Da soli non si va da nessuna parte, serve un team

Intervista con Andrea Di Anselmo, cofondatore e vicepresidente di Meta Group, una società che accompagna le start-up

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Da soli non si va da nessuna parte, serve un team

Innovazione e creatività stanno sempre più diventando un binomio senza il quale si fa fatica a centrare il successo nel mondo imprenditoriale, tanto che sempre più spesso si parla di imprenditoria innovativa. A queste due parole si aggiunge il termine “formazione”, ovvero la capacità dell’imprenditore di comprendere il suo mercato e prevedere gli sviluppi futuri, anticipando i tempi. Le start-up hanno fanno scoprire un nuovo mondo, centinaia di migliaia di giovani si cimentano in nuovi percorsi imprenditoriali e spesso, nonostante abbiano un ottimo prodotto, non riescono a piazzarlo sul mercato proprio per la mancanza di formazione, innovazione e creatività. È di questi argomenti che parliamo con uno dei massimi esperti italiani Andrea Di Anselmo, vicepresidente e co-fondatore di META Group.

 

Di che cosa si occupa META Group, qual è la sua storia, come si è sviluppata nel corso degli anni e di che cosa si occupa lei al suo interno?

“Sono uno dei fondatori della META. META Group è una società internazionale specializzata nell’erogazione accompagnamento/accelerazione di start-up e spin off e nell’aiutare la ricerca a raggiungere il mercato. I nostri principali clienti sono tutti coloro, incluse le istituzioni, che si concentrano su R&D, innovazione e imprenditorialità quali leve di sviluppo, i giovani che vogliono sfruttare le loro attività di ricerca e gli investitori interessati a iniziative con elevati potenziali di crescita. META Group opera da 25 anni a livello internazionale. La società ha sedi in Italia, Belgio, Slovenia e Polonia. Siamo stati scelti dalla Commissione europea per realizzare azioni di supporto alla R&S&I, all’imprenditorialità e alla finanza. Abbiamo portato a termine con successo oltre 800 incarichi, assistito più di 40 regioni e consegnato oltre 300 studi di fattibilità e progetti pilota in tutto il mondo.”

Un progetto «first in human»

META ha investito in più di 200 start up a rapida crescita in tutta Europa attraverso otto fondi di capitale di rischio in tre Paesi. Come investite e quali sono i criteri che seguite per i vostri investimenti? C’è un investimento al quale tenete particolarmente?

“Con META Ventures gestiamo investimenti ‘early stage’ e cioè investiamo in imprese ‘appena nate’, le cosiddette start-up. Cerchiamo e selezioniamo i team migliori, che riteniamo capaci di portare il prodotto rapidamente sul mercato. Cerchiamo imprenditori, anche alla prima esperienza, motivati e ambiziosi che condividano con noi la sfida di raggiungere un mercato globale. Tra questi, merita di essere menzionato Roberto Tonelli CEO di Biogenera, un’impresa biotech innovativa dell’Università di Bologna, che è prossima a portare in fase clinica una terapia alternativa alle cure chemioterapiche per i tumori pediatrici rari. Un ‘first in human’ che potrebbe cambiare drasticamente la qualità e l’efficacia della cura per migliaia di piccoli pazienti.

Cerchiamo di sfatare un mito. È diffusa l’idea che con le start-up è facile guadagnare molto denaro in poco tempo e quindi in molti si gettano a capofitto in un progetto, senza averlo ben definito, nella speranza di fare molti soldi quanto prima. È veramente così?

“Se le dicessi che tutti i ragazzi che giocano a pallone nella squadra del quartiere diventeranno campioni della nazionale, lei mi crederebbe? Ci vogliono talento e impegno, l’impegno da solo non basta, il talento da solo non è sufficiente. Ci vuole un’idea, ma ci vuole anche e principalmente un team. Un gruppo che dimostri di saper raggiungere il mercato e conquistarlo. Servono ‘imprenditori’, anche alla prima esperienza, motivati ed ambiziosi che condividano con noi la sfida di raggiungere un mercato globale e non si accontentino. Poi a volte i soldi arrivano, spesso non il giorno dopo!”

Tra le vostre attività figura anche quella riguardante la promozione dello spirito imprenditoriale. Concepire, lanciare e far crescere una start-up basata sulle conoscenze richiede molto più di un ambiente favorevole e un investimento finanziario. Che cos’è questo “molto di più”, ovvero quali sono gli ingredienti per uno spirito imprenditoriale vincente?

“Come evidenziavo prima ci vuole ambizione, capacità nel fare e nel raggiungere obiettivi, perseveranza. Non bisogna scoraggiarsi ai primi fallimenti, ma nemmeno intestardirsi, ma servono anche capacità che consentono di comprendere quello che sta accadendo e una visione nel gestire risorse scarse. Saper anticipare le sfide in maniera innovativa e non semplicemente reagire ai problemi.”

Ecosistemi innovativi

Lei è coinvolto nello sviluppo di progetti destinati alla creazione di ecosistemi innovativi. Ci può spiegare meglio di che cosa si tratta?

“Per poter fare bene ed essere veloci non possiamo fare tutto da soli, in isolamento. Dobbiamo essere in grado di confrontarci con altri, e acquisire quello che ci manca, ‘accedere alle risorse’ come dicono gli esperti. Un ecosistema è quell’insieme di infrastrutture e servizi, anche servizi sociali, con il quale dobbiamo interagire per poter fare crescere le nostre idee e farle diventare un’impresa di successo. Più l’ecosistema è ‘moderno’, ‘innovativo’ più la nostra impresa accelera. Purtroppo, la maggior parte degli ecosistemi sono ancorati a una visione del passato, poco aperta alle nuove tendenze e alle nuove modalità di lavoro, di accesso ai servizi, alla conoscenza, alla finanza e ultimo, ma non in ordine di importanza, ai mercati.”

In occasione dell’Italian business forum svoltosi a Lubiana, nel suo intervento ha sottolineato l’importanza di investire nel talento sin dalla più tenera età, prendendo esempio da quanto avveniva in passato all’epoca dei grandi artisti e dei mecenati, ma anche dalla realtà svedese. Ce lo può spiegare meglio?

“La creatività è un talento importante e raro. In passato ci sono stati dei grandi visionari che hanno scelto di investire in creatività – in tutti i settori, dalle scienze all’arte, dalla letteratura alle esplorazioni –; oggi, molto di quello di cui parliamo o che osserviamo intorno a noi è la diretta conseguenza di quegli investimenti, che accaddero in un brevissimo orizzonte temporale. Oggi non siamo più capaci a fare altrettanto. Non capiamo che servono non solo co-working space o business angels, ma anche e principalmente servizi per giovani coppie, leggi che permettano alle donne di lavorare al pari degli uomini, asili nido, etc. Come fanno i giovani a diventare imprenditori di successo se non trovano i servizi giusti per loro? Ecco, questo in Svezia lo hanno capito.”

Italia, Slovenia, Europa

Quali ritiene che siano i pro e i contro del fare start-up in Italia rispetto magari ad altri Paesi europei come la Slovenia dove siete presenti? Quanto e come l’Italia supporta l’imprenditoria innovativa?

“La difficoltà nel fare impresa in Italia è relativa al fatto che il nostro è un Paese grande, complesso, ma anche frazionato. La burocrazia è pesante e i tempi della giustizia sono lunghissimi. Tutto questo non lo rende un posto facile per il ‘business’. Ma chi ha successo in Italia, avendo vinto spesso contro tutti, ha enormi possibilità di crescita anche a livello internazionale. In Slovenia la difficoltà è nella dimensione, troppo piccola e nella burocrazia che spesso opera come se fosse una fortezza inespugnabile e invincibile, poco disposta a essere al servizio dell’impresa. Recentemente in Italia si sta facendo moltissimo per le start-up innovative con una legislazione tutta per loro e nuovi strumenti finanziari. L’importante è che si faccia largo a giovani coraggiosi.”

L’anno scorso è stato anche a un convegno a Zagabria. Quanto conosce la scena delle start-up in Croazia e cosa ne pensa? Più in generale, cosa ne pensa del sistema Croazia. A suo avviso, è un Paese “amico delle imprese”?

“Le imprese si moltiplicano dove c’è un mercato aperto, dinamico e in forte crescita, disponibilità di talenti e facilità di accesso. Gli incentivi fiscali aiutano, ma non sono tutto, come le imprese arrivano poi se ne vanno. Lo sappiamo bene anche in Italia. La Croazia si sta avviando a diventare un grande Paese, più moderno e come tutti i Paesi in ‘transizione’, tiene un piede ancorato nel passato e uno ancora ‘appoggiato’ sul futuro. Fatto il salto penso che la Croazia possa attrarre giovani e imprese.”

Il talento si può coltivare

Quanto conta la formazione per la crescita e la nascita di nuovi progetti imprenditoriali?

“Il talento si può coltivare, non lo si può costruire insegnandolo a scuola. Quello che conta è la capacità di comprendere quello che sta succedendo, il saper governare gli strumenti richiesti per quel tipo di mercato/problema, essere in grado di confrontarsi a livello internazionale e sapersi circondare delle persone giuste. Quanto questo possa essere insegnato da un professore, magari all’Università, lo lascio discutere ai suoi lettori.”

Oggi sembra che esista un’app per qualsiasi tipo di servizio. Quali settori rimangono, invece, ancora scoperti? Su che cosa si potrebbe puntare?

“Non lo deve chiedere a me, lo chieda ai giovani talenti croati, loro sapranno rispondere.”

Dall’idea alla realizzazione di un’attività imprenditoriale il passo è lungo. Cosa consiglia a un giovane che ha un idea che ritiene buona, ma non sa come muoversi, o meglio non sa come realizzarla?

“Trovare un team, da soli non si va da nessuna parte. Insieme si può validare l’idea, prima di investire tempo e denaro a sviluppare una cosa che non serve a nessuno! Verificare con i potenziali acquirenti/utenti se il problema che si vuole risolvere è realmente un loro problema. Se è effettivamente un problema allora si deve capire come lo stanno risolvendo per poter offrire una soluzione migliore! Se così non è allora vale la pena abbandonare l’idea e passare ad altro. “Fail fast, fail cheap”, dicono gli americani”.

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