Il volto della statua del Marinaio è quello di un capitano piranese

Lunedì a Trieste nella Biblioteca Stelio Crise, presentazione in anteprima del libro «La mia America» di Gillo Dorfles

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Il volto della statua del Marinaio è quello di un capitano piranese

Èuscito postumo l’ultimo libro di Gillo Dorfles, il grande artista che Trieste onora con una mostra intitolata “Il segno rivelatore di Gillo” (ricca di inediti, tra i quali lavori realizzati per i nipoti Giorgetta e Piero che, dopo l’inaugurazione della mostra, si sono presentati davanti a un folto pubblico in conversazione con Marianna Accerboni curatrice dell’esposizione. E gli incontri collaterali continuano: lunedì 9 dicembre alle ore 18 alla Biblioteca Stelio Crise (Largo Papa Giovanni XXIII, 6), nell’ambito della mostra “Il segno rivelatore di Gillo”, Cristina Battocletti, giornalista de Il Sole 24 Ore, presenta in anteprima per Trieste, il libro “La mia America” (Skira editore).
Un’opera cui l’autore teneva molto, ritenendo i suoi viaggi americani – in particolare modo il primo coast to coast avvenuto nell’autunno-inverno del 1953 – cruciale per la propria formazione intellettuale. A partire dal secondo dopoguerra l’artista incontra infatti negli Stati Uniti personalità di primo piano quali i più noti studiosi di problemi estetici e critici d’arte come Thomas Munro, Clement Greenberg, James Sweeney, Alfred Barr, Rudolph Arnheim, György Kepes e alcuni tra i maggiori architetti, da Frank Lloyd Wright e Mies van der Rohe.
Giorgetta e Piero hanno creato un’associazione, nel nome dello zio, per continuare a promuovere la sua opera, ricordare i tanti successi di una vita ultracentenaria. Gillo è scomparso nel mese di marzo di un anno fa dopo aver raggiunto i 107 anni d’età.
“Di solito anche in tarda età, viaggiava da solo – racconta Giorgetta – come era accaduto anche a Spilimbergo, dove a 99 anni era andato per tenere un seminario alla Scuola Mosaicisti del Friuli diretta da Gianpiero Brovedani. Nell’occasione creò dei bozzetti, uno dei quali è esposto per la prima volta in mostra a Trieste accanto a due mosaici, che escono per la prima volta dalla Scuola e che sono stati realizzati dagli allievi seguendo i bozzetti stessi. In mostra l’architetto Accerboni ha voluto creare anche una sezione, che ho apprezzato molto, con importanti opere di pittori di Trieste e della Regione FVG, tra i più rilevanti nell’evoluzione del linguaggio artistico del Novecento, dei quali mio zio aveva scritto: lavori di Arturo Nathan, Leonor Fini, Getulio Alviani, Miela Reina, Bruno Chersicla, Carlo Ciussi, Renato Calligaro, Luigi Spacal, Maria Lupieri, Enzo Cogno, Emanuela Marassi, accompagnati dai testi critici che Gillo aveva dedicato loro e messi a disposizione da collezionisti privati”.
Giorgetta ricorda anche il suo profondo legame con Trieste. Gillo si era trasferito a Milano dopo aver fatto l’università a Milano e Roma, lei invece, dopo la laurea a Trieste, si era trasferita a Roma dove per anni aveva fatto la regista ma poi decise di tornare alla città sul mare Adriatico che rimaneva un punto di riferimento importante. Per sua madre Alma Dorfles, moglie di Giorgio, fratello di Gillo, Trieste era piena di ricordi densi, resi tali dagli attesi ritorni di suo padre, capitano marittimo.
Di Alma parla con affetto anche Marianna Accerboni: “Alma era una bella donna elegante, figlia di Piero Fragiacomo capitano nato a Pirano e direttore dei Fari dell’Adriatico. Era amico di Arduino Berlam, il progettista del Faro della Vittoria alla cui realizzazione aveva prestato la propria opera anche lo scultore Giovanni Mayer (Trieste, 1863-1943). Quest’ultimo firmò la statua bronzea della Vittoria alata che corona l’apice della lampada, e la statua del marinaio che orna la parte frontale del faro. Le due statue sono alte rispettivamente 7,2 e 8,6 metri. Per la statua del marinaio Berlam scelse il volto del padre di Alma al quale era molto legato”.
Come molte ragazzine nate in casa di marinai istriani, anche Alma imparò sin da piccolina a uscire in barca. “Viveva con la famiglia – così la figlia Giorgetta – nella Lanterna della Sacchetta, il primo faro fatto costruire dall’imperatrice Maria Teresa per regolare la segnaletica lungo l’Adriatico. Lei, piccolina, in questa casa rotonda, attendeva l’arrivo del padre che quando sbarcava si dedicava alla figlia, le aveva insegnato ad andare in barca partendo dal faro, verso il tramonto, muovendosi nello specchio d’acqua dell’Adriaco e degli altri club nautici. Avrà avuto 8-10 anni e da allora non smise mai il suo rapporto stretto con la barca che significava mare, avventura, sogni, l’idea di Istria che il padre le aveva tramandato, di bellezza, di completezza che portava con sé”.
Anche in questi racconti minimi Trieste rivela la sua incredibile ricchezza che si coglie soprattutto nella rete di conoscenze, incontri, esperienze. Alma che aveva conosciuto di fama calibri come Berlam e Mayer, andrà sposa a Giorgio, fratello di un grande artista come Gillo Dorfles che riconoscerà nella sua lunga esistenza il valore dell’amicizia, dei rapporti con le persone, come momenti fondanti della filosofia di vita.
“Era nato a Trieste nel 1910 – racconta la Accerboni – da una famiglia altoborghese e aristocratica, cittadino dell’impero absburgico. A casa si parlava l’italiano, il tedesco e il francese, conoscenze che poi Gillo avrebbe implementato con grande facilità – data la sua attitudine ad apprendere le lingue – imparando anche quelle di altri Paesi come lo spagnolo, il russo, il polacco, il fiammingo. Ciò gli consentì di tenere spesso conferenze nell’idioma della nazione ospitante, fatto di cui andava fiero. Non a caso in mostra, tra i vari documenti inediti, sono presentate anche foto che lo ritraggono mentre parla in pubblico all’estero: ce n’è per esempio una in cui presenta in croato una mostra di Lucio Fontana a Zagabria. In altre è raffigurato assieme a personaggi famosi come l’architetto Renzo Piano a Berna, Nuria Schoenberg, figlia del celebro compositore e moglie di Luigi Nono, con gli architetti Gae Aulenti e Marco Zanuso, con Luigi Einaudi, Andrea Bocelli e con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nell’atto di conferirgli l’Onorificenzadi Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”.
Viene spesso ricordata la sua amicizia con Bobi Bazlen e Leonor Fini, Leo Castelli e Arturo Nathan, le frequentazioni con Svevo e Saba, il fenomeno della psicoanalisi. L’ha raccontato anche la Battocletti nel suo libro dedicato a Bobi Bazlen dal quale emerge il valore di amicizie, dei contatti diretti o comunque epistolari densi con gli intellettuali del tempo che spesso determinavano scelte precise, di pubblicare o meno, di cogliere o meno l’occasione di presentarsi al pubblico. Una potenza quel loro reale fare rete che oggi i social fingono di emitare producendo solo vuoti. All’incontro di lunedì 9 la giornalista del Sole 24 Ore, che vive a Milano, ma è di origini friulane, si soffermerà sulle pagine del suo libro dedicate al grande artista, uomo eclettico che sapeva mettersi in gioco.
Dorfles, dopo una laurea in medicina decise di specializzarsi in psichiatria. L’arte – ragione di vita – era però ancora una meta da raggiungere, quasi un sogno non ancora abbozzato e chiaro. Spirito inquieto, si interessava con particolare passione sia di musica che di pittura. E a proposito, egli stesso definì “scarabocchi” quei primi tentativi di cimentarsi nell’arte.
Lo racconta anche Cristina Battocletti in “Bobi Bazlen. L’ombra di Trieste” (La Nave di Teseo editore), un approfondito e interessante affondo sull’importante intellettuale, amico molto amato e stimato da Dorfles, ma anche dall’istriano Pier Antonio Quarantotti Gambini. Bazlen (Trieste 1902 – Milano 1965) fu infatti il grande traghettatore della letteratura mitteleuropea in Italia, tra cui Franz Kafka e Robert Musil, quando questa era ancora ignota, e fondatore con Luciano Foà della casa editrice Adelphi, consulente di Einaudi e delle più grandi case editrici italiane. Grazie a lui venne scoperto Italo Svevo.
Come in una catena di DNA, elementi che si combinano per dare vita a qualcosa di meraviglioso: il cammino del pensiero.
Durante l’incontro verrà trasmessa anche un’intervista inedita della giornalista a Gillo, realizzata poco prima della sua scomparsa. Cristina Battocletti è critica cinematografica e lavora alla “Domenica” del Sole 24 Ore. Ha scritto a quattro mani con l’autore sloveno la biografia di Boris Pahor, “Figlio di nessuno” (Rizzoli, 2012), premio Manzoni come miglior romanzo storico; “La mantella del diavolo” (Bompiani), Premio Latisana, finalista ai premi Bergamo, Rapallo e Asti. Bobi Bazlen, “L’ombra di Trieste” (La Nave di Teseo 2017), premio Martoglio e Comisso.
La rassegna di Trieste, visitabile fino al 14 dicembre, è la prima organizzata dopo la morte dell’intellettuale. Promossa dall’Associazione Culturale Gillo Dorfles, è ideata e curata da Marianna Accerboni. Di taglio artistico-documentario presenta vari inediti, con 100 opere su carta che ripercorrono l’evoluzione del segno del grande intellettuale e artista dal 1930 al 2017, una sezione sul design con rari bozzetti anni ‘30 e mosaici realizzati dagli allievi della Scuola Mosaicisti del Friuli di Spilimbergo su suo disegno e mai usciti dalla Scuola e una con importanti opere di Nathan, Leonor Fini, Miela Reina e altri artisti del FVG, accompagnate dai suoi testi critici; tutti i suoi libri in edizioni originale, lettere inedite di Nathan, Reina, Letizia Fonda Savio, documenti e giornali degli anni ‘30 e scritti con i suoi appunti.
La mostra si svolge con il patrocinio del Comune di Trieste, in collaborazione con Biblioteca Statale S. Crise, con la Media partnership del quotidiano Il Piccolo e il sostegno di Fondazione CRTrieste, Fondazione Kathleen Foreman Casali, Samer&Co.shipping, Ciaccio Arte Big Broker Insurance Group, Rotary Club Trieste Alto Adriatico, Spaziocavana Zinelli&Perizzi, Associazione APS Nova Academia Alpe Adria, Victoria Hotel Letterario, Bocconcino Trieste, Tenuta Baroni del Mestri. Partecipa a LET’S Read-Trieste Città della Letteratura.
Tanti i soggetti coinvolti per proporre una riflessione sull’importanza dell’incontro, dello scambio di esperienze, del confronto tra persone mosse dal comune amore per l’arte. Emerge anche la centralità del rapporto di Trieste con l’ambiente intellettuale istriano, prima e dopo l’esodo, parte fondante di una realtà che oggi emerge in tutta la sua ricchezza.

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