La «prima vittima del fascismo»

La breve vita dello Stato libero di Fiume: 12 novembre 1920 – 3 marzo 1922. Cent'anni fa un golpe rovesciò il governo di Riccardo Zanella. Gli autonomisti si rifugiarono a Portorè e il loro leader non tornò mai più in città

0
La «prima vittima del fascismo»

Il 12 novembre 1920 – dopo che Gabriele D’Annunzio aveva costituito la Reggenza Italiana del Carnaro e occupate le isole di Veglia e Arbe – che Italia e Jugoslavia, allora Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, si accordarono per superare l’impasse e firmarono il Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 col quale regolavano le proprie relazioni. In merito a Fiume, entrambe le Nazioni decidevano di rinunciare alla città e costituire lo Stato libero e indipendente di Fiume, sotto la loro garanzia, che si estendeva dal fiume Eneo a levante fino a Volosca a ponente, “impegnandosi a rispettarlo in perpetuo”, sotto la loro garanzia, e stabilendo per il porto di Fiume una funzione commerciale utile per tutta l’Area balcanica e il Centro-Europa orientale.

 

Il nuovo Stato fiumano fu subito riconosciuto dalle nazioni più importanti del mondo e ciò obbligò il Governo di Roma a passare dalle parole ai fatti inviando un ultimatum a sgomberare la città – occupata da D’Annunzio –, che fu disatteso dal Comandante. Anzi, la risposta che giunse dalla Reggenza del Carnaro fu che le ostilità sarebbero iniziate dalle ore 18 del 23 dicembre 1920.

Si giunse così all’inevitabile scontro fratricida. L’attacco iniziò il 24 dicembre 1920 con il cannoneggiamento del palazzo del Governo, dove risiedeva il Comandante, da parte della corazzata italiana “Andrea Doria”, e gli scontri si protrassero sino al 29 dicembre con 54 morti tra i soldati regolari e i legionari, e fra i morti ci furono anche alcuni civili. Nei cinque giorni di scontri ci furono pure 207 feriti, cinque ponti ferroviari distrutti e centinaia di case danneggiate. Quell’evento fu conosciuto e ricordato come il “Natale di Sangue”, dove fratelli contro fratelli si batterono per la città Olocausta

D’Annunzio ordinò la sospensione delle ostilità (per evitare spargimenti di sangue tra italiani), al cimitero di Cosala raccolse pietosamente tutti i morti nelle loro bare, coperte da un’unica bandiera tricolore, e fece davanti a loro e a una moltitudine fiumana in lacrime, il suo toccante discorso di cordoglio, prima di ritirarsi definitivamente. Lasciò Fiume il 18 gennaio 1921. Sulla mesta strada del ritorno trovò a Cantrida – distese sulla strada per impedire a lui e ai legionari di lasciare la città – le donne fiumane con fiori e in lacrime. Quella fu l’ultima espressione della febbre fiumana per l’Italia e per il Comandante.

La quiete impossibile

Ma quei due anni scarsi di occupazione dannunziana avevano gettato la città in una situazione economica disastrosa prodotta dai blocchi terrestri e navali italiani che avevano isolato la città, il porto e le sue industrie. La popolazione era affamata e ancora succube di esaltati di ogni genere che si erano aggregati all’Impresa dannunziana e che erano rimasti in città. Erano finiti gli scontri tra dannunziani ed esercito regolare italiano, ma la quiete cittadina veniva ora turbata da scontri tra fiumani autonomisti e fiumani irredentisti ai quali si stavano aggiungendo dannunziani, che rientravano clandestinamente in città.

A capo degli autonomisti c’era Riccardo Zanella, leader del Partito Autonomo costituito da Michele Maylender nel 1896 durante il periodo ungherese, che aveva coniato il motto “Fiume ai Fiumani”, acquisendo consensi tra le differenti etnie timorose della politica italiana, scossa da disordini e con il movimento fascista sempre più in auge. L’obiettivo era quello di recuperare l’eredità del corpus separatum ungherese con il suo hinterland centro-europeo, basandosi su cospicui finanziamenti da paesi amici come l’America.

Riccardo Zanella, nato a Fiume il 27 giugno del 1885: presidente dei fiumani, alle sue spalle 50 anni di lotta per i diritti di Fiume, 25 anni di esilio, 2 condanne a morte e 20 attentati

A capo degli irredentisti c’era Riccardo Gigante, già sindaco nel periodo dannunziano, con il suo movimento “Blocco Nazionale” cui aderivano anche dannunziani che quotidianamente rientravano a Fiume. D’Annunzio aveva perso il primo round e meditava il sogno dell’annessione affidando l’incarico di progetto di un golpe al tenente Ernesto Cabruna, Medaglia d’Oro per memorabili azioni di battaglie aeree nel corso della Grande Guerra. Per gli irredentisti l’obiettivo principale era l’annessione all’Italia a prescindere che in tale ipotesi il porto di Fiume sarebbe diventato marginale e secondario rispetto a Trieste e Venezia.

Il 5 gennaio 1921 venne costituito un Governo provvisorio con il compito di predisporre le elezioni per l’Assemblea costituente, mentre l’Esercito italiano vi rimase a occupare la città con la motivazione di garantirne la sicurezza pubblica. Purtroppo la città stentava a raggiungere la normalità, disturbata da scontri quotidiani tra i gruppi avversi, e così da Roma giunse un Commissario straordinario nella persona del generale Luigi Amantea, che indisse le votazioni per il 24 aprile 1921, dove i fiumani furono chiamati a un referendum pro o contro lo Stato libero.

Nel contempo vanificò i tentativi di Zanella di procurare indispensabili investimenti statunitensi, quellidalla Standard Oil Company del miliardario Rockefeller, occupando illegalmente di fatto sia il porto che la Stazione ferroviaria. Quando in città si sparse la notizia che stavano vincendo gli autonomisti, gli irredentisti guidati da Riccardo Gigante e fascisti triestini capeggiati da Francesco Giunta invasero i seggi e bruciarono le urne, ma il gesto fu inutile perché i verbali delle votazioni erano già in mano notarile.

Riccardo Zanella vinse in città con 4.482 voti contro 3.318 e nel territorio fiumano i consensi furono 1.632 voti contro 122: in totale, 6.114 fiumani si espressero a favore dello Stato Libero contro 3.440 per l’annessione all’Italia. Fu una vittoria schiacciante, grazie anche ai croati fiumani e ai fiumani di altre nazionalità che votarono per lo Stato Libero per non diventare italiani.

Ma passarono solo pochi altri giorni e gli irredentisti con un colpo di mano si impadronirono del Municipio, nominando un Governo Eccezionale affidato a Riccardo Gigante. Questo fatto costrinse gli esponenti dell’autonomia a fuggire a Buccari, nel vicino territorio croato, rispettivamente sotto la sovranità del Regno SCS. Era il 27 aprile 1921, ma il fermo intervento del commissario straordinario Caccia Dominioni, in rappresentanza del Governo italiano, indusse Gigante a sospendere la violenta illegalità e consegnare il potere a Salvatore Bellasich subito il giorno successivo.

Francesco Giunta, già protagonista degli incendi dell’Hotel «Balkan» di Trieste e della Camera del Lavoro di Monfalcone, fu un esponente di primo piano del fascismo di confine. Ricoprì varie cariche, tra cui quella di Governatore della Dalmazia dal febbraio 1943. Dopo l’armistizio, aderì alla Repubblica Sociale Italiana. Al termine della seconda guerra mondiale, la Repubblica socialista federale di Jugoslavia lo accusò di essere un criminale di guerra e, tramite la Commissione alleata (in data 24 gennaio e 14 ottobre 1946), ne richiese, invano, all’Italia l’estradizione

La situazione precipita

Si procedette quindi alla formazione di un Governo provvisorio dello Stato Libero e finalmente il 5 ottobre 1921 si giunse alla nomina dell’Assemblea Costituente che elesse a presidente Riccardo Zanella, il quale trovò da subito il suo compito molto difficile non solo per il boicottaggio degli irredentisti in seno alla Costituente, ma anche per la difficoltà di reprimere i disordini che quotidianamente scoppiavano in città.

L’incidente più grave avvenne il 27 giugno 1921, quando si venne a sapere che il Porto Baross (scalo legnami del porto di Fiume) e il Delta dell’Eneo sarebbero stati assegnati alla futura Jugoslavia in cambio della sua rinuncia su Fiume. Ci furono 5 morti tra i civili, uccisi dagli Alpini italiani, tra cui il giovane Glauco Nascimbeni, al quale poi venne intitolata una strada.

I membri della Costituente, con al centro Zanella, esuli a Portorè il 24 marzo 1922

Purtroppo i lavori dell’Assemblea costituente proseguivano con lentezza e le difficoltà erano quotidiane a causa dei boicottaggi dannunziani, mentre gli scontri e le violenze giornalmente aumentavano. Nei primi tre mesi del 1922 la situazione precipitò: il 28 febbraio la Guardia fiumana di Zanella fu incolpata di aver ucciso in uno scontro il legionario Alfredo Fontana, il primo marzo fu sequestrato dai fascisti un giovane fiumano e il 2 marzo venne ucciso da ignoti un giovane fascista pisano. E ciò in aggiunta a tante altre violenze.

Tutti questi disordini erano concertati dagli oppositori dello Stato libero, e in particolare dal già citato Ernesto Cabruna, che in seguito verrà premiato con la Medaglia d’Oro al Valore Fiumano. Cabruna il 2 e 3 marzo 1922 organizzò l’azione armata contro Zanella prendendo pretesto dall’uccisione del legionario Fontana. Dopo sei ore di disperata resistenza, quando le cannonate dei rivoltosi stavano arrivando sul palazzo del Governatore, Zanella si arrese, e dopo avere firmato due lettere di dimissioni, fu prelevato e portato a Pola insieme al suo ministro dell’Interno, il fedele Mario Blasich.

Riccardo Zanella, il presidente dei fiumani: 50 anni di lotta per i diritti di Fiume, 25 anni di esilio, 2 condanne a morte e 20 attentati

Brigantaggio politico in grande stile

Qui fu poi rimesso in libertà e attraverso varie peripezie egli si ricongiunse con i circa 3.000 autonomisti – tra cui mio padre ospitato a Zurkovo – che si erano rifugiati in territorio croato nella zona tra Sussak e Buccari per sfuggire alle violenze fasciste. A seguito di un nuovo, l’ennesimo attentato ontro la sua persona, fortunatamente sventato anche questo, Zanella e i suoi ministri si spostarono a Portorè (Kraljevica), dove rimasero in precarie condizioni economiche.

Si concluse così la breve e tormentata vita dello Stato Libero fiumano nato il 12 novembre 1920, vittima di un colpo di stato orchestrato dagli irredentisti fiumani e dannunziani, supportato in massima parte dal neo costituito Fascio triestino con l’intervento di tre deputati del Parlamento italiano (Giovanni Battista Giuriati, che nel 1919 era stato il regista dell’Impresa di Fiume, poi diventato ministro per le Terre Liberate; Alberto De Stefani, in seguito ministro delle Finanze; Francesco Giunta, già protagonista degli incendi dell’ Hotel “Balkan” di Trieste e della Camera del Lavoro di Monfalcone, nominato segretario del Partito Fascista). Tutto ciò con la connivenza delle forze militari italiane, alle quali “erano affidati l’ordine e la protezione”.

“La cosiddetta rivoluzione del 3 marzo 1922 in realtà fu soltanto un’azione di brigantaggio politico in grande stile, preparata in collaborazione di tre deputati del Parlamento italiano – così Zanella commentò l’accaduto – ed eseguito da cittadini del Regno d’Italia, con la partecipazione di non più di 200 cittadini fiumani e con la cooperazione materiale e diretta di elementi dei Regi Carabinieri, della Regia Finanza, della Regia Marina, e sotto la protezione della delittuosa passività degli altri reparti dei Carabinieri e delle Regie Truppe di terra e di mare che si trovavano a Fiume, in Abbazia e Mattuglie”.

L’allora console statunitense a Fiume, Wilbur Keblinger, fu un diretto testimone oculare del golpe dalla finestra del suo ufficio in via XXX Ottobre (Palazzo INA, dove c’era la Farmacia Skodnik) proprio in faccia al palazzo del Governo, dove Zanella e i suoi si difendevano. Già in data 18 febbraio il diplomatico aveva segnalato nel suo rapporto a Washington l’aumentata attività dei fascisti, sempre più minacciosi, appoggiati dai toni propagandistici del quotidiano “La Vedetta d’Italia”.

Nel suo racconto, dice che alle 5 di mattina del 2 marzo una grande dimostrazione fu fatta per terrorizzare la città con lancio di bombe e fuoco di armi portatili sopra l’intera città fin verso le 9 di mattina. Poi, dal primo mattino del 3 marzo, un grande attacco iniziò con tremende esplosioni di bombe nelle vicinanze del palazzo del Governo. Un grosso cannone o forse un mortaio da trincea fu piazzato proprio sotto il muro del consolato, dove l’angolo è mancante, e a ogni scarica tutto l’edificio tremava, rompendo i vetri superiori.

I carabinieri italiani, ufficiali e truppa – osserva Keblinger – erano con i fascisti e li incoraggiavano e lo stesso console vide i carabinieri sparare contro il Palazzo del Governo mentre durante l’intera mattinata una piccola nave da guerra italiana con un cannone da 76 mm sparava i suoi colpi causando danni a molti edifici. Verso le 11 un colpo raggiunse il palazzo seguito da molti altri.

Antifascista e profugo

La situazione era diventata insostenibile e il presidente Zanella alle 12.30 – dopo sei ore di combattimenti – chiese al colonnello dei carabinieri la cessazione delle ostilità mettendosi sotto la sua protezione, mentre i fascisti ai quali si aggiunsero i carabinieri, gridavano “Morte a Zanella”. Nel rapporto del console Keblinger inviato a Washington il 4 marzo 1922 si legge anche che fascisti, carabinieri e altri saccheggiarono il palazzo da cima a fondo, tra cui le nuove divise acquistate per la Polizia zanelliana. Il presidente Riccardo Zanella non rientrò mai più a Fiume. Visse a Belgrado sino all’assassinio di re Alessandro di Jugoslavia e poi – non sentendosi più al sicuro perché controllato in quanto antifascista – si trasferì a Parigi.

Zanella aderì all’antifascismo e con gli autonomisti rimasti a Fiume, come Antonio Luksich Jamini, Angelo Adam, Mario Blasich, Giovanni Stercich e Nevio Skull, lavorò all’idea di un nuovo Stato Libero. Ci furono anche incontri con la Resistenza jugoslava, ma non sorbirono effetti positivi di collaborazione. Al termine della guerra, nel 1945 chiese alle Nazioni Unite e al Consiglio dei Ministri degli Esteri di restaurare lo Stato libero di Fiume. Morì, nel secondo esilio di Roma, in povertà, il 30 marzo 1959, dimenticato da tutti. È sepolto al cimitero del Verano

Con la caduta della Francia nella seconda guerra mondiale, venne arrestato su segnalazione di Roma e internato nel Campo di Disciplina di Le Vernet nei Pirenei per tredici mesi, dove anche un altro fiumano, Leo Valiani (Leo Weiczen) aveva fatto la stessa esperienza. Al termine del secondo conflitto mondiale, si trasferì a Roma, dove cercò di salvare le sorti della nostra sfortunata città. Costituì un Ufficio di Fiume in Via dei Giustiniani 5 a Roma, ma con scarso successo. Ben 25 anni di forzato esilio da Fiume e il silenzio imposto dal Regime sulla sua opera, avevano azzerato il suo ricordo. Morì in povertà nel Campo Profughi di Trastevere.

Padre Flaminio Rocchi, profugo da Neresine (Cherso), scrisse parlando di lui: “Ho quasi pianto quando lo visitai la prima volta in una stanza fredda, senza finestre, nel Campo Profughi della Caserma ‘Lamarmora’ in Trastevere a 200 metri dal mio Convento: un letto nascosto da un telo, tanta povertà squallida e una dignità rigida.

Lo avevano sfrattato dall’appartamento di via Sicilia che Alcide De Gasperi gli aveva assegnato come ex presidente dello Stato libero di Fiume. Sul tavolo del Campo profughi gli lasciavo pacchi di viveri della Pontificia Commissione di Assistenza arricchiti con qualche furto nella dispensa del Convento. Era un amico, ma un povero amico e mi vergognavo più io nel dare che lui nel ricevere”.

L’azione armata fu orchestrata dagli irredentisti fiumani e dannunziani, supportato in massima parte dal neo costituito Fascio triestino con l’intervento dei deputati del Parlamento italiano: Giovanni Battista Giuriati, Alberto De Stefani e Francesco Giunta, già protagonista degli incendi del Hotel Balkan di Trieste e della Camera del Lavoro di Monfalcone. Tutto ciò con la connivenza delle forze militari italiane (Carabinieri Finanza, Marina)

Perché e da chi fummo traditi?

Il 27 marzo 1950, dal suo Ufficio di Fiume a Roma, Zanella si rivolse all’allora presidente del Senato, on. Ivanoe Bonomi, che aveva scritto un articolo intitolato “L’ultimo Giolitti” e pubblicato su “Il Mondo” del 23 febbraio dello stesso anno, trattando anche delle trattative per l’accordo di Rapallo, la questione di Porto Baross e “il cruento conflitto del successivo al Natale con le genti di Gabriele D’Annunzio”. Zanella redasse una sorta di memoriale fiumano (24 pagine dattiloscritte) nella lettera, “Giolitti e Fiume” (https://www.senato.it/documenti/repository/relazioni/archiviostorico/ricerche/009_Dopoguerra.pdf), ricostruendo minuziosamente i fatti di cui egli stesso era stato protagonista e testimone, ma anche ponendo tutta una serie di interrogativi sulla condotta delle istituzioni italiane e il loro atteggiamento nei confronti della vicenda fiumana.

Il 3 marzo 1922, osserva Zanella, “si aggredì subdolamente e per l’ennesima volta si volle assassinare colui che, armato soltanto del proprio legittimo diritto e senso del dovere, osò invocare e magari pretendere che l’onore e la firma dell’Italia fossero rispettati. Coll’infame ricatto dell’assassinio, col brigantesco dilemma ‘O la firma o la morte’, lo si costrinse a sottoscrivere una vile dichiarazione. Lo si svaligiò e lo si depredò. Lo si cacciò nell’esilio, braccandolo in tutti i paesi d’Europa… mentre i nuovi piccoli Bethmann-Hollweg di Roma, che del trattato di Rapallo e delle relative garanzie speciali date all’Inghilterra e al Francia fecero uno ‘chiffon de papier’, uno straccio di carta, e gli scannatori materiali dello Stato libero venivano in gran pompa ricompensati…”

”Dopo quasi 30 anni di silenzio e dopo la tragica scomparsa di Fiume italiana – spiega Zanella, sentendo ormai vicina la fine –, ritengo doveroso farne breve rapporto anche ai miei concittadini e ai connazionali, affinché la verità – che le torbide passioni e l’inverocondo fazioso fanatismo nazionalista e fascista hanno tanto impudentemente e impunemente deturpata e falsata – sia finalmente ristabilita e rimessa nella sua giusta luce”.

E a Bonomi chiede di “voler contribuire alla chiarificazione e precisazione storiche dei seguenti due importanti questiti”. Innanzitutto, per quale motivo “si è voluto tradire nell’inverno 1921/1922 la solenne promessa e l’obbligazione d’onore del trattato di Rapallo e di tanti analoghi impegni contratti dai diversi Governi d’Italia, le quali costituivano ad evidenza l’unica possibile garanzia di difesa e di ulteriore conservazione in vita del millenario italico Comune di Fiume?”. In secondo luogo, Zanella voleva conoscere il nome del ministro “sul quale pesa la responsabilità politica e costituzionale delle gravissime violazioni delle leggi dello Stato e di quelle della morale pubblica, di quella publicae honestatis, di cui, per insegnamento di Roma, tutte le Nazioni che vogliono essere stimate e rispettate, sono gelose e risgorose custodi.”

Roma rimase a guardare

Dal Libro Rosso pubblicato a cura del Governo di Fiume dalla Società editoriale fiumana, il telegramma che Riccardo Zanella inviò al presidente del Consiglio, on. Luigi Facta, ed al r. ministro degli Affari Esteri, on. Carlo Schanzer, il 2 marzo 1922:

”Ieri sera i fascisti prelevarono un giovane fiumano tuttora sequestrato.

Stanotte ignoti assassinarono un giovane fascista pisano.

All’alba i fascisti, malgrado il servizio di perlustrazione dei Carabinieri, lanciarono contro il Corpo di Guardia fiumana, custodente il palazzo governiale, sette bombe, ferendo una guardia. Furono respinti a fucilate. I fascisti aggredirono poi con bombe il Corpo di Guardia a Drenova, ma furono respinti.

Stamattina i fascisti imposero con la violenza la chiusura di tutti i negozi, delle fabbriche, del municipio, degli uffi ci di Stato,senza che i carabinieri intervenissero per impedirlo.

Furono lanciate altre bombe in diversi punti della città.

La situazione è gravissima e deriva dai fatti già comunicati nonché dalla libertà e dalla tolleranza sinora dimostrate verso i capi organizzatori responsabili delle turbolenze. La situazione minaccia eccezionali disordini e forse anche conflitti civili, con la aggravante di vedervi eventualmente coinvolti anche i carabinieri.

Questo Governo non avendo i carabinieri alle proprie dipendenze, trovasi in durissime condizioni per prevenire complicazioni. Perciò, a scarico della propria responsabilità, prego vivissimamente Vostra Eccellenza di voler provvedere d’urgenza ed energicamente – oppure come già richiesto con le proprie note N. 215 e 220 al Ministero degli Esteri.

Qualora Vostra Eccellenza non potesse accogliere la mia domanda, piacciaLe informarmene, perché questo Governo possa provvedere in tempo a tutte le necessità e con tutti i mezzi disponibili. Ossequi.”

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display