Fiume. Un primo passo verso l’ospedale unico

A colloquio con Alen Ružić, direttore del Centro clinico-ospedaliero di Fiume, sul futuro prossimo della struttura sanitaria più importante di una vasta regione. Praticamente ultimati i lavori di costruzione del nuovo nosocomio «della Donna e del Bambino a Sušak»

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Fiume. Un primo passo verso l’ospedale unico

“Le difficoltà non fermeranno la nostra crescita”, ci aveva detto Alen Ružić, direttore del Centro clinico-ospedaliero di Fiume, quando lo avevamo intervistato pochi mesi dopo l’assunzione dell’incarico. A un anno e mezzo di distanza, i contorni di questa crescita sono già ben delineati. Stiamo parlando del nuovo Ospedale della Donna e del Bambino in costruzione a Sušak, una struttura che dovrebbe aprire nuovi orizzonti al CCO, ma che dovrebbe essere soltanto un primo, ma importante passo verso la trasformazione in un ospedale universitario completo e di eccellenza.

L’obiettivo finale, infatti, è quello di costruire, sempre a Sušak, una nuova struttura che possa ospitare tutti i reparti e istituti del CCO. Per Alen Ružić si tratta certamente di una sfida professionale importante, che dovrebbe materializzarsi in un livello sempre più elevato della qualità dei servizi erogati, nella speranza che quanti più reparti diventino centri di eccellenza.

Come procedono i lavori?

“I lavori edili al nuovo Ospedale della Donna e del Bambino a Sušak sono praticamente conclusi. Stiamo parlando dell’edificio centrale, che si svilupperà su una superficie di circa 40.000 metri quadrati e dove si trasferiranno la Clinica pediatrica, la chirurgia pediatrica e tutte le altre attività riguardanti i bambini, che avranno i proprio reparti e i propri specialisti. Tutti i servizi saranno sotto lo stesso tetto. Vi afferiscono le varie unità operative come anestesiologia e rianimazione generale e pediatrica, chirurgia pediatrica, ortopedia pediatrica, oncologia ed ematologia pediatrica, genetica medica, ginecologia e fisiopatologia della riproduzione umana, infertilità e procreazione medicalmente assistita, neonatologia e terapia intensiva neonatale, neuropsichiatria infantile, ostetricia e medicina dell’età prenatale, pediatria, pediatria d’urgenza, pronto soccorso… Al pianterreno è previsto il pronto soccorso pediatrico, dove opereranno sia pediatri che chirurghi, specialità chiave. Tutte queste attività verranno sistemate nell’ala occidentale del nuovo edificio. L’ala est è prevista per Ginecologia e Ostetricia, con tanto di accettazione e urgenza, sale operatorie, sale parto e tutti i reparti necessari. La vicinanza fisica tra neonatologia e pronto soccorso ci consentirà di migliorare notevolmente le prestazioni. Il reparto di neonatologia si trova ora nella sede di Fiume mentre la terapia intensiva è a Costabella. La vicinanza fisica tra i reparti e gli specialisti, che potranno collaborare intensamente su ogni singolo caso, ci darà una nuova dimensione. All’ultimo piano ci saranno i laboratori, non soltanto per Ginecologia e Pediatria, ma per tutto l’ospedale. Ci sarà, quindi, l’intero Istituto clinico di diagnostica laboratoriale, microbiologia, nonché patologia e citologia al servizio dei reparti presenti a Sušak. È previsto anche il trasferimento dell’Istituto clinico di medicina trasfusionale, con tutta l’infrastruttura legata ai donatori volontari di sangue”.

Insomma, un bel passo avanti?

“Certo! Oltre ai laboratori, l’edificio fornirà servizi chiave per il funzionamento di tutto l’ospedale. Ci saranno, infatti, la cucina, la lavanderia, gli impianti di sterilizzazione e smaltimento dei rifiuti biologici e pericolosi, utilizzando le tecnologie più moderne, trasformandoli in rifiuti inerti o combustibile. Adiacente a questo edificio ci sarà il cosiddetto blocco termo-energetico con 27.000 metri quadrati, compresa un’autorimessa a più piani. L’edificio principale, quindi, si svilupperà verticalmente su 9 piani: due piani sotterranei con autorimessa, pianterreno e sei piani. Il laboratorio sarà dotato di un sistema di posta pneumatica per il trasporto di materiale tra i reparti e il laboratorio in modo moderno, veloce e sicuro, sia per il personale che per i pazienti,. Sul vecchio edificio è già possibile notare i tubi trasparenti che faranno parte del sistema. Anche questo è un bel passo avanti, con un’infrastruttura che ci permetterà di organizzarci in modo più razionale e migliorare la collaborazione tra i vari specialisti”.

La posta pneumatica è un sistema impiantistico che permette di recapitare oggetti da una settore a un altro di un edificio attraverso l’uso di contenitori cilindrici che percorrono una rete di tubazioni. La trasmissione dei contenitori cilindrici all’interno delle tubazioni avviene tramite l’aria compressa o con ventilatori in grado di generare il vuoto. Gli impianti di posta pneumatica sono conosciuti anche con il nome di tubi pneumatici o tubi di Lamson. Gli impianti di posta pneumatica hanno vantaggi applicativi differenti a seconda dello specifico settore nel quale vengono utilizzati. Sono particolarmente diffusi proprio nel settore ospedaliero e in quello farmaceutico e vengono spesso utilizzati per garantire il trasporto di provette e responsi da un reparto all’altro, evitando l’uso di personale interno che nel frattempo può svolgere altre attività. Nello specifico, i sistemi pneumatici vengono utilizzati per il trasporto di provette ai laboratori di analisi (ad esempio provette di sangue o altro), documenti, cartelle cliniche, radiografie, medicinali, strumenti, posta interna e molto altro. Questo permette di velocizzare i trasporti, razionalizzare il lavoro evitando inutili interruzioni e ridurre i costi del personale.

“Considerato che i lavori edili sono stati ultimati al 95%, adesso lavoriamo intensamente per raccogliere tutta la documentazione necessaria per ottenere il certificato di agibilità, cosa che dovremmo completare entro la fine di questo mese. Ci vorranno poi alcuni mesi per attrezzare l’edificio. Si tratta di un investimento importante e ci saranno tante nuove attrezzature, ma anche quelle già esistenti. Abbiamo fatto un inventario e tutte le attrezzature più moderne che abbiamo già in dotazione verranno trasferite nella nuova struttura. Dobbiamo comportarci in maniera razionale, sia per quanto riguarda gli arredi che le attrezzature mediche. Per alcune operazioni ci vorrà del tempo, ma speriamo che entro la fine dell’anno o al più tardi all’inizio del prossimo possa iniziare il trasloco, per il quale stiamo preparando un piano dettagliato. I primi a trasferirsi nel nuovo edificio saranno i laboratori e l’Istituto di riproduzione umana, poi gli altri. Per un breve periodo avremo per così dire due sistemi paralleli, ossia l’assistenza medica verrà fornita sia nel nuovo edificio che nelle vecchie sedi, ma l’opinione pubblica sarà informata per tempo”.

La Clinica pediatrica di Costabella farà parte, quindi, del passato?

“Eh sì, tanto più che si tratta di un terreno di proprietà della Città di Fiume. Qua a Sušak la situazione non è ancora ben definita, in quanto parte del terreno è di proprietà del CCO e parte della Città. Stiamo procedendo verso uno scambio di terreni in modo da poter avere la proprietà di tutta l’area su cui si trova il nuovo ospedale e in questo senso devo dire che la collaborazione con la Città è ottima. Quindi, contiamo di risolvere entro la fine dell’anno anche le questioni giuridico-patrimoniali. Sembrava fossero già risolte, ma i cambiamenti delle leggi impongono nuovi criteri per poter ottenere il certificato di agibilità. Una data precisa? Difficile dirlo, ma speriamo che non ci siano intoppi. Ci sono fatti a livello globale su cui non possiamo intervenire, come la carenza di determinate attrezzature. Ci sarà tanta tecnologia moderna nel nuovo ospedale e speriamo che non ci siano rinvii”.

Come mai anche il Centro trasfusionale?

“È stata l’ex direzione del CCO a decidere il trasferimento dell’Istituto clinico di medicina trasfusionale e nel frattempo non c’è stata nessuna revisione del progetto. L’importante è che il sistema funzioni e che tutti siano soddisfatti. Mancavano locali adatti per i donatori di sangue, ma siamo riusciti a incorporarli nel progetto, al pianterreno dell’edificio. Al policlinico si libereranno locali, ma non abbiamo ancora definito il loro futuro impiego. Chiaramente ci sarà un cambio di destinazione d’uso. Una modifica delle finalità di utilizzo riguarderà anche l’edificio che ora ospita Ginecologia e Ostetricia. Subito dopo il trasloco verranno avviati i lavori di restauro, specialmente degli interni, in modo da adattare il vecchio edificio alla sua nuova destinazione d’uso. Una parte verrà certamente occupata da Oncologia e Radioterapia, già operante in parte nella nuova sede. Vi si trasferiranno anche reparti che operano negli edifici più fatiscenti del CCO, come ad esempio il reparto di Chirurgia testa e collo e la Divisione di Otorinolaringoiatria. L’edificio attuale è sotto tutela, ma purtroppo non dispone neppure di un ascensore”.

Ci saranno anche i day hospital?

“Da diversi anni promuoviamo i day hospital, una modalità organizzativa di assistenza ospedaliera nella quale il paziente rimane nella struttura solo il tempo necessario per accertamenti, esami o terapie nell’arco di uno o più ricoveri programmati, ma tutti di durata inferiore a un giorno e senza pernottamento e senza occupare, quindi un posto letto. È praticata soprattutto nella preparazione agli interventi chirurgici, nelle terapie antineoplastiche (day hospital oncologico o ematologico), nella chirurgia di piccola e media entità. Il ricovero diurno consente, grazie alla riduzione dei tempi di assistenza del paziente, un’economia di gestione ed è solitamente la soluzione preferibile per i pazienti che non hanno problemi di autonomia o di mobilità. Nel 2021 abbiamo registrato oltre 90.000 interventi, più che nel 2020 e 2019. Rispetto all’anno scorso registriamo un incremento del 26% delle prestazioni mediche nei day hospital, per cui si tratta di una scelta più che giustificata. In tempi di pandemia, è importante sottolineare la nostra capacità di adattamento alla situazioni. Con tutte le ondate e a prescindere da tutto, aprivamo e chiudevamo reparti Covid a seconda delle esigenze, cercando allo stesso tempo di fornire la migliore assistenza anche ai malati non Covid. I risultati ci danno ragione. Anche le visite ambulatoriali sono aumentate rispetto ai due anni precedenti e nel 2021 abbiamo registrato ben 1.600.000 trattamenti! In barba al Covid e nonostante il personale ridotto. Basti dire che in gennaio abbiamo avuto 1.200 persone in cassa malati su circa 3.500 dipendenti. Immaginatevi la mole di lavoro per quelli che hanno lavorato in questo periodo…”.

Il nuovo edificio rappresenterà anche uno stimolo per un ulteriore miglioramento dei servizi?

“Noi ci dedichiamo molto al personale. Qualità, sapere, competenze e senso di appartenenza sono motivazioni importanti. Nel 2021 abbiamo avuto più di 60 specializzandi. Ci sono tanti giovani medici, provenienti non soltanto da Fiume, ma anche da Zagabria, che hanno individuato nel CCO il luogo giusto per sviluppare la propria carriera. In strutture come la nostra, inoltre, è importante svolgere anche attività scientifica e di ricerca, didattica… Si tratta di elementi determinanti per la scelta di chi vuole una carriera sia ospedaliera che accademica. È un bene per tutti, anche nella parte clinica. Nel 2021 abbiamo assunto numerosi specialisti, esperti già pronti. Partenze? Soltanto sporadiche, per lo più per motivi familiari”.

Il futuro dopo il futuro…

Nel dicembre del 2000 era stato avviato un grande progetto con il consorzio internazionale Menagement for Health, scelto dalla Banca europea per gli investimenti, l’istituzione finanziaria dell’Unione che contribuisce all’integrazione europea, allo sviluppo e alla coesione finanziando progetti che sostengono le politiche dell’UE, di cui fanno parte esperti di tutti i campi, dall’organizzazione dei sistemi sanitari e dagli architetti, agli esperti in economia, economia sanitaria, epidemiologia. Migliaia di ore di lavoro per un progetto che a giugno dovrebbe essere completato – come precisato da Alen Ružić – e che fungerà da base per l’elaborazione del progetto di massima per il nuovo edificio del Centro clinico-ospedaliero di Fiume, sempre a Sušak, a sud dell’Ospedale della donna e del bambino.

“Il progetto di massima – ha aggiunto – sarà seguito dallo studio di fattibilità per quella che chiamiamo Terza fase di costruzione dell’Ospedale a Sušak Abbiamo avuto tutta una serie di colloqui e incontri in altre cliniche per poter preparare questa III fase nel migliore dei modi, organizzando il lavoro non per i prossimi due o tre anni, ma per i prossimi tre decenni. Qui potremo finalmente procedere con una centralizzazione delle infrastrutture, delle sale operatorie, dei centri diagnostici, dei day hospital, delle cliniche e dei reparti. Coordinatrice del progetto è la vice di Ružić, Renata Dobrila Dintinjana. Abbiamo costituito uno steering committee nel quale sono presenti anche città e Regione. Tutti uniti, quindi, per la realizzazione di un progetto che ci condurrà finalmente all’unificazione di tutti i servizi. Ci saranno interventi anche infrastrutturali. Un ospedale unico a Sušak richiederà anche un nuovo assetto urbanistico, attraverso la realizzazione di nuove strade e svincoli, parcheggi per mille nuovi posti auto. È previsto ovviamente anche un eliporto. Insomma, il necessario per garantire il funzionamento di una struttura sanitaria di questo genere”.

Suppongo che non si possa parlare ancora di costi di costruzione né di finanziamenti?

“I soldi per il progetto non sono stati ancora assicurati. Siamo oltremodo felici di aver ricevuto importanti risorse dalla Banca europea per gli investimenti per questa prima fase. Poi andremo avanti con il progetto particolareggiato, in modo da avere le carte in regola per poter candidare il progetto per qualsiasi forma di finanziamento. Il consorzio Menagement for Health dovrebbe presentarci lo studio fattibilità entro giugno. Contiamo molto sui Fondi europei e siamo pienamente consapevoli del fatto che disporre di tutta la documentazione necessaria possa rappresentare un grande vantaggio. Chiederemo poi a tutti di pensare in questa direzione e di proporre soluzioni nuove che abbiano come obiettivo un’integrazione funzionale e un utilizzo razionale delle attrezzature. Sarà necessario un adattamento tecnico e organizzativo di tutto il CCO”.

Quando potrebbe essere realizzato questo sogno?

“Come dicevo, a giugno avremo il primo progetto, dopo di che dovremo pensare al finanziamento del progetto particolareggiato, in modo da poter disporre, a metà dell’anno prossimo, di tutta la documentazione necessaria in attesa di individuare le fonti di finanziamento del progetto. Trattandosi di un edificio più grande dell’Ospedale della Donna e del Bambino, per la costruzione ci vorranno almeno tre anni. In condizioni ideali, quindi, ci vorranno almeno 6 o 7 anni. La nostra strategia di sviluppo per il quinquennio 2021-2025 prevede tutto ciò”.

 

«Reggere l’urto della pandemia è stata una sfida importante»

Lei, in pratica, da quando ha assunto le redini del CCO non ha avuto mai la possibilità di lavorare in condizioni normali… A quasi un anno e mezzo di distanza rifacciamo ad Alen Ružić, direttore del Centro clinico-ospedaliero di Fiume, questa stessa domanda, semplicemente perché continua a essere attuale…

“Effettivamente è così. Ho assunto la direzione del CCO nel luglio del 2020 (il suo predecessore, Davor Štimac, era rimasto in carica fino al 5 luglio) e già a settembre, appena passata l’estate, abbiamo avuto la prima grande ondata di contagi. Il primo impatto con il Covid, non dimentichiamolo, l’avevamo avuto nella primavera di quello stesso anno, mentre in estate abbiamo avuto diversi focolai in Dalmazia. Abbiamo reagito tempestivamente – ha voluto puntualizzare Alen Ružić, cardiologo e docente universitario – varando un programma di tutela dei nostri dipendenti al ritorno dalle ferie per evitare l’ingresso del virus nelle nostre strutture, provvedendo anche a una riorganizzazione interna per poter far fronte all’emergenza”.

”Fino ad allora avevamo a disposizione soltanto la Clinica malattie infettive con 17 posti letto, in settembre siamo partiti con un reparto Covid con 27 posti letto presso la medesima Clinica malattie infettive e un centro per i ventilatori polmonari alla Clinica neurologica con 24 postazioni, per poi passare a quasi 250 posti letti e reparti Covid differenziati. Abbiamo assicurato anche tutta l’infrastruttura necessaria, dotando ciascun letto di erogatore di ossigeno. In casi del genere, la sicurezza è di importanza primaria, per cui non potevamo limitarci a un solo sistema funzionante. Infatti, abbiamo predisposto tre livelli di sicurezza in modo da non compromettere la funzionalità del reparto in caso di un qualsiasi guasto o situazione imprevista. Insomma, non poteva succedere che venissero a mancare ossigeno o corrente elettrica”.

“Non potevamo permetterci neppure di dimenticare i casi urgenti e i pazienti oncologici le cui cure non potevano subire rinvii – ha aggiunto –. È stata necessaria una riorganizzazione completa del personale e improvvisamente abbiamo sentito la necessità di medici anestesisti e intensivisti, indispensabili per il cosiddetto centro respiratorio. Abbiamo organizzato team multidisciplinari, facendo in modo che in ciascuno di questi team ci fosse almeno un medico con le massime competenze in grado di reagire nei casi di gravi insufficienze respiratorie dovute al Covid, ma anche giovani medici che sappiano acquisire nuove competenze in situazioni come questa”.

Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Il senso di appartenenza

Potremmo dire, quindi, che il Centro clinico-ospedaliero, che ha una posizione di leadership in una vasta regione, sia riuscito a reggere l’urto della pandemia. Il personale ha imparato a lavorare più velocemente, comunicando meglio e rompendo i compartimenti organizzativi che lo strutturavano. La loro capacità e la loro spinta innovativa sono stati fondamentali, rafforzando anche il senso di appartenenza di tutta la squadra al CCO, che sta vivendo per molti versi una fase storica, dove tutti stanno risentendo dell’impegno prolungato nel contrasto al Covid che, purtroppo, salvo brevi tregue, negli ultimi due anni ha visto impegnato il personale sette giorni su sette.

“Nonostante tutto, siamo riusciti a erogare un’assistenza sanitaria di livello superiore, continuando a fare ricerca e innovazione, anche in mezzo a scenari poco confortanti – ha precisato il dott. Ružić –. Si è trattato di uno straordinario sforzo collettivo, protratto per tanti mesi, che ha impegnato giorno dopo giorno ogni singola figura dell’ospedale. Tutto il personale medico, sanitario e infermieristico, ma anche quello non sanitario, si è sobbarcato il peso di questa situazione, in condizioni particolari e spesso con turni di lavoro prolungati. Ognuno ha dato il proprio contributo nell’ambito delle proprie competenze ed è dunque a ogni singolo protagonista di questa impresa che va il mio plauso e ringraziamento. Il comparto sanitario ha pagato un prezzo molto elevato. Si è battuto in prima linea e ha saputo adeguarsi alla situazione e riorganizzare almeno una parte dei servizi, accorciando la distanza tra cittadini e primo livello di cure ed assistenza”.

Foto: Dusko Jaramaz/PIXSELL

Carenza di infermiere

“In questo periodo è stato avviato anche un progetto europeo grazie al quale abbiamo potuto trasmettere a diversi medici non intensivisti i metodi applicati nella medicina d’urgenza. Questi corsi sono stati frequentati anche da personale proveniente da altri enti regionali. Oltre 200 medici hanno ricevuto così il certificato che attesta le loro competenze nel campo della medicina intensiva. Questo ha chiaramente rafforzato la nostra posizione, consentendoci di superare anche gli ostacoli più difficili. Adesso che l’emergenza sta rientrando e la situazione sta ritornando a piano a piano nella normalità, il minimo che possiamo fare è ringraziare tutte queste persone. Una grande sfida, non soltanto a Fiume ma in tutto il Paese e in Europa, è rappresentata ora dalla carenza di personale infermieristico. Soltanto in Croazia mancano al momento circa 5.000 infermiere. Noi pubblichiamo mensilmente bandi di concorso per infermiere e assumiamo tutte quelle che vogliono lavorare da noi, ma non basta”.

La pandemia ci ha portato anche qualcosa di buono a livello organizzativo, magari per quanto riguarda il rispetto degli orari delle visite specialistiche…

“La pandemia ha richiesto sforzi ingentissimi per tutto il sistema sanitario, costringendoci allo stesso tempo a migliorare in tante cose – ci ha detto il direttore del CCO fiumano –. Abbiamo già parlato dei colleghi che grazie a questa pandemia hanno acquisito competenze che in situazioni normali non avrebbero probabilmente mai acquisito e tanti giovani medici, buttati nel fuoco, hanno potuto progredire molto più velocemente al fianco dei colleghi più esperti. L’applicazione delle misure epidemiologiche ha richiesto un’organizzazione del lavoro molto più precisa e dettagliata per quanto riguarda le visite specialistiche e l’attività dei day hospital, l’accettazione e la dimissione dei pazienti. Avevamo tentato anche prima di disciplinare in un certo senso i pazienti che vengono al Policlinico affinché si attengano all’orario stabilito per la visita. Abbiamo cercato di farlo anche prima, ma il problema è che molti scelgono di arrivare con abbondante anticipo rispetto all’orario fissato. Poi c’è la questione delle classi di priorità nelle impegnative, in quanto quelli con l’impegnativa C2 hanno la precedenza, come pure i disabili e le gestanti, e capita alle volte che gli orari non possono essere rispettati. Ora le cose funzionano molto meglio e a parte il rispetto degli orari c’è anche l’uso della mascherina, il mantenimento della distanza… Per i pazienti che necessitavano del test, abbiamo fatto in modo che lo possano fare da noi il giorno prima della visita. Abbiamo ridotto anche le liste d’attesa, con l’unica eccezione per gli interventi non urgenti, il cui rinvio, cioè, non crea disagi al paziente. Stiamo recuperando anche qui, con la graduale chiusura dei reparti Covid. Ad ogni modo, non tutti i mali vengono per nuocere e secondo me dovremmo mantenere certe abitudini acquisite in questo periodo di pandemia”.

La pandemia è stata anche un freno?

“Per quanto riguarda il trattamento dei pazienti non Covid, abbiamo mostrato un elevato livello di produttività – ha detto –. Come dicevamo, le operazioni non urgenti che richiedono la presenza di un anestesista sono state rinviate. Il Covid ha rallentato e modificato il livello di comunicazione. Dai seminari ai congressi internazionali, alle riunioni, tutto è stato digitalizzato. Ciò potrà avere anche dei vantaggi, ma anche tante carenze. È difficile valutare quanto il Covid ci abbia rallentato nel segmento formativo, scientifico, di ricerca. Non c’erano viaggi, convegni, congressi, anche se l’attività scientifica non si è fermata. Anzi, molti colleghi hanno indirizzato le loro ricerche proprio verso i malati Covid e i nostri colleghi del CCO hanno potuto fornire dei validi contributi alla comunità scientifica, pubblicando numerosi trattati proprio sul tema del Covid. L’attività scientifica e di ricerca è proseguita anche in altri settori, seppure a rilento…”.

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