Divorzio all’istriana

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Divorzio all’istriana

La volontà è quella di arrivare a una separazione, gestire da sé le risorse stanziate a suo favore dall’Italia, sia che si tratti dei fondi assicurati tramite il Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, sia di quelli della Regione Friuli Venezia Giulia. Insomma, l’Unione Italiana chiede di modificare le regole. Da un po’ di tempo la partnership storica con l’Università popolare di Trieste – va avanti dal 1964 – si è incrinata e lo scandalo dei conti in rosso ha rivelato numerose crepe, che al momento appaiono difficilmente riparabili. Anche perché rispetto all’anno del “matrimonio” è cambiata la realtà, è diverso il contesto (normativo e politico), le persone (giuridiche e fisiche) sono cresciute. Insomma, vista da palazzo Modello, l’UPT non appare più come un “buon partito”, in grado di risolvere problemi, esaudire esigenze, aiutare a portare a termine programmi e progetti. Non almeno con l’efficienza auspicata. Serve una sterzata, servono nuove formule per salvare un rapporto pluriennale di amicizia e di collaborazione. Personalmente, non dimentico l’esperienza in Giunta UI, una quindicina d’anni fa, a occuparmi di arte, spettacolo e teatro. All’epoca l’UPT (solitamente l’insostituibile Susanna Isernia, ma in un’occasione pure Alessia Rosolen) chiedeva sempre all’Unione il consenso per gli eventi – compagnie teatrali, complessi strumentali, cori e solisti dall’Italia che si esibivano nelle diverse Comunità degli Italiani – che intendeva organizzare con i soldi della Regione FVG. Si procedeva di comune accordo, insomma, nel rispetto (reciproco) dei ruoli. Questa prassi s’è perduta, insieme con un certo decoro comportamentale.
Oggi i debiti dell’ente morale (da certi definito “superfluo”) stanno esasperato i toni e mettendo a dura prova le istituzioni della Comunità nazionale italiana in Croazia e Slovenia. I fondi da Roma che passano attraverso Trieste potrebbero arrivare appena a febbraio, bloccati a causa delle inadempienze dell’UPT che evidentemente non riesce a rispettare gli impegni sia nella preparazione della documentazione adeguata che nella realizzazione delle iniziative. L’UI si è sostituita al partner triestino in diverse occasioni, anticipando i mezzi dalle proprie casse per non fermare l’attività, per non mettere in difficoltà le varie istituzioni. Significativo l’intervento del direttore del Dramma Italiano, Giulio Settimo. “È la prima volta, dal 1947, che la storica compagnia, vanto costante delle nostre istituzioni e della Comunità nazionale italiana, non riceve i finanziamenti entro i termini dovuti, o almeno entro l’anno solare. I soldi non ci sono, o, meglio, arriveranno, ma non si sa quando. Non si sa nemmeno il motivo di tale ritardo e non si sa neppure se le pratiche necessarie per ricevere i finanziamenti siano state inviate dall’UPT a Roma. L’ente morale di Trieste non riesce più ad assolvere alla sua missione, non è riuscito a portare a termine il suo compito: finanziare le iniziative della Comunità nazionale italiana”.

Se un ente è superfluo

Un ente che non “ricopre il proprio compito – ha concluso Settimo – è un ente superfluo. Per la Comunità italiana sarebbe molto più semplice avere un solo interlocutore per l’Italia, possibilmente un interlocutore che conosca le vicende e le problematiche della nostra realtà. Trieste dovrebbe rinunciare a un’istituzione che gestisce molti soldi e che può creare consenso politico, quindi è da chiedersi se la situazione cambierà. Come al solito, a pagare sarà la Comunità”.
Presa di posizione chiara, ma in un certo senso di compromesso, della parte politica della CNI. I consiglieri dell’Assemblea UI riuniti a Isola, hanno chiesto all’unisono (presenti 49 dei complessivi 75) che Roma e Trieste concedano più fondi di competenza diretta dell’UI. Al momento, secondo la ripartizione classica, l’UI gestisce un terzo dei mezzi provenienti dall’Italia – e ha realizzato in toto la sua parte –, mentre i restanti due terzi sono di competenza dell’UPT. E non sono stati attuati (in mancanza della relativa documentazione, sono fermi a Roma).
Il presidente dell’Assemblea UI, Paolo Demarin, ha parlato di decisione forte, presa al termine di un dibattito a 360 gradi”, nel corso del quale sono emersi anche atteggiamenti radicali e spinte al divorzio. Che non è l’obiettivo principale, come precisato da Demarin: si può anche rimanere allacciati all’ente morale triestino oppure a un altro ente italiano, che dia una mano nell’amministrazione, e ovviamente al governo italiano nella verifica dell’operatività e di come vengono utilizzati i mezzi finanziari, perché “sono soldi pubblici ed è giusto che ci sia un revisore che li controlli. Però a questo punto, le inadempienze da parte dell’UPT e l’impossibilità di instaurare un dialogo con piazza Ponterosso, non sono più sostenibili. Ecco perché l’Assemblea ha dato queste indicazioni”, ha chiarito Demarin. “È arrivato il momento di dare una svolta a questa non operatività dell’UPT. Siamo consapevoli che anche l’UI ha bisogno di una trasformazione e stiamo andando in questa direzione. Però, quanto sta avvenendo all’UPT ha dell’assurdo”, ha detto senza mezzi termini.

Italia-dipendenti

Per una CNI che si ritrova nelle condizioni di totale dipendenza dai finanziamenti dall’Italia, diventa dunque fondamentale raggiungere un’interlocuzione più fluida e immediata con la nazione madre. È grazie al supporto di questa che la CNI è riuscita a mantenere e valorizzare cultura e presenza italiane nell’Adriatico orientale. Senza questo supporto oggi saremmo chissà cosa e come… Perché il problema di fondo è che i mezzi stanziati dagli Stati domiciliari – pur con tutti gli aumenti ottenuti quest’anno da Zagabria –, o dalle amministrazioni regionali e locali, non coprono che una minimissima parte delle necessità della nostra realtà. Salvo eccezioni, è mancata un’azione più incisiva proprio in queste sedi, da attuare in sinergia con i deputati parlamentari, i tanti vicesindaci ed eletti nei consigli regionali e comunali, le rappresentanze diplomatiche. Da coinvolgere reclamando quell’attenzione che alla CNI spetterebbe in virtù di trattati, statuti e altri atti. L’UI, in tempi di “vacche grasse”, si è sostituita alle istituzioni croate e slovene, ha speso fondi ingenti per attività e progetti non soltanto suoi, degli enti nei confronti dei quali ha precisi obblighi (essendone il fondatore) o degli associati (le CI), ma anche statali e comunali. “Arriverà il momento in cui dovremo fare affidamento soltanto sui mezzi di Zagabria e Lubiana”, è stato il messaggio del deputato CNI al Sabor, Furio Radin, a una delle ultime sedute della precedente Assemblea UI. Bisognerà tenerne conto. Le traversie di quest’anno con il rifinanziamento della legge 73/01 – per fortuna concluse con un happy end – hanno dimostrato che nulla è dovuto e scontato.

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