PERCORSI EUROPEI Europa: è tempo di un nuovo trattato

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PERCORSI EUROPEI Europa: è tempo di un nuovo trattato

Il discorso della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, sullo stato dell’Unione 2023 ha diviso, come ci si poteva aspettare, l’opinione pubblica europea. Un discorso troppo “tecnicista”, imperniato sui risultati conseguiti dall’esecutivo comunitario guidato da Ursula von der Leyen, con appelli retorici all’appuntamento con la Storia – la “esse” scritta e declamata con la maiuscola – partendo da un continente “unito nella libertà e nella pace”, sarebbe, in generale, la reazione dell’opinione pubblica europea. Naturalmente, le forze politiche alle quali si appoggia la presidente della Commissione europea hanno osannato il discorso sullo stato dell’Unione 2023 e i temi affrontati, ma tre aspetti in particolare sono degni di nota per capire cosa si propone l’esecutivo comunitario e la sua leader per i prossimi 300 giorni che ci separano dalle elezioni europee, che si terranno dal 6 al 9 giugno prossimo. I tre punti chiave dell’intervento, che è stato giudicato da molti come un discorso elettorale, dunque per il rinnovo del mandato, sono innanzitutto le proposte in materia di competitività per contrastare l’offensiva economica e commerciale cinese con la transizione ecologica e un sostegno all’industria europea; il secondo tema riguarda il rapporto dell’Europa con il vicinato del Sud, un nuovo approccio di sicurezza e strategico per l’Africa per arginare il fenomeno migratorio; il terzo punto saliente infine riguarda l’ulteriore prospettiva dell’allargamento a Ucraina, Moldova e Balcani occidentali.

Il Partito popolare europeo si propone, a quanto sembra, di ricandidare Ursula von der Leyen alla carica di presidente della Commissione: le altre forze politiche in seno al Parlamento europeo auspicano un cambiamento non solo di guida all’esecutivo comunitario, ma anche di rotta politica dell’Unione europea. Così, a nome dei popolari, il presidente del Partito popolare europeo, Manfred Weber, ha lodato il discorso della presidente proprio per il suo impegno assertivo per il green deal, per la protezione dell’Europa dalla concorrenza cinese e per una svolta “geopolitica” dell’Unione. A differenza dei democratici e socialisti, che hanno criticato la mancata strategia per combattere la crisi migratoria, per fermare la deriva autoritaria in Europa simbolizzata dalle “democrazie illiberali” di Polonia e Ungheria, nonché la mancanza di una dimensione sociale della politica dell’UE, alla luce dell’inflazione che ha colpito tutta l’Europa, ma principalmente le “economie deboli”, allargando le fasce sociali della povertà e dell’insicurezza e precarietà del lavoro. Il terzo polo, i partiti liberali, hanno ripreso il tema della necessità di “salvare la democrazia” dalle spinte autoritarie ed hanno auspicato più riforme istituzionali nonché un’accelerazione del processo di allargamento. Tutti, però, hanno giudicato molto positivo il risultato ottenuto con la “Next Generation”, cioè la risposta dell’Unione alla pandemia del Covid, che ha avuto un risultato importante nel veder affiorare una solidarietà mai vista, portando alla ribalta un piano di sostegno agli Stati membri che ha ribaltato la ritrosia dei cosiddetti “Paesi virtuosi” dell’UE in materia di Eurobonds, le obbligazioni europee ora introdotte senza una particolare opposizione.

Naturalmente, il quarto polo politico presente nel Parlamento europeo – gli euroscettici – ha rifiutato ciascuno dei tre punti salienti, partendo dalle posizioni “brexitiane” che vorrebbero decomporre l’Unione europea e tornare alle sovranità illimitate degli Stati con una cooperazione limitata al campo economico e militare. Ora, stando alle critiche che provengono dai federalisti europei, Spinelliani o no, la presidente ha purtroppo omesso di affrontare due temi scottanti che incidono sull’Europa e sul concetto, espresso da Ursula von der Leyen nelle battute finali del discorso, di “un continente unito nella libertà e nella pace”. E proprio il nocciolo della pace, perché anche in base alla critica che proviene dagli ambienti pacifisti europei, l’Unione europea ha creato, sì, i presupposti per una solidarietà comune con l’Ucraina, ma non ha risposto alla sua missione di pace, espressa nell’articolo 2 del Trattato di Lisbona, e non ha cercato di intraprendere la via del negoziato, per quanto faticosa essa sia, per diminuire il numero delle vittime civili e la distruzione del Paese. E poi, i federalisti europei sono rimasti abbastanza delusi dal mancato richiamo alle riforme istituzionali dell’Unione stessa, dal fatto di non aver elaborato abbastanza le conclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europa, una consultazione con i cittadini europei che è durata due anni di discussioni, progetti e proposte, sommate in un documento di 350 pagine, condensato in 49 proposte, un invito diretto a transitare verso un’Europa più democratica, con l’introduzione della maggioranza qualificata nel sistema decisionale dell’UE. La rivista federalista The New Federalist ha, perciò, criticato l’assenza di un approccio riformista, senza il quale non sarà possibile, in primo luogo, materializzare il progetto di allargamento, specialmente ai Balcani occidentali e ad altri potenziali candidati. La permanenza del veto nell’Unione europea è ormai un anacronismo, come è stato valutato anche dai cittadini europei nel primo, e importante dibattito a tutto tondo, quale si è profilata la Conferenza sul futuro dell’Europa.

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