Raccontare la memoria aiuta la comprensione

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Raccontare la memoria aiuta la comprensione

TRIESTE | Lo definisce “dimenticazionismo” il giornalista Marcello Veneziani, riferendosi al processo che ci investe su esodo e foibe, a livello nazionale, sociale e che si estende anche a discipline come la storia che sparirà dalle scuole, dalle Università perché la cancellazione è ciò che ci sta succedendo, come popolo, come italiani. Perché se la memoria è solo tragedia, vedi foibe ed esodo, senza nulla di dolce, vedi patria, appartenenza, eroismo, allora è meglio dimenticare, pensare all’Iphone 11 e non farsi domande.

Grande affluenza di pubblico

Una considerazione amara, ma tanto vera con la quale il famoso giornalista conclude il suo intervento al convegno organizzato nella sala delle Rappresentanze della Regione FVG, nel Palazzo di Piazza Unità a Trieste, esteso anche a un’altra sala per l’incredibile afflusso di pubblico. Il tema è “Il ruolo del giornalismo nella diffusione della memoria dell’esodo giuliano-dalmata”, voluto e organizzato dall’Unione degli Istriani. Vi partecipa anche il governatore dell’FVG, Massimiliano Fedriga con un indirizzo di saluto in cui dichiara: “Sto notando un negazionismo che dobbiamo arginare contro chi vuole usare questa vostra sofferenza. Un modo vergognoso di affrontare i drammi della storia del Novecento, soprattutto per opportunismo partitico, mentre c’è un’unica bandiera e simbolo, quello della verità. So cosa avete dovuto sopportare voi esuli”.
Il direttore di Libero, Vittorio Feltri, interviene in diretta Internet e, al tavolo dei relatori, oltre a Marcello Veneziani ci sono anche Roberto Menia, Elisabetta de Dominis, Fausto Biloslavo e Massimiliano Lacota.

Percezione della storia

Il dibattito rientra nel programma predisposto in occasione del Giorno del Ricordo, ma starebbe bene in qualsiasi periodo dell’anno, perché apre una serie di problematiche che da sempre accompagnano il discorso sulla percezione della storia del confine orientale, prima, dopo e durante la Legge del Ricordo. Un atto centrale, fondamentale, che ha aperto il vaso di Pandora, scatenando sia le testimonianze che i negazionismi che avvelenano un impegno fatto di incontri con le scuole, con le amministrazioni, nei luoghi del Ricordo, tra gente che ancora ricorda personalmente l’esodo e dei loro discendenti che continuano a ribadire un’appartenenza difficile da definire, ma presente e palpabile.

Il dolore che non emerge

Lo si è avvertito chiaramente anche nelle relazioni di ieri sera: Fausto Biloslavo ha raccontato di un nonno che non ha mai conosciuto, spazzato via dalla storia di questo nostro territorio. Roberto Menia ha ricordato i racconti di sua madre che era di Buie e di suo nonno, Elisabetta de Dominis ha parlato delle sue origini arbesane… Cosa non emerge dai giornali, dai mass media? Non emerge il dolore, che è anche nostro, mio – afferma Feltri – per qualcosa di terribile che è successo e che si continua a ignorare. E io soffro pensando alla tragedia di questa gente. Se ne parla poco e in modo episodico, con maggiore frequenza a ridosso del Giorno del Ricordo, per rarefarsi nel resto dell’anno quando anche iniziative di notevole importanza vengono sottaciute. Perché? La nostra vicenda spesso non fa notizia.

Foto inedite di «morti viventi»

Lo conferma Fausto Biloslavo che è riuscito a denunciare il Priebke rosso, Ivan Motika, nel suo ritiro a Rovigno confortato dalla pensione italiana – riferisce –, ma per i giornali nazionali non era una notizia rilevante e così le foto inedite dei “morti viventi” reduci dai campi di prigionia di Tito. Il fatto che la medaglia italiana al presidente jugoslavo Tito, non possa venire revocata è un peso difficile da portare, alla ricerca di una giustizia che si vorrebbe invece fatta di scuse, di atti di riconoscimento, di segnali di comprensione. In questo calderone difficilmente si parla di colpe concrete del comunismo mentre i negazionisti continuano a essere ospitati a incontri e conferenze, spesso senza un contraddittorio.

Ascolto e accetazione

Non è una storia facile da comprendere, le cose da sapere sono tante, così le spiegazioni, che Lacota cerca di argomentare. Una goccia in un mare vasto se tutto questo è destinato a rimanere inter nos. In sala niente scuole, niente giovani. Tanti esuli, che gli anni hanno piegato, bloccato le gambe, arrossato gli occhi. E tante personalità, rappresentanti delle istituzioni, il Prefetto, il Questore, molti uomini in uniforme, tanti rappresentanti della società civile che magari vorrebbero, come Lacota, come Menia, una legge che colpisse i negazionisti o, semplicemente una pacificazione che passi attraverso l’ascolto e l’accettazione delle rispettive tesi e ragioni. Interviene ancora una volta Veneziani che parla di una catarsi attraverso il ritorno culturale in luoghi e situazioni che continuano, “nonostante tutto” afferma, a mantenere intatti i tratti di una civiltà piegata dalla storia, ma non finita, non ancora.

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