Veleggiare sui laghi del Trentino immaginando la battana di Valsaline

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Veleggiare sui laghi del Trentino immaginando la battana di Valsaline

Intervistare un collega, giornalista pubblicista, con ruoli importanti nella politica e nella società civile, è già una sfida, aggiungiamo inoltre che si tratta di un istriano, con origini a Rovigno e Pola, impegnato nel Comitato scientifico della Fondazione Alexander Langer, Coordinatore della scuola di formazione culturale-politica,fa parte del Movimento Nonviolento e del Forum trentino per la pace e i diritti umani, già assessore in quel di Trento, coinvolto, ligio. Ma Roberto De Bernardis non se ne cura, mentre ci accompagna a conoscere la città che lo ha accolto anni fa come studente e che non l’ha più lasciato andare. Ci fa vedere le opere pubbliche realizzate con le varie giunte ed i collaboratori per un ambiente veramente vivibile, nel rispetto di un contesto già ricco e generoso. Trento trasuda storia e la voglia di renderle omaggio nel giusto modo, è grande. Attraversare le sue strade significa scorgere sempre nuovi richiami all’arte, alla civiltà, ad uno sviluppo che ha lasciato tracce profonde dello scorrere del tempo. Roberto De Bernardis è anche presidente dell’ANVGD di Trento e Rovereto, fedele a quell’appartenenza che sente in modo forte. Pola è presente, prolungamento della numerosa famiglia di zii e cugini che continuano ad essere per De Bernardis un importante punto di riferimento.

“Siamo venuti via da Pola nel ’52 – racconta – con grande difficoltà, a mia madre non volevano concedere l’opzione. Dopo un viaggio in treno, a tappe, Pola-Lubiana-Trieste-Udine siamo approdati ad Altamura in Puglia. Il campo profughi doveva rimanere un passaggio breve, solo sei mesi. Fu un cugino, già a Genova, a consigliarci di andare a Busalla, dove abbiamo trovato tanta gente proveniente come noi da Pola, ma anche da Fiume e Zara”.
Nuove amicizie, un nuovo contesto. Come lo ricorda?
“Ci si trovava tra di noi la domenica, con i Sigon di Fiume, in particolare. Sono cresciuto col loro figlio. In casa si parlava il dialetto, con i ragazzi locali il genovese stretto. Giocavo a calcio, lo sport era un modo per socializzare. Il mare invece, che ho sempre frequentato, era il nostro legame con la vita precedente quando con mio padre s’andava a veleggiare in Valsaline, a bordo di una battana con la vela cucita in casa. Lui navigava sulle grandi navi, io mi iscrissi all’Istituto Nautico di Genova, ma l’attività sportiva a vela l’ho proseguita in Trentino, una necessità di ripensare il mare in un ambiente alpino. Il Lago di Caldonazzo faceva al caso mio”.
Solo una concessione al tempo libero o qualcosa di più?
“Sono stato Presidente dell’associazione per tre mandati. Segretario della Federazione italiana vela della zona Lago di Garda, dal Brennero a Bergamo e Cremona. Ho partecipato a tante regate, sul beccaccino, o snipe in inglese, barca a doppia vela. Una categoria nata in America, la sede ufficiale infatti è a San Diego, ma è anche la più diffusa al mondo tra le barche non olimpiche. E’ stabile, ti concede un giusto tempo di reazione. Ad un certo punto ho proposto il gemellaggio con il club velico Uljanik del cantiere Scoglio Olivi di Pola”.
Come è stato tornare a Pola in questa veste?
“Importante oltre che obiettivamente bello, e non solo per il fatto che al circolo tutti parlino il nostro dialetto ma anche per il fatto che portando dei trentini a Pola potevo finalmente spiegare meglio la nostra storia. Spesso li sento usare i nomi delle nostre località nella sola versione croata dimenticando che c’è un toponimo italiano, anche se non lo vogliono usare è bene che lo conoscano. Per me era importante far comprendere che non è diverso dal Sudtirolo, dove i nomi delle località nascono in lingua tedesca, cambiate in italiano negli anni Trenta, nel ventennio, come è successo per i nostri toponimi dopo la seconda guerra mondiale. Chi oggi viene in questi luoghi di vacanza, non capisce queste sfumature che sono sostanza, per noi la questione è chiara. Anzi è un impegno a non perdere la memoria, qui in Trentino, come in Istria e dappertutto, perseguendo un principio universale”.
Giornalista, funzionario regionale e consigliere comunale e poi assessore alle attività economiche, ambiente, affari generali. Impegnato con i verdi…una vita piena.
“L’impegno sociale nasce dall’interesse personale per questi temi. In effetti la mia carriera giornalistica, inizia nel 1968 a Genova, con i primi fogli destinati ai giovani, poi continuata con Vita e Mare, il giornale del Collegio nazionale dei capitani di lungo corso: contestavo tutto il sistema gerarchico perché le condizioni di vita di chi lavorava sulle navi non era il massimo, e da là l’evoluzione, non ho mai smesso di scrivere e di impegnarmi nel sociale”.
Come si fa a cambiare le cose?
“Difficilissimo, visto dove siamo arrivati. Credo si debba istituzionalizzare la domanda sociale, capire quali siano i problemi per dare risposte istituzionali, soprattutto sul tema delle disuguaglianze per arrivare ad un sistema che garantisca a tutti uguali opportunità, lontano dai privilegi dei partiti o dalla provenienza, garantire a tutti diritti civili e umani, con norme che lo consentano”.
Perché è tanto difficile raggiungere un equilibrio, un cenno di armonia?
“Perché le norme giuste si scontrano con la paura del diverso, di perdere i privilegi raggiunti, sono contrarie agli egoismi che invece costellano l’esperienza umana. Chi ha potere o privilegi economici difficilmente li cede. La tutela del bene comune non esiste. L’acqua, l’aria, il territorio non sono spendibili sul mercato. Il rapporto col terzo mondo, dove lo squilibrio è generato dal nostro sfruttamento, produce effetti sull’ambiente che non rimangono in loco ma ci coinvolgono tutti. Avevamo creato con Alexander Langer un’associazione internazionale con sede a Francoforte, col nome di Alleanza per il Clima, che riuniva i comuni europei e gli Indios dell’Amazzonia. Alleanza che avrebbe dovuto garantire in Europa l’utilizzo di risorse sostenibili e non inquinanti in modo tale che in Amazzonia si potessero mantenere le risorse ambientali. Un tentativo, coscienti di quanto sia difficile scalfire lo strapotere delle multinazionali”.
Eppure ciò che poteva sembrare utopia, all’improvviso si realizza, vedi il boom del biologico. Se c’è la domanda, è inevitabile che cresca l’offerta…
“Non sempre i tempi sono adeguati alle nostre dinamiche, ma il viaggio vale la meta, bisogna continuare a spingere, perché la gente alfine comprenda e faccia propri principi ed evoluzione”.
Che cosa rappresenta l’impegno nell’associazionismo giuliano-dalmato?
“Sono stato eletto recentemente, presidente del Comitato provinciale di Trento nonché consigliere nazionale dell’ANVGD, dopo molti anni di militanza come socio. Oggi vivo questa realtà dall’interno come compito fondamentale nel preservare memoria e raccontarla per due motivi: ciò che è successo ha un valore universale, secondo, ci sono ancora molte cose irrisolte. Vedi indennizzi ma anche il riconoscimento di ciò che è successo attraverso un’analisi comune di questa storia. L’incontro dei tre presidenti a Trieste ha determinato una svolta. So che recentemente a Roma c’è stato un incontro per riprendere le trattative sugli indennizzi, con la rivalutazione di quelli già corrisposti e la liquidazione di quelli restanti, poi c’è la questione della Fondazione ancora in fieri, eppure si tratta di beni che potrebbero tornare in capo di chi è andato via. La sensazione è di una situazione purtroppo ferma”.
E a livello locale?
“Il Giorno del Ricordo è molto partecipato, soprattutto negli incontri con le scuole e la cittadinanza, con i Comuni di Trento, Rovereto e Avio in particolare e con la Fondazione Museo Storico del Trentino. Purtroppo le nostre fila si stanno assottigliando ad ogni anno che passa, oggi siamo una novantina di iscritti. Recentemente hanno aderito all’associazione cinque nipoti e figli attraverso il passaparola. Ce ne sono tantissimi ma defilati. I Comitati spesso vivono spaccature che bloccano lo sviluppo o non permettono nuove strategie. Non abbiamo, per esempio, rapporti con Bolzano. Reputo un grave danno non ricevere più il giornale nazionale”.
Che cosa si dovrebbe fare?
“Riformare: maggiore ordine nell’organizzazione, una struttura operativa e stabilire dei programmi con obiettivi da raggiungere. Partendo dallo Statuto, è fondamentale, la parte giuridica è indispensabile. Per quanto riguarda gli obiettivi, direi che gli ambiti sono tantissimi, non solo la memoria, penso alla raccolta di testimonianze, di esperienza della storia minima, capire quale sia la prospettiva futura: il rapporto con le terre d’origine, ci vuole un programma anche di fronte a pareri discordi. Il prossimo congresso ANVGD si terrà in ottobre (il 20) ed allora si vedrà”.
Come considera la possibilità di attività congiunte, per un ritorno possibile, anche dei giovani?
“Da parte dei singoli, il ritorno c’è stato. I miei genitori al massimo sono arrivati fino a Trieste. Con loro non sono mai andato a Pola. L’ho fatto da solo. Avevo quasi quarant’anni, il primo figlio era appena nato. Ed è stato molto emozionante, nonostante non avessi un’idea precisa di cosa avrei trovato. Fotografavo ciò che vedevo. Volevo sapere dove ero nato e conoscere i miei parenti. Giunto a Pola, a Monte Paradiso, mi presentai con un elenco scritto da mia madre, che ancora conservo. C’era allora una strada bianca che si fermava davanti alla casa che era stata dei miei nonni con donne che chiacchieravano sotto ad un grande albero. Cercai la zia Zora, ritornata dall’America a vivere nella vecchia casa. Ci salutiamo e mi dice: ma guarda che quelle sedute fuori sono le tue zie… E’ stata una grande festa. Ricordo che al vecchio zio bisognava dare del voi altrimenti ti guardava storto. Ho incontrato i fratelli di mia madre rimasti in Istria. Mi hanno raccontato tutte le loro storie. Le grandi delusioni, i ripensamenti. Ho rivisto tutti i cugini, fino ad allora c’era sempre stato solo un raro carteggio. E’ stato un vero e proprio pellegrinaggio. E da allora sono sempre tornato”.
La storia pesa ancora?
“Vorrei che si potessero affrontare questi nostri temi, fuori dagli schemi ideologici. Le cose spaventose fatte dagli “ismi” nel Novecento, vanno denunciate. La nota semplificazione per cui la violenza di Tito sarebbe stata una risposta al fascismo, non funziona. Liberarsi da questi schemi significa poter affermare valori fondamentali. Il nazionalismo, coperto da ideologia è stato lo strumenti per conquistare un territorio”.
Che cos’è questa terra istriana per i suoi figli?
“Ci vanno regolarmente, per conto loro. Due anni fa ho portato finalmente mio fratello. Ora vuole tornarci”.

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