La storia e la sua manomissione

0
La storia e la sua manomissione

“Costruire miti è un esercizio fondamentale per la creazione delle identità collettive, nazionali e politiche, mentre mostrare la falsità di quei miti è un esercizio fondamentale per la ricerca storica”. Lo scrive Raoul Pupo, attento studioso dei problemi adriatici e uno dei membri della Commissione storico-culturale italo-slovena. La copresidente della medesima, Milica Kacin Wohinz, in occasione del seminario di studio incentrato sul lavoro svolto dagli storici dei due Paesi, tenutosi a Gradisca d’Isonzo nell’aprile 2002, disse nel suo intervento, riportato negli atti di quell’incontro, che i risultati delle ricerche svolte erano disponibili al pubblico, “accompagnati dai migliori auspici per la continuazione del dialogo e per nuove ricerche sia in campi ancora inesplorati che in quelli già arati e che richiedono tuttavia di venir ulteriormente dissodati ed approfonditi”.

Dalla stimata storica slovena, che per la sua attività di ricerca ha trascorso lunghi periodi negli archivi, ricostruendo le travagliate vicende della componente slovena della Venezia Giulia tra le due guerre mondiali, mi sembra naturale si fosse espressa in questi termini. D’altra parte, nessuno storico serio ardirebbe a dire che dopo una relazione, per quanto attenta e riflettuta, non ci sia più spazio per lo studio e l’esame del passato. Può costituire, semmai, un punto di partenza. Le verità assolute nascondono sempre delle ambiguità, sono un modo elegante per evitare la discussione e la riflessione, d’altra parte il controllo del passato è prerogativa dei governi illiberali e autoritari. Chi ritiene non si possano rivedere le posizioni date per assolute non comprende l’essenza della storiografia che è una continua revisione (dal latino revisionem, cioè che si vede, si esamina di nuovo) e non certo un’azione spregevole da condannare. Tanto più è necessaria quando i fatti del passato sono stati travisati, censurati e alterati. Ritornando alla relazione, nessun governo può proporla come verità ufficiale di Stato, perché non è compito degli stati scrivere la storia. Quella relazione, stringata e sommaria, che abbraccia i rapporti italo-sloveni tra il 1880 e il 1956, può rappresentare una lettura ma, data la complessità dei problemi e delle dinamiche verificatesi nelle terre dell’alto Adriatico, sono necessarie ben altre letture, confronti e, naturalmente, ricorso alle fonti. Nelle ultime settimane la politica ha affrontato i delicati problemi del passato, manifestando poca o nessuna sensibilità verso il dolore degli altri, abbiamo assistito a sproloqui e a una retorica inconcludente. Oltre alle polemiche sarebbe stato salutare il confronto serio, franco, anche acceso. Purtroppo non è successo niente, si fa prima a vedere la pagliuzza nell’occhio altrui anziché la trave nel proprio. In alcuni ambienti – ormai minoritari ma con posizioni irriducibili – si coglie l’insofferenza di fronte alla problematizzazione dei fenomeni del passato, articolati e complessi. Così si dimostra l’inconsistenza della vulgata nonché delle interpretazioni ingessate e miopi. A quest’intransigenza risponderemo con la ragione, l’onestà intellettuale e le fonti. I paletti e i tentativi di censura sono intollerabili, a prescindere da chi li imponga o auspichi. Questo ragionamento lo avevo espresso già alcuni anni or sono in occasione di un appuntamento culturale promosso dal Console Generale d’Italia a Capodistria, allorché in Italia era stata ventilata la possibilità di sanzionare quanti minimizzassero o negassero i crimini di genocidio o i crimini contro l’umanità (includendo anche gli eccedi del secondo dopoguerra nella Venezia Giulia e le foibe). All’ottusità si replica con le argomentazioni e con i dati inconfutabili. Da persone di buon senso e da abitanti di queste terre condanniamo i crimini consumati in ogni periodo, da qualsiasi provenienza e nei confronti di chiunque. Respingeremo, invece, con veemenza la mistificazione, le invenzioni, le dichiarazioni fuori controllo e prive di alcun fondamento. Solo qualche giorno fa alla Camera di Stato di Lubiana, la deputata Meira Hot (già vicesindaco del Comune di Pirano, perciò ancora più grave) nel suo intervento ha candidamente sostenuto che a Strugnano sarebbero state ricordate le giovani vittime innocenti, morte sotto il piombo fascista “perché parlavano sloveno”. Il folle gesto non può trovare nessuna giustificazione – pensiamo al dramma vissuto da quei genitori che persero i loro figli che trascorrevano in tranquillità un tardo pomeriggio tra amici – e poco importa il colore politico e la nazionalità (per taluni centrali). Quegli spari freddarono chi sfortunatamente si trovava nel posto e nel momento sbagliato e furono la degenerazione di un frangente di forti contrapposizioni tra squadristi e socialisti nel Piranese. Quasi tutti italiani. Perché si continua a negare? Ricordiamo le tragedie e i morti (tutti), assieme, con senso critico. Di fronte a quell’interpretazione inventata di sana pianta ci sarà qualche reazione? Si predica bene ma si razzola male. Purtroppo.

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display