Il futuro dell’Istria poggia sull’agricoltura e sulle sue moltemplici opportunità di sviluppo

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Il futuro dell’Istria poggia sull’agricoltura e sulle sue moltemplici opportunità di sviluppo

PISINO | Parliamo di agricoltura, della sua importanza, dei problemi cui si va incontro e dello sviluppo del settore con Ezio Pinzan, assessore regionale all’Agricoltura, Selvicoltura, Caccia, Pesca ed Economia idrica, che ha sostituito nell’incarico Milan Antolović, il quale ha gestito il dicastero dal 1993 fino al recente pensionamento, conseguendo risultati importanti.

Il suo è forse l’assessorato regionale più corposo e impegnativo. Quali sono i programmi attualmente in fase di realizzazione, o portati a termine?

“Io dirigo l’assessorato da poco più di un anno. In questo periodo c’è stata una continuità con i progetti avviati in precedenza, alcuni dei quali terminati recentemente. Poche settimane fa siamo riusciti a ottenere la denominazione protetta per l’olio d’oliva, facendo in questo contesto un notevole passo avanti. L’iniziativa è stata portata avanti di comune accordo con la Slovenia e si è concretizzata con la tutela della comune denominazione ‘Istra’. Il percorso non è stato facile ed è durato ben 9 anni. Ma alla fine, il risultato l’abbiamo ottenuto. Devo perciò complimentarmi con il mio predecessore, Milan Antolović e con tutti coloro che hanno lavorato all’iniziativa. L’olio d’oliva è il secondo prodotto agricolo registrato, dopo il prosciutto. Conseguendo il marchio DOP, i nostri olivicoltori hanno ottenuto un valore aggiunto e l’opportunità di piazzare l’olio in tutta Europa e oltre, naturalmente. Certo, potevano farlo anche prima, ma senza distinguerlo dagli altri. Un singolo produttore non poteva, infatti, piazzare il suo olio da solo sul mercato internazionale, non poteva avere rappresentatività e dare le dovute garanzie. Adesso, utilizzando il marchio DOP, la produzione in Istria è accertata e garantita, sia sul versante croato sia su quello sloveno, come pure nella regione liburnica”.

Quindi è esclusa la parte italiana?

“Quando il processo di tutela è stato avviato, ci si era rivolti pure all’Italia, affinché partecipasse pure essa alla protezione comune del prodotto. Allora ci era stato detto che nell’area peninsulare italiana, concretamente nei dintorni di Muggia, non ci sono produttori d’olio d’oliva. Perciò l’Italia non ha aderito all’iniziativa. L’adesione al marchio di tutela è d’interesse commerciale. Se un marchio non si usa, lo si perde. In pratica, è successo questo”.

La Regione istriana ha carattere bilingue. Era possibile ottenere un marchio con la dicitura anche in lingua italiana?

“Certo che era possibile, ma solo nel caso in cui l’Italia avesse aderito all’iniziativa. Noi abbiamo tutelato solo il nome del prodotto, ‘Istra’. Quando è stato avviato il procedimento, ogni parte in causa doveva promuoverlo nel proprio Paese e nella propria lingua d’uso. Si doveva allora preparare una Specifica, usando la lingua d’uso dello Stato di residenza, da presentare prima di tutto ai rispettivi Ministeri. Noi lo abbiamo fatto in Croazia, la parte slovena in Slovenia, ovviamente in sloveno. E in entrambe le lingue nazionali il nome è lo stesso. I regolamenti vigenti non ci hanno permesso di usare una lingua considerata d’uso in un altro Stato; altrimenti avremmo potuto usare sì la lingua italiana, ma anche il francese, l’inglese, il tedesco, ecc. C’erano delle regole da rispettare e noi lo abbiamo fatto. C’era pure un’altra legge da considerare. Per ottenere il marchio di protezione bisogna percorrere una fase di transizione in cui si deve richiedere innanzitutto il marchio di tutela nazionale. Una volta ottemperato a ciò, avevamo sei mesi di tempo per inoltrare la richiesta di tutela continentale alla Commissione europea. Con l’approvazione della Specifica e della richiesta, si ottiene la tutela europea. Respingendole, automaticamente viene meno pure quella nazionale. Quindi, avendo presente ciò, dovevamo stare molto attenti nelle modalità operative. Quando s’intraprende un percorso, bisogna andare fino alla fine seguendo la strada stabilita. Questa è la procedura tecnica. Inoltre, noi abbiamo tutelato soltanto il nome del prodotto ricavato, non il frutto della terra, perché quello non si può proteggere Il produttore che userà il marchio potrà avere la sua etichetta in qualsiasi lingua, rimanendo intraducibile però il nome del prodotto, ‘Istra’.
Nella Specificazione predisposta, sono indicate anche tutte le varietà di derivazione dell’olio d’oliva, l’area di provenienza, le piante. Tutto il processo, partendo dalla pianta, alla raccolta, alla produzione, all’imbottigliamento deve avvenire nell’area interessata dal marchio”.

La produzione agricola peninsulare ha altri prodotti da tutelare. Quali altri passi avete intrapreso?

“Quest’anno abbiamo fatto importanti passi in materia di tutela di altri nostri prodotti tradizionali, sempre di comune accordo con gli amici sloveni. Abbiamo predisposto le Specifiche da inoltrare ai rispettivi Ministeri, per la tutela del formaggio pecorino e del miele. È in corso pure il procedimento di protezione della carne di bue istriano, il boscarino. La documentazione sarà inviata tra breve ai rispettivi Ministeri di competenza. È stata avviata pure la procedura in merito alle salsicce di maiale. Tale atto è ancora in fase iniziale, per cui si giungerà alla sua conclusione tra 4 o 5 anni. Abbiamo in piano pure l’avvio della procedura di tutela delle grappe, quali la biska, la medica (acquavite al miele, n.d.r.), la grappa tradizionale, ecc. Si tratterà comunque di procedimenti difficili, perché finora non si è lavorato molto in materia di tutela degli alcolici”.

Allevamento di boscarini a Gallignana / Dusko Marusic/PIXSELL

Un discorso a parte è quello del tartufo istriano. Quale frutto della terra non si può tutelare, ma i derivati sì. A quando l’avvio del procedimento?

“In questo caso stiamo parlando di una specie di prodotto agricolo, o meglio di un frutto di bosco per noi molto importante. Dalle inchieste che di regola si fanno ai turisti, risulta che essi vengono da noi per il mare, il sole, la cultura, la storia, le tradizioni, la gastronomia, gli ottimi vini e gli oli di livello internazionale. Mi preme specificare che quest’anno l’Istria è stata proclamata, per la quarta volta consecutiva, la migliore area produttiva mondiale. Tornando al tartufo, che i turisti mettono al posto d’onore nelle preferenze, quello nero lo si può trovare in tutta la penisola, quello bianco in alcune zone. Si potrebbe forse procedere con la protezione del patrimonio forestale in cui cresce. Dobbiamo però discutere della cosa con l’Ente forestale Hrvatske šume, che gestisce il demanio statale. Eppoi è lo stesso Ente che concede le licenze per la raccolta. Ci sono poi i boschi privati e qui non possiamo fare molto. Possiamo contribuire notevolmente con la promozione del prodotto nei ristoranti. Tra le nostre intenzioni, pure la realizzazione di un Centro del tartufo, che sorgerà a Pinguente. L’iniziativa è costosa e di un certo peso, perciò siamo in attesa del sostegno dei fondi europei. Abbiamo dunque l’idea, il progetto, la località interessata. Certamente, realizzando il progetto, il tartufo assumerà maggiore importanza e valorizzazione. Il Centro, oltre a fornire informazioni, gioverà pure all’educazione dei giovani che vorranno dedicarsi alla raccolta. Disponiamo pure di due piantagioni in cui il tartufo viene coltivato. Forse una delle nostre prossime iniziative di tutela sarà dedicata proprio al tartufo. Il percorso non sarà facile. Ecco, io m’impegnerò ad avviare quanto prima anche quest’iniziativa”.

Si parlava prima degli alcolici, peculiarità peninsulari sì, ma di produzione limitata. In penisola ci sono delle tipicità vinicole tradizionali, quali il Vin de rosa di Dignano, il Moscato rosa di Parenzo, la Mistela di Buie. Proprio in questi giorni qualcuno a Buie ha parlato della necessità di rinvigorire la produzione della Mistela, perché la ricetta la conoscono ormai in pochi, e c’è il rischio di una sua scomparsa. È possibile tutelare anche questi prodotti, seppure di minima produzione?”

“Per quanto riguarda il processo di tutela, la quantità non sempre è importante. Talvolta è necessario insistere sulla qualità, ma non sulla quantità. Se un prodotto di produzione limitata è di qualità eccellente, attira sia i turisti sia gli amanti del buon vino, ad esempio. Se noi avessimo un solo tipo di vino bianco o rosso, sarebbe come non avere niente. Avendone di più tipi, chi ama i vini ha maggiore interesse e nel caso si può fare qualcosa. I vini rari hanno un pregiato prezzo di mercato, perciò dovrebbero essere tutelati e promossi ancor di più di quelli comunemente prodotti. Occorre perciò puntare su di essi, poiché rappresentano la tradizione, la località, la regione di produzione e di provenienza. Se a Buie o in qualche altra parte si decidessero a fare qualcosa in merito, noi potremmo intervenire sovvenzionando l’indagine storica e includere sia la Mistela che gli altri prodotti caratteristici nella nostra Strategia regionale di sviluppo del vino”.

Vogliamo allora parlare di questo documento?

“L’associazione vinicola Vinistra ha predisposto e approvato la Strategia in una delle sue recenti assemblee. Il documento definisce le linee di sviluppo della vitivinicoltura regionale fino al 2030, come pure la metodica produttiva, le varietà coltivabili, le posizioni geografiche di lavorazione, le attività di marketing e promozionali. A questi ultimi due campi è dedicata gran parte del documento. Sia vini di larga produzione sia le rarità contribuiscono alla promozione complessiva del settore vitivinicolo peninsulare. I nostri vini hanno raggiunto un’ottima qualità. Alle importanti rassegne del settore sono sempre premiati, nonostante la grande concorrenza di vini, quali ad esempio quelli toscani, d’un prezzo di almeno tre volte superiore al nostro, ridotto per mancanza di marketing. Un Brunello di Montalcino, tanto per fare un esempio, è molto conosciuto e per chi lo ordina è normale sborsare 70 o più euro a bottiglia. Se vogliamo concorrere sul mercato dobbiamo influire sulla qualità – comunque già perfetta -, migliorare il marketing ed elevare il prezzo, per consentire ai nostri produttori di vivere meglio del loro prodotto. La Strategia parla proprio di questo”.

I vitivinicoltori sono stati sempre all’avanguardia. Si dispone di simili documenti di sviluppo anche per l’olio d’oliva e per gli altri prodotti?

“Purtroppo no. Abbiamo la Strategia del settore vinicolo, quelle per lo sviluppo rurale e del turismo. Sulla Strategia di sviluppo dell’olivicoltura stiamo lavorando. Le condizioni per crearla ci sono. Abbiamo degli ottimi produttori e un prodotto eccellente. La produzione olearia peninsulare è in continuo aumento e si espanderà ancora di più, vista la grande mole di piante giovani distribuite in precedenza e che adesso cominciano a dare i loro frutti. Dobbiamo dunque capire come proseguire per aiutare i nostri produttori. Inizialmente li abbiamo aiutati con la distribuzione delle piante, quindi sono stati recuperati i vecchi oliveti, adesso c’è un prodotto eccellente e una notevole quantità, ma il loro percorso evolutivo s’è arrestato. La recente acquisizione del marchio di protezione ha dato nuova linfa al settore. Nei prossimi cinque anni, chi vorrà usare il marchio sarà supportato dal Ministero dell’agricoltura per sostenere le spese di certificazione del prodotto. Basterà avere un’azienda e certificare le fasi produttive. Praticamente, il processo non costerà nulla. Ma non basta per proseguire: occorre approvare la Strategia e definire le linee di sviluppo futuro del settore. Su questa strada va creata pure un’associazione olivicola, al fine di unire i produttori e creare una considerevole iniziativa promozionale, che consenta loro l’accesso ai mercati altrimenti irraggiungibili singolarmente. Unendo le forze e migliorando l’organizzazione produttiva e l’associazionismo si può fare molto. La creazione di associazioni di produttori è favorita anche dal Ministero dell’Agricoltura, che a tale fine può stanziare annualmente fino a 100mila euro, e precisamente un massimo di 485mila euro per un quinquennio. Dopo, però, essa dovrebbe proseguire da sola per la sua strada”.

Negli ultimi anni si stanno facendo notevoli sforzi per promuovere gli impianti d’irrigazione nella penisola, il che aiuterà notevolmente il settore. A che punto siete giunti con questo progetto?

“Recentemente il sistema è stato messo a punto in quel di Altura, dove è in perfetto funzionamento. In questi giorni è stato siglato il contratto per l’inizio dei lavori nel Parentino, relativamente alle aree di Porto Cervera e di Bassarini. L’intervento costerà 110 milioni di kune e interesserà un’area superiore ai 500 ettari coltivabili. In questo periodo stiamo preparando il progetto per l’irrigazione dei campi di Petrovia, che interesserà una quarantina di produttori di pomodoro, con più di 500 ettari di terreni coltivabili disponibili”.

Si è attenti anche alla ripresa del patrimonio zootecnico. Cosa si sta facendo?

“Nel prossimo periodo concentreremo gli sforzi nel recupero e nella valorizzazione di questo patrimonio. Ciò su cui dobbiamo insistere è la diffusione dell’allevamento degli animali. Abbiamo già iniziato a promuovere la cosa con la capra istriana, di cui, in questo momento non ce ne sono molte. Dobbiamo guardare a un programma d’incentivi e di aiuti per quanti hanno intenzione di allevarle. La capra istriana è ottima per la produzione di latte. Oggi come oggi il formaggio di capra è molto ricercato, ha un buon prezzo. Siamo del parere che una famiglia giovane, se interessata, potrebbe avere una determinata quantità di capre e con non molto lavoro e non grande sforzo potrebbe avere un buon rientro economico con la produzione di formaggio. Aiuteremo gli interessati dando loro gratuitamente il primo gregge di capre, finanzieremo l’edificazione della stalla e delle strutture di mungitura e di lavorazione casereccia. In poche parole, intendiamo contribuire consegnando agli interessati la chiave in mano per iniziare, con il solo obbligo di restituirci, dopo un paio d’anni, le capre consegnate, affinché siano affidate ad altri. A tale proposito, al fine di proseguire con l’attività, abbiamo pattuito pure la concessione di crediti a basso tasso d’interesse a cura del Fondo per lo sviluppo rurale dell’Istria e dell’agriturismo. Una delle sue strategie sta nel finanziare lo sviluppo di allevamenti animali, con una moratoria di tre anni sul mutuo, non però sui tassi d’interesse. In pratica, nell’arco di 14 anni il credito verrebbe stinto. Sulla stessa falsariga proporremo il recupero d’allevamento della pecora istriana, anch’essa numericamente esigua, quindi dell’asino (la cui carne è già usata nella gastronomia regionale) e del boscarino, il cui progetto di recupero è a buon punto, visto che abbiamo oltre 2mila capi registrati, rispetto alle poche decine di qualche decennio fa. Sfruttando l’esperienza acquisita nel recupero del bue istriano, dobbiamo procedere con il recupero delle altre specie, tra cui la gallina, inserita nell’apposito elenco ministeriale e adatta sia alla produzione di carne che di uova. Noi potremo assicurare gratuitamente la prima nidiata di pulcini. Sono cose che si potrebbero realizzare in tempi brevi, offrendo ai giovani un’ulteriore possibilità per restare in Istria, nonchè un ventaglio di prodotti più ricco a disposizione dei ristoranti, degli agriturismi e della nostra gastronomia”.

Trattando di tutto questo, è d’obbligo parlare anche dei pascoli, storicamente carenti in Istria. Come ottenerli?

“Le aree a pascolo fanno parte del demanio statale, gestito dalle Hrvatske šume. Facendone richiesta, è possibile ottenerle in usufrutto. Ciò che manca sono i terreni agricoli sui quali produrre foraggi e altri alimenti animali. Se l’allevatore non ha terra, deve acquistare gli alimenti per dar da mangiare agli animali. Con la nuova Legge in materia, le autorità locali hanno già iniziato a predisporre i programmi di gestione dei terreni agricoli e ciò favorirà ulteriormente la diffusione delle varie forme d’allevamento”.

Gli animali al pascolo contribuiscono pure alla manutenzione e alla ricrescita dell’ambiente. Il discorso qui allora si fa pure d’interesse ecologico?

”Questa è una storia molto lunga, che ci riporta alle origini. Una volta in Istria c’erano 178mila pecore, adesso ne abbiamo 16mila. C’erano poi mucche, buoi ed altri animali al pascolo, e di conseguenza si completava tutto il processo ecologico ed ambientale. Oggi i boschi, i prati e i pascoli si stanno inselvatichendo. Mancano la cura dell’uomo, l’intervento animale, la concimazione. Perciò gli asparagi, i funghi, i tartufi e gli altri frutti di bosco vengono sempre meno. Avendo gli animali al pascolo e aumentandone il numero, si ricomporrebbe il processo di recupero del paesaggio e del suo ciclo evolutivo, con vantaggi per i produttori, per i turisti, per il recupero della tradizione, per gli allevatori: per tutti, insomma. Queste cose sono ben definite nella nostra Strategia di sviluppo dell’Istria quale bioregione, che coinvolge l’agricoltura, l’economia, il turismo, la tutela dell’ambiente, la sanità, le scuole, l’educazione, il tutto rivolto alla creazione di un sistema di sviluppo sostenibile della nostra penisola”.
Oggi si tende a fare dell’agricoltura un settore che protegga sia il clima sia l’ambiente. Si vuole pure creare un ambito per il produttore e per il consumatore, in grado di garantire una produzione di tipo sano e sostenibile. In questo contesto si colloca anche l’agricoltura istriana, che guarda al rinnovo e all’ammodernamento.

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