Dopo oltre 70 anni finalmente spezzato il silenzio sull’eccidio nel bosco di Loza

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Dopo oltre 70 anni finalmente spezzato il silenzio sull’eccidio nel bosco di Loza

 CASTUA | Nel bosco di Loza, a circa un chilometro di distanza del centro di Castua, il senatore Riccardo Gigante veniva assassinato dalle truppe del Maresciallo Tito, senza essere sottoposto a nessun tipo di processo, per poi esservi gettato insieme ad altre vittime innocenti – in tutto 7-9 italiani, tra militari e civili – in una fossa comune. Questa situazione di odio, morte e vendetta accadeva nel maggio del 1945. Da allora sono passati 73 anni di silenzio, interrotti all’inizio di luglio, quando i resti mortali delle vittime sono stati riesumati, grazie a una campagna di ricerca e recupero compiuta nel proficuo quadro della collaborazione istituzionale tra il Ministero della Difesa italiano, nella figura del Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti, e il Ministero dei Difensori croato. Non meno importante è stato anche l’apporto della FederEsuli, l’organizzazione che riunisce le associazioni degli esuli di Istria, Fiume e Dalmazia, presso i tavoli di lavoro del passato governo.

A riepilogare l’esito della ricerca è stato per noi il colonnello Maurizio Masi, responsabile della Direzione storico-statistica del Commissariato generale per le onoranze ai caduti in Guerra del Ministero della Difesa di Roma. Masi, che è l’ufficiale anagrafico dei caduti italiani della Prima e della Seconda guerra mondiale, nonché delle Missioni di pace, ha sintetizzato le tappe che hanno portato prima alla ricognizione del sito e poi ai sondaggi effettuati sul terreno con l’individuazione ed esumazione dei resti, mentre le fasi d’identificazione e di rimpatrio dei resti dei caduti sono ancora da effettuare.
“La ricerca che ha portato alla riesumazione dei caduti italiani nella fossa di Castua è stata avviata inizialmente nel 1992 dalla Società di Studi Fiumani a Roma – esordisce Maurizio Masi –. Soprattutto dalla determinazione e dalla tenacia dell’allora suo presidente, Amleto Ballarini – sostenuto da Marino Micich e Giovanni Stelli (attuali segretario generale e presidente della medesima Società, NdA.) –, che in base alle testimonianze e le indicazione di tre persone della cittadina, raccolte del parroco locale don Franjo Jurčević, è riuscito a reperire le informazioni necessarie per avanzare l’ipotesi che nel bosco di Loza fossero seppelliti caduti italiani”.

Qual è l’iter che ha portato al recupero dei resti?

“Le richieste e autorizzazioni sono arrivate per via diplomatica. L’accordo bilaterale tra i due Stati per le onoranze ai caduti risale al Duemila. Noi proponevamo da tanto tempo il sito di Castua, assieme ad altre località della Croazia, da poter approfondire con ricerche. La prima riunione importante tra il Commissariato generale e la controparte croata è stata organizzata nel novembre del 2016 a Zagabria, a cui è seguita, l’anno dopo, l’individuazione dell’area della sepoltura comune. Infine l’autorizzazione per i lavori è arrivata il 3 luglio 2018 e di conseguenza il 5 abbiamo iniziato con gli scavi, terminati a loro volta il 7”.

Come si sono svolte le operazioni?

“Il Commissariato si è appoggiato alle rappresentanze diplomatiche italiane per reperire i professionisti necessari a realizzare i lavori. Ovvero personale come traduttori, addetti ai trasporti, ma anche il medico patologo fino alla ditta impegnata a compiere i lavori di scavo. Il Console generale d’Italia a Fiume, Paolo Palminteri, è stata la persona fondamentale che ha coordinato e messo insieme le forze necessarie a realizzare i lavori”.

Qual era lo stato iniziale del sito?

“L’area in questione – con una superfice di circa 85 metri quadrati, situata lungo il percorso del bosco della Loza, a circa un chilometro dalle rovine della chiesa Crekvina –, era tutta invasa da fogliame e bosco. Da subito abbiamo iniziato gli scavi nella parte nord raggiungendo una profondità di tre metri senza ottenere alcun risultato. A quel punto ci siamo spostati nell’area sud del sito, dove a una profondità di due metri e dieci, abbiamo individuato il primo cranio umano. Da quel momento in poi sono stati rinvenuti altri resti mortali, per una quantità complessiva di cinquecento pezzi che hanno riempito 15 buste”.

Qual è la loro condizione?

“Purtroppo i resti rinvenuti erano ammucchiati tutti nello stesso punto. Sono ossa scomposte e frammiste, non connesse anatomicamente per cui non possiamo affermare che appartengano allo stesso individuo. I resti che abbiamo rinvenuto sono stati spezzati meccanicamente”.

Significa che hanno subito dei traumi?

“In questo momento non possiamo affermare se il trauma sia accaduto prima o dopo, oppure sia stato causato dal tempo. Per capirlo occorrerà l’analisi di patologia forense. Inoltre l’attuale quadro di conservazione dei reperti non permette di risalire ai singoli individui. Non abbiamo, infatti, trovato alcun documento, targhetta o altro che permetta di creare una linea d’identificazione certa. Sono tutti ignoti che – in base alle testimonianze e informazioni raccolte del parroco locale, don Jurčević –, consideriamo italiani”.

Qual è il passo successivo?

“Il lavoro passa ora al medico anatomopatologo che dovrà ricomporre il mosaico delle ossa rinvenute e identificare la natura dei traumi riscontrati. Con l’analisi medico legali sarà possibile definire il numero esatto d’individui, che noi stimiamo siano tra le 6 e 8 persone, e accertare il loro sesso”.

Una volta terminata l’analisi medico legale, che cosa accadrà con i resti?

“A quel punto speriamo di possedere maggiori indizi che permettano un’identificazione dei caduti oppure un’immagine più chiara dell’intera situazione. Il nostro compito è di assegnare un nome ai resti del caduto. Per farlo ci occorre un minimo di ragionevole certezza. Ad esempio sappiamo che il senatore Riccardo Gigante aveva una gamba più corta dell’altra e questo forse potrà essere l’indizio principale che porterà al suo riconoscimento. O magari troviamo una fotografia del senatore Gigante con una protesi dentaria. Abbiamo, infatti, rivenuto dei resti di mandibole con denti d’oro. Una volta accertata l’identificazione, i resti mortali identificati saranno riconsegnati alle famiglie, a cui spetta il diritto di scelta della successiva inumazione nelle tombe di famiglia, oppure nei Sacrari militari. Se i caduti rimangono, invece, ignoti, li porteremo tutti in Italia. Il Commissariato dovrà quindi decidere in quale Sacrario collocarli definitivamente. L’Italia possiede diversi Sacrari, alcuni dedicati alla Prima guerra mondiale, mentre per la Seconda ne esistono due. Quello di Cargnacco, dedicato alle spoglie dei caduti in Russia, e il Sacrario di Bari, dedicato ai caduti d’oltremare. I caduti recuperati in Croazia sono considerati d’oltremare e quindi al momento è molto ipotizzabile la possibilità che siano portati tutti lì”.

Il Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti pianifica altri interventi nell’area dell’Adriatico orientale?

“Pianifichiamo diverse campagne d’individuazione, recupero e rimpatrio. La campagna relativa a Castua è per noi conclusa, dato che i resti sono stati completamente recuperati. Lì non c’è più niente. Nella primavera del prossimo anno, sempre grazie alla stretta collaborazione con il Consolato generale d’Italia che ha coordinato i lavori, pianifichiamo di organizzare una campagna di ricerca a Ossero, sull’isola di Cherso. Dove lungo le mura del cimitero furono fucilati 28 militari della X MAS e sepolti in una fossa comune”.

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