del Portogallo e degli Algarve) e, infatti, ci era arrivata in circa trenta minuti, stando attenta a uscire alla fermata che si chiamava appunto Rossio. Era salita per le scale della metropolitana accendendo sul telefonino Google Maps, che l’avrebbe condotta a piedi in Rua de Santa Justa, la via in cui si trovava il suo alloggio e in cui, da quel momento in poi, avrebbe abitato. Il quartiere si chiamava Baixa de Lisboa: era il cuore storico e il centro commerciale di Lisbona. Aveva scelto benissimo.
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Le finestre dell’appartamentino, un monolocale molto carino al terzo dei cinque piani dell’edificio (senza ascensore), in cui gli spazi erano stati sfruttati in maniera ottimale facendolo sembrare più ampio di quello che in realtà era, davano su quello che era considerato il cuore pulsante della città, quello che a Fiume è il Corso, ma molto più grande. Lara si era affacciata per gustarsi l’atmosfera vivace annusando l’aria che sapeva di primavera. Sì, la stagione era quella e a Lisbona il fuso orario era diverso che a casa sua, di un’ora indietro. Avrebbe dovuto memorizzarlo, giusto per non telefonare ai suoi quando già si erano coricati. D’un tratto si era sentita ebbra di felicità, ma era durato un attimo, come tutti i momenti di felicità, che generalmente non si protraggono a lungo, ma che bastano a far ballare il cuore. Una cosa che l’aveva particolarmente colpita, in questo secondo impatto (il primo era stato in metropolitana) con Lisbona, era la quantità di gente che vedeva per strada. A Fiume, ultimamente, se ne vedeva sempre meno. Era come se tutti fossero chiusi in casa. Dicono sia per colpa del Covid, ormai una semplice influenza, che aveva contribuito a estraniare le persone e a farle diventare meno socievoli. Sarà, ma per la capitale del Portogallo, quella regola sembrava non valere. Il viavai sotto casa aveva convinto Lara a cambiare i suoi piani per il pomeriggio. Invece di farsi un pisolino, per togliersi la stanchezza di dosso, aveva lasciato la valigia a terra, senza disfarla, ed era uscita in strada per una passeggiata. Tanto valeva cominciare subito a integrarsi.
Percorrendo il centro di Lisbona, aveva cercato di ricordarsi ciò che aveva letto della città. Lisbona è una città magica, l’aveva capito sin da subito, dove molto del suo fascino è legato alla sua architettura colorata e alla sua storia. Una caratteristica tipicamente portoghese sono le azulejos, ovvero piastrelle in ceramica decorate, che iniziarono a essere prodotte verso la metà dell’800 e impiegate per ricoprire le facciate degli edifici. Lara camminava con il naso all’insù, ammirando i palazzi maestosi del centro, appunto ricoperti da colorate azulejos. Era già innamorata. Il suo, con Lisbona, era stato amore a prima vista. Si sentiva a casa perché in un certo qual modo, molti degli angoli che le si presentavano agli occhi durante quella sua prima passeggiata (che poi si sarebbe trasformata in una piacevole routine quotidiana) le ricordavano Fiume. Eppure, erano due città completamente diverse. Si chiedeva il perché di quella strana sensazione. Forse per la configurazione. Lisbona, come la sua città natale, era collinosa e stracolma di scalinate che portavano nelle sue parti più alte, nei suoi sette giganteschi punti panoramici. Ecco perché era nota come la Città delle Sette colline (in portoghese Sete Colinas) con i suoi belvedere chiamati São Jorge, São Vicente, São Roque, Graça, Santa Catarina, Chagas e Sant’Ana. Nel suo primo giorno di permanenza, Lara aveva fatto in tempo a raggiungerne soltanto uno, dal quale si apriva una vista mozzafiato sulla città e, soprattutto, sul fiume Tago. In lontananza c’era pure un cruiser, che le aveva ricordato Fiume e il fatto che negli ultimi tempi se ne vedevano sempre più spesso ormeggiati in Molo longo. Un altro dettaglio che l’aveva colpita era il fatto che Lisbona aveva saputo mantenere la pavimentazione in pavé, quel particolare tipo di pavimentazione stradale fatta con cubetti di porfido o ciottoli. A casa sua, purtroppo, ne erano rimasti ben pochi di angolini simili e lei, che amava il dinamico passato di Fiume e la sua variopinta architettura dovuta ai vari governi susseguitisi nel tempo, se ne rammaricava spesso. Dopo aver ammirato il panorama, Lara era tornata in centro, passando da un altro versante, che l’aveva portata in Praça do Comércio. Non più Fiume. Ora le sembrava di essere a Trieste.
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Lara non stava nella pelle. Ce l’aveva fatta. Era riuscita a superare l’audizione. Ma non solo. L’avevano anche riempita di complimenti per la sua tecnica di danza. Da quel momento in poi, avrebbe ballato per la Companhia Nacional de Bailado con cui avrebbe poi anche viaggiato e danzato su alcuni dei palcoscenici più rinomati al mondo. La sua sede si trovava nel meraviglioso quartiere di Belém, a circa mezz’oretta di tram (o autobus, che avrebbe in seguito usato spesso per raggiungere il proprio posto di lavoro) partendo da Rossio. Sembrava tanto, ma a Lara non disturbava affatto fare, in un certo senso, la pendolare, anche perché il biglietto per i mezzi pubblici costava un bianco e un nero ed era valido sia per la metrò, che per i tram e le corriere delle linee urbane. Belém è uno splendore di quartiere, che s’affaccia sulla foce del Tago. È proprio da qui che Vasco da Gama partì per la sua impresa raggiungendo per primo le coste indiane via mare. Lo testimonia il maestoso Monumento alle Scoperte o Padrão dos Descombrimentos, eretto per celebrare l’età delle scoperte portoghesi realizzate dai navigatori tra il XV e il XVI secolo. Lara ne era rimasta incantata, ma a toglierle il fiato era stata, però, la Torre di Belém (o Torre di São Vicente), una struttura fortificata patrimonio dell’Unesco e simbolo di Lisbona. Un vero gioiellino architettonico. Aveva deciso di festeggiare proprio lì il suo ingaggio in teatro, gustandosi una piña colada con succo di ananas, tipico cocktail del posto, e la performance di un musicista di strada che cantava fado. Poi avrebbe telefonato a casa…

Rua de Santa Justa nel quartiere di Baixa de Lisboa
La capitale del Portogallo è ricca di scalinate che portano nelle sue parti più alte
Uno dei maestosi palazzi del centro di Lisbona ricoperto di azulejos
Praça do Comércio
Lisbona è nota per essere la città delle Sette colline. Ha saputo mantenere il pavé, particolare pavimentazione stradale fatta di cubetti di porfido

Rossio
Il Monastero dos Jerónimos a Belém, dove è costodita la tomba di Vasco de Gama
Il marina nel quartiere
di Belém
La Torre di Belém, sulla foce del fiume Tago
Il Monumento alle Scoperte a Belém

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