Livio Dorigo: esperienze vita trasferite al mondo d’origine

La pandemia ha fatto emergere problemi ed eccellenze, l’importante è non perdere la consapevolezza degli obiettivi da raggiungere sul territorio: intervista al presidente del Circolo Istria di Trieste

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Livio Dorigo: esperienze vita trasferite al mondo d’origine

“Nel mio lungo esilio non ho mai smesso di ripetere a me stesso: imparo e ancora imparerò e quando tornerò a casa mia metterò in pratica tutto quello che mi hanno insegnato le esperienze maturate in questa Terra verso cui serbo profonda gratitudine”.
Livio Dorigo, presidente del Circolo Istria di Trieste, è seduto davanti a noi, mascherina che gli copre bocca e naso, questa pandemia ha reso tutto più difficile, apparentemente lontano, ma ha dato maggiore ampiezza ai pensieri, anche a quelli che erano chiari da sempre e già presenti nell’impegno quotidiano nonché associativo.
“Ora che riprende una certa normalità, il nostro impegno vuole essere, se possibile, ancora più forte e deciso. La vita in Istria ha ripreso il suo corso, la smania del turismo è forte, ma sarebbe pericoloso dimenticare, in questo momento le direttrici di sviluppo legate alle risorse del territorio, al rispetto della storia e delle naturali fonti genetiche che lo caratterizzano”.
Da che cosa nasce questa sua preoccupazione?
“Da quella che è stata la mia esperienza, sin dall’esodo da Pola nel 1947: ho soggiornato e conosciuto alcuni interessanti aspetti del mondo culturale e delle tradizioni delle diverse realtà della Penisola Appenninica e della Val Padana e in modo particolare la Campania, dove è nato Marco il primo figlio, il Lazio e Roma dove mi sono sposato ed è nata Bruna e prima ancora l’Umbria e Perugia dove mi sono laureato in veterinaria e successivamente frequentato l’Università come assistente e ricercatore, e ancora Roma al Ministero della Sanità e la Lucania e in modo particolare il Parco del Pollino dove ho intessuto dei rapporti fecondi con la locale Comunità montana”.
Ma è soprattutto la Puglia ad avere lasciato il segno. Perché?
“In particolare il Gargano col suo mondo zootecnico e con gli allevatori della Podolica, che ho conosciuto e frequentato con i veterinari sloveni del Capodistriano, ma poi c’è stata anche Cremona con la sua realtà zootecnica tra le più industrializzate d’Europa e ancora Varese e la sua provincia, sede nella sua parte meridionale – che si congiunge con l’hinterland milanese – di una fiorente e importante attività industriale come ad esempio le industrie aeronautiche Caproni, Macchi, Savoia Marchetti, Augusta: e che fa da contraltare a quella settentrionale, zona collinare meravigliosa sotto il profilo paesaggistico, ma anche terra marginale in via di abbandono”.
Momenti fondamentali della formazione professionale, civile e umana che le hanno consentito di superare i limiti e i traumi derivanti dallo sradicamento dal suo territorio e dalle sue tradizioni?
“Non soltanto, mi hanno permesso di recuperare, in parte, una perduta sicurezza: quella che ti deriva anche solamente dal sentire il suono dei tuoi passi sul suolo che conosci e che è tuo, di una terra alla quale appartieni. Come veterinario ho operato in realtà assai diversificate: la bassa padana e le valli varesine, ma sono stato anche consigliere comunale a Varese, presidente della Comunità montana della Val Ceresio, e tanto altro”.
La natura ci sta dando delle sberle, vedi la pandemia, ma c’erano già dei segnali premonitori concreti, nel passato?
“Agli inizi degli anni Ottanta ebbi modo di confrontarmi con un evento sgradito che però avrebbe contribuito a indirizzare in modo assai interessante le mie future attività. Si trattava della varroasi o acariosi delle api, un ‘regalo’ della globalizzazione. Una malattia parassitaria delle api che entrò nel territorio nazionale trovando il settore veterinario completamente impreparato ad affrontare questo morbo perlopiù sconosciuto. Compito dell’Ufficio Veterinario provinciale che dirigevo era coordinare la lotta anche nei confronti di questa patologia. Acquistai alcune arnie e divenni, con il passare del tempo, un appassionato apicoltore”.
Perché l’ape è tanto importante in questo nostro mondo?
“Einstein profetizzò che alla fine delle api seguirà quella del genere umano. È universalmente noto che le api da più anni a livello planetario manifestano segni di grave sofferenza che si manifesta con diffusa mortalità, che in alcuni siti raggiunge il cento per cento del patrimonio presente. Numerosi fattori sono riconosciuti di volta in volta responsabili di questa grave crisi. Tra questi il più diffuso e sempre presente è rappresentato dalla perdita degli ecotipi locali sostituiti con due sole razze a motivo delle loro capacità produttive. Gli ecotipi locali rappresentano però il risultato selettivo di adattamento all’ambiente raggiunto in milioni di anni che rappresenta un’indispensabile e insostituibile resistenza alle avversità ambientali. Il ruolo dell’ape per l’impollinazione che esercita è fondamentale nel garantire il mantenimento di gran parte delle essenze vegetali, quindi nella tutela dell’ambiente e nella produzione degli alimenti destinati all’uomo e agli animali da reddito”.
Ma nella sua esperienza ci sono altri episodi che potrebbero essere indicativi per il futuro dell’area istriana?
“Agli inizi degli anni Settanta giunse una segnalazione all’ufficio del Veterinario provinciale che a Piero, caratteristico borgo per altro abbandonato delle valli varesine, viveva un nucleo di giovani che allevavano capre. Accompagnato dal veterinario comunale competente, effettuai per obblighi d’istituto un sopralluogo per prendere atto della situazione e in particolare dello stato sanitario del bestiame. Si trattava di un gregge di una trentina di capi di razze diverse in buono stato di salute e di nutrizione, gestito da un gruppo di giovani di diversa provenienza che vivevano ai bordi della società. Notificati formalmente gli adempimenti di legge che devono essere assolutamente rispettati per la prosecuzione dell’attività, l’incontro era proseguito in via informale. Avevo così conosciuto dei giovani che per eccesso di entusiasmo dopo il Sessantotto avevano subito delle profonde disillusioni e ora si sentivano degli emarginati sociali. L’incontro aveva assunto una piega amichevole nonostante la differenza generazionale. Era una realtà che meritava attenzione e ascolto. Informai il sindaco e il presidente della Provincia della situazione e decidemmo di comune accordo di seguire con attenzione la situazione sotto il profilo tecnico, zootecnico, sociale e psicologico. Coadiuvato da un’assistente sociale e da uno zootecnico, continuai a seguirli, talvolta accompagnato anche dalla famiglia. Ricordo diversi momenti ed esperienze maturate nel corso degli anni vissuti nel Varesotto, nelle terre marginali delle sue valli. Esperienze molto importanti, ma soprattutto ‘esemplari’ nel far emergere la consapevolezza del bene comune, l’appartenenza al territorio”.
Tutto questo in che modo si coniuga con l’Istria?
“Rientrato a Trieste dopo lungo vagare, sono entrato a far parte del Circolo Istria che, sin dall’atto della sua costituzione, ha assunto come impegno prioritario, andando incontro e spesso superando notevoli difficoltà, incomprensioni e ostilità non sempre mascherate, quello di sviluppare dei rapporti culturali e anche di amicizia con i nostri connazionali dell’Istria e le loro istituzioni utilizzando tutte le opportunità che si offrivano. Conferenze, incontri e iniziative culturali presso le Comunità, pubblicazioni, oltre 70, frutto di ricerche storiche, paesaggistiche, geologiche, archeologiche partecipando a progetti Interreg con le istituzioni universitarie italiane, slovene e croate su argomenti d’interesse comune come la tutela della biodiversità del nostro territorio e delle sue risorse genetiche, animali e vegetali, la valorizzazione dei prodotti enogastronomici locali, e la loro promozione attraverso concorsi e iniziative tese a far conoscere le loro specialità: il miele, i formaggi – in particolare pecorini – prodotti nel nostro territorio con incontri che si svolgevano alternativamente a Grisignana, Capodistria, Duino o vari convegni di studio. Memorabili le gite organizzate dal Circolo accuratamente preparate appunto sotto il profilo storico, paesaggistico, culturale, spesso poi oggetto di pubblicazioni di notevole interesse. Importanti gli eventi tenutisi a Muggia sui molluschi bivalvi del nostro Golfo e sulla ribolla gialla, così come la collaborazione con l’Associazione dei Cordon Bleu de France e dell’Accademia della Cucina italiana. Per non dimenticare la fruttuosa collaborazione con l’Agenzia delle Democrazie locali di Verteneglio, operante sotto l’egida del Consiglio d’Europa, di cui il Circolo è membro e di cui fanno parte Comuni e istituzioni italiane, slovene, croate e del Canton Ticino. Ecco tutto questo attende una ripresa. Non solo il turismo dei grandi numeri, ma anche questi contributi minimi di grande valore che spronano il territorio a non smarrire le orme del passato che sono ricchezza nel presente. Abbiamo preso contatto con Dignano per l’importanza di aver dato vita all’ecomuseo e alla fattoria didattica e con i quali vogliamo operare. Da sottolineare l’importanza del Festival dell’Istrioto che intende salvaguardare le parlate locali, pietra miliare della nostra presenza in Istria. E poi la salvaguardia della pecora locale, della capra e del bue istriano. Intendiamo impegnarci per realizzare iniziative concrete in Cicceria. Negli anni abbiamo aperto molte strade, è tempo di riprendere il cammino anche tramandando tutto ciò alle giovani generazioni, perché nello straordinario patrimonio storico e culturale di queste terre, è descritto anche il loro futuro”.

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