«Rosso Istria» respira internazionale

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«Rosso Istria» respira internazionale

Per Istrapedia, l’enciclopedia online della regione istriana, Norma Cossetto era una “fascista, vittima delle foibe partigiane”, appartenente “a una famiglia di proprietari terrieri di Castellier-Santa Domenica, fascisti di spicco (il padre era sindaco di Visinada e ufficiale della milizia fascista)”, lei stessa “iscritta ai gruppi universitari fascisti”. Nelle brevi note non si dimentica di rilevare che nel 1944 a Trieste prese il suo nome un gruppo d’azione femminile, formazione paramilitare della Repubblica sociale italiana, “che per gli esuli è diventata simbolo di martirio”, che nel 2005 l’allora presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, l’ha insignita della Medaglia d’oro al merito civile, che le sono state dedicate vie e istituzioni, che dal 2009 ha un monumento a Trieste e che allo stesso anno risale un tentativo di intestarle la Comunità degli Italiani di Castellier-Santa Domenica, bloccato dalle proteste delle associazioni dei combattenti antifascisti dell’Istria perché “essendo un’attivista fascista” era da ritenersi “responsabile di molti crimini commessi ai danni degli Istriani” – parole riprese da un articolo del quotidiano regionale “Glas Istre” – e “oltretutto il padre e lo zio erano criminali di guerra”. La chiave di lettura proposta è che di fronte alle malefatte del Ventennio nero (accertate, esecrate, che nessuno prova a negare, ridurre, relativizzare e men che meno “giustificare”), il calvario inflitto a Norma Cossetto da un gruppo di partigiani titini in un certo senso “non fa testo”. Ossia va inquadrato nella situazione di esasperazione provocata dalla politica di Mussolini e delle norme e azioni vessatorie del regime. Per altri è un episodio tutto sommato marginale in quel bagno di sangue e atrocità che fu la Seconda guerra mondiale, la cui responsabilità non è attribuibile a Tito e ai suoi uomini. Impostata pressappoco in quest’ottica pure la critica del quotidiano croato di Fiume, “Novi List”, che ha stroncato il film “Red Land – Rosso Istria”, la pellicola che porta per la prima volta sugli schermi il caso Norma Cossetto. Da non vedere, a detta del giornalista. E possibilmente da non far vedere. Come se l’oblio potesse cancellare l’orrore e l’onta di chi lo ha commesso.

Il film rappresenta proprio questa parte del passato, affermando un concetto molto semplice, che a quanto pare non tutti riescono a far proprio: un crimine resta un crimine. Proiettare “Rosso Istria” proprio nelle terre in cui è ambientato il crimine, rende partecipe della sua visione la popolazione tutta è un invito a riconoscere quelli che sono stati i traumi del passato, perché senza renderci conto di ciò che è stato, a prescindere dalle “parti”, non possiamo guardare serenamente al futuro. “Chi fa il contrario, chi cerca di sminuire quello che è successo da una parte rispetto a quello che è accaduto dall’altra non fa il bene di nessuno”, ha ribadito a Trieste l’assessore alle Politiche comunitarie e corregionali all’estero della Regione Friuli Venezia Giulia, Pierpaolo Roberti. E il cinema, è risaputo, riesce laddove non ce la fanno o mancano i libri. “Questo film fa vedere soltanto la punta di un iceberg – ha dichiarato Antonio Ballarin, presidente della Federazione delle associazioni degli esuli giuliano-dalmati, alla presentazione ufficiale del film, il 6 novembre scorso a Roma –. Abbiamo migliaia di persone che hanno patito per queste vicende e chiediamo giustizia, sperando che qualcosa cambi nei nostri confronti, per chiudere un capitolo triste di una storia che non è mai stata raccontata e della quale questo film parla chiaro”. La pellicola ha “il pregio di raccontare le violenze subite dagli italiani. È giusto sapere che cosa è accaduto, non soltanto i crimini nazisti e fascisti ma anche quelli comunisti – ha commentato in quella stessa sede, il presidente dell’Unione Italiana, Maurizio Tremul –. È un film che è la dimostrazione lampante di quanto le ideologie nazionaliste abbiano stravolto i territori e le genti dell’Alto Adriatico orientale. È stato un dramma che ha diviso un popolo che era maggioranza sul territorio. Spero che il film possa circuitare anche in Croazia e Slovenia”.
Un auspicio che diventa realtà. Grazie ai fondi assicurati da Roma, l’Unione Italiana ha rilevato dalla Venicefilm production e dal produttore Alessandro Centenaro i diritti del film per la Croazia e la Slovenia e le prime due proiezioni si terranno il 22 e 23 febbraio al Cinema Odeon di Isola. Poi si proseguirà (in tutto il 2019 e forse anche nel 2020) in altre località del territorio, in collaborazione con le Comunità degli Italiani che lo hanno richiesto. “Non sarà una semplice proiezione, ci sarà un momento di discussione, che vedrà la partecipazione del pubblico e di personalità locali e internazionali”, ha spiegato Tremul. Da parte UI, “non c’è nessun intendimento politico, ma solo la volontà di far conoscere la realtà di questi territori”, un dramma che è realmente accaduto, una vicenda raccontata con grande sensibilità, in maniera molto equilibrata, senza dimenticare nulla o quasi del contesto storico in cui si svolge.

Dimensione artistica

Notevole la dimensione artistica di “Red Land”, confermata anche dall’ottenimento, da parte del Ministero italiano per i Beni e le attività culturali (MiBAC), della qualifica di “film d’essai”, che indica lavori “di qualità, aventi particolari requisiti culturali e artistici idonei a favorire la conoscenza e la diffusione di realtà cinematografiche meno conosciute, nazionali e internazionali”, che presentano “spiccati elementi di ricerca o di sperimentazione riconoscibili nel linguaggio cinematografico, nell’impianto e nella struttura narrativa, nell’uso delle fonti e nelle tecniche di ripresa ovvero di montaggio, nel rapporto fra contenuti narrativi e contenuti documentaristici ovvero fra contenuti ripresi con tecniche tradizionali e contenuti realizzati con tecniche digitali, nelle modalità di produzione, realizzazione e distribuzione”.
Un riconoscimento assegnato a fine 2018 complessivamente a venti produzioni italiane, americane, inglesi, russe, spagnole e francesi. Oltre a “Red Land”, ci sono altre sette produzioni italiane: “1938. Diversi” di Giorgio Treves, sulle leggi razziali; “Capri-Revolution” di Giorgio Treves; “Conversazioni atomiche” di Felice Farina; “Il destino degli uomini” di Leonardo Tiberi”; “La befana vien di notte” di Michele Soavi; “L’uomo che rubò Banksy” di Marco Prosperio e “Il testimone invisibile” di Stefano Mordini. Dodici invece quelle straniere, di cui cinque statunitensi (“Ben is Back” di Peter Hedges, “Il ritorno di Mary Poppins” di Red Marshall, “Olma Man & Gun” di David Lowery, “Sulle sue spalle” di Alexandra Bombach e “Un piccolo favore” di Paul Feig), tre francesi (“Il gioco delle coppie” di Olivier Assayas, “Lola + Jeremy” di July Hygreck e “Nelle tue mani” di Ludovic Bernard), due inglesi (“Lo sguardo di Orson Welles” di Mark Cousins e “Widows eredità criminale” di Steve McQueen), una spagnola (“Non ci resta che vincere” di Javier Fesser) e una russa (“Summer” di Kirill Serebrennikov).

Voto «molto buono»

Per quanto riguarda la critica italiana, la sua visione è consigliata da Mymovies.it – magazine e database italiano online di informazione cinematografica, primo sito in Italia di cinema per utenti unici e la più grande risorsa online sul cinema in lingua italiana (al gennaio contava oltre 500mila utenti unici giornalieri, 100mila schede di film dal 1895 a oggi, complete di cast artistico e tecnico, oltre 600mila recensioni e commenti dei lettori) –, dove “Rosso Istria” porta a casa un solido 3,79/5, rispettivamente 3,5 come voto di Mymovies e 4,09 da parte del pubblico. Secondo il sito, in Italia al box office “Red Land” ha incassato 56,6mila euro nel primo weekend e 153mila euro nelle prime nove settimane di programmazione (è nei cinema italiani dal 15 novembre).
“Un film storico dalla buona qualità spettacolare, che ricorda il passato per costruire un futuro diverso”, afferma Giancarlo Zappoli su Mymovies. “Maximiliano Hernando Bruno è riuscito a trovare in buona misura la chiave giusta per raccontare quei giorni e quelle vicende, cioè per adempiere a uno dei molteplici compiti del cinema: fare memoria. Diciamo in buona misura perché qualche accentuazione melodrammatica non manca (il capobanda titino è il Male assoluto così come al comunista italiano vengono offerti i tratti del traditore della propria gente, anche per risentimento amoroso, con possibilità di riscatto finale come nell’opera lirica). Nel complesso però la sceneggiatura sa mostrare con equilibrio sia la sensazione di smarrimento conseguente all’8 settembre, sia ciò che anima nell’intimo le varie parti in causa. Il generale Esposito espone tutte le perplessità dell’Esercito dinanzi a una guerra sbagliata voluta dal fascismo così come non viene taciuta l’italianizzazione forzata dell’area condotta negli anni dal regime”.

«Lo davo per scontato che arrivasse in istria»

Sono piaciute poi tanto l’interpretazione (nel cast, oltre a Selene Gandini nei panni di Norma Cossetto, ci sono attori del calibro di Franco Nero nel ruolo del professor Ambrosin, Gerladine Chaplin in quello di Giulia Visantrìn, un’amica della famiglia Cossetto, mentre lo sloveno Romeo Grebenšek veste con grande bravura i difficili panni di Mate, il boia titino) quanto l’ambientazione e la fotografia. Per diversi ha la caratura di un film internazionale. Soddisfatto Maximiliano Hernando Bruno (Buenos Aires, 1977), che ha così commentato la diffusione in Istria: “Sono contento, ma diciamo che, dal mio punto di vista, davo un po’ per scontato che ciò avvenisse, nel senso che mi sembrava doveroso che dopo settant’anni un film che per la prima volta parla di questa tematica venisse proiettato nei luoghi in cui tutto questo è accaduto”.

Nonostante un certo ostracismo, la lista delle città in cui viene richiesto si allunga di giorno in giorno.

“Sì, da parte del pubblico la risposta c’è stata e continua a esserci. Come successo, il film sta andando allo stesso livello di altre pellicole ben più blasonate e pubblicizzate, anzi in molti cinema ha avuto un riscontro addirittura maggiore rispetto ai film americani, con la differenza che questi hanno avuto a disposizione 200, 300 o anche 500 sale e noi ben poche. Comunque, poco alla volta abbiamo raggiunto quasi tutte le maggiori città e tutte le regioni italiane. Forse l’unico posto in cui ancora non siamo arrivati è la Sardegna”.

Si è messa molta cura nel realizzare quest’opera cinematografica.

“Non è facile fare un film così controverso e allo stesso tempo con la responsabilità di rappresentare una parte importante di storia e delle persone che sono state coinvolte in queste vicende. C’era una forte pressione, da tutti i punti di vista. Bisognava essere molto prudenti e dettagliati. Era fondamentale che questo film fosse perfetto e di alto livello in tutti i suoi aspetti, artisticamente e tecnicamente, nella ricostruzione storica, nella resa degli attori, nella fotografia… Sapevo già che per la tematica trattata e perché ritenuto politicamente un po’ controverso avrebbe attirato su di sé lo sguardo di tutti. Quindi, un difetto dal punto di vista tecnico o artistico, o una cosa non riuscita, poteva diventare la scusa per metterlo da parte. Ed essendo politicamente sconveniente, c’erano quelli che non aspettavano altro. Dunque, bisognava evitare che si usasse un pretesto per attaccarlo e squalificarlo. Diciamo che il film si è rivelato inattaccabile, non è di parte, è onesto, racconta i fatti, non prende posizione, anche perché io sono completamente apolitico, nel senso che non sono né di destra né di sinistra, la politica non m’interessa, anzi m’annoia. Alla fine, più di tanto non ci sono state contestazioni, oppure possiamo dire che sono state relegate a una percentuale molto piccola di persone imbecilli, che ci sono e ci saranno sempre. Per me conta la risposta della critica e del pubblico e, soprattutto, per me la cosa più importante era che le persone coinvolte, che hanno vissuto sulla propria pelle questa storia, o i loro figli e i nipoti cresciuti negli anni ascoltando queste vicende, vedendo questo film si riconoscessero. Questo c’è stato, tanti ci hanno detto che siamo riusciti a tirar fuori la storia a far rivivere il dolore e ciò significa che il film ha fatto centro”.

Come mai la scelta di realizzare un’opera con questo soggetto? Non ha un legame di discendenza con queste terre, non è coinvolto direttamente…

“Come succede spesso nella vita, è proprio chi non è coinvolto in una storia che poi diventa quello che può farla uscire allo scoperto. Forse è proprio questo il motivo. Proprio per il fatto di non avere nessun legame politico e nessun legame con la storia, ero talmente libero, non avevo nulla da perdere e tutto da guadagnare nel raccontare questa storia, che non ho avuto dubbi. Era stimolante il fatto che potessi essere io per la prima volta a narrare una storia di questo tipo, il primo ad affrontare delle scene anche forti come ad esempio un infoibamento, per la prima volta ricostruito in un film”.

Come preparazione, vi siete basati sui libri, sulla memorialistica, avete sentito i testimoni?

“Collaboro da diversi anni con la Venicefilm e sia io che la produzione avevamo in passato già fatto lavori in questo ambito, con dei documentari che parlavano dell’esodo (‘La memoria negata’ e ‘L’Italia dimenticata’, ndr), per i quali avevo fatto diverse interviste ai protagonisti di questi eventi, tra cui anche alla sorella di Norma, Licia Cossetto. Quindi, anche se non l’ho appreso a scuola perché purtroppo questa materia non s’insegna, conoscevo già tutto sull’argomento”.

Altre aspettative e sfide?

“Le sfide sono tante. Personalmente e insieme con la produzione siamo puntando a una distribuzione anche all’estero, in Spagna, in Germania, in Francia, in Russia… Il film è tecnicamente valido, piace e può arrivare benissimo anche nei cinema di altre nazioni europee o nei festival internazionali, con una visibilità ancora maggiore. Siamo partiti dall’Italia, la speranza è che questa storia arrivi in tutto il mondo. Anche questo è lo scopo del film: far conoscere la storia proprio a tutti e dappertutto”.

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