INSEGNANDO S’IMPARA Quale scuola?

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INSEGNANDO S’IMPARA Quale scuola?

Avendo avuto esperienza del nostro sistema scolastico e conoscendo abbastanza bene quello italiano, una volta arrivata in Irlanda del Nord, mi sono dovuta confrontare con un modo di studiare sostanzialmente differente che presuppone una radicale divergenza di base nel modo di concepire l’istruzione.

Volendo esprimere il concetto con un’immagine, direi che i nostri sistemi scolastici si realizzano a ventaglio, cioè si studia tutta una serie di materie obbligatorie che danno accesso a molteplici corsi universitari, mentre quassù il sistema è ad imbuto dove il numero delle materie viene progressivamente ristretto in vista del corso universitario che si vuole perseguire. In pratica significa che in varie fasi del loro percorso scolastico gli studenti si trovano nella condizione in cui devono prendere delle decisioni che produrranno progressive limitazioni alle loro scelte future.

Si potrebbe obiettare che anche da noi tali scelte vengano effettuate in giovane età, per cui chi a quattordici anni sceglie la scuola di economia non avrà intenzione di andare a studiare farmacia, ma potenzialmente, una scelta esiste sempre, in virtù della possibilità di fare le materie supplementari e di passare l’esame di ammissione al corso di laurea. In ogni caso con una buona maturità ginnasiale, o liceale in Italia, previo superamento di possibili esami di ammissione, le porte di tutti i corsi di laurea sono aperte.

All’epoca dei miei studi a Trieste, ricordo compagni di università che avevano frequentato istituti tecnici e che facevano corsi di lettere moderne o giurisprudenza, mentre non erano rari i casi di studenti con il liceo classico che studiavano medicina o ingegneria. Per cui noi passiamo gli anni delle superiori a giostrarci tra materie in cui andiamo bene e altre che ci sono più ostiche (povera matematica), ma alla fine possiamo beneficiare di tutte le potenziali opportunità che ci offre il diploma di maturità. Quassù la situazione come già accennato è diversa ma anche qui a quattordic’anni i ragazzi cominciano a selezionare le materie che porteranno agli esami GCSE (General Certificate of Secondary education) due anni più tardi e che segnano la conclusione della scuola dell’obbligo. Diversamente da noi dove si devono fare tutte le materie, qui c’è solo l’obbligo della matematica, scienze e dell’inglese, mentre le altre materie selezionate creeranno il profilo di studio che si intende perseguire e vanno scelte nei vari pool: lingue straniere, materie umanistiche, artistiche o tecniche. In generale la maggioranza degli studenti sceglie tra le otto e le dieci materie, con delle percentuali esigue ad entrambi gli estremi con studenti che fanno cinque materie o meno oppure ne studiano anche dodici o più. In ogni caso il numero di materie si riduce drasticamente a tre per il biennio seguente che culmina con gli esami dell’A-Level (Advanced Level). Anche se si possono scegliere fino a cinque materie da studiare intensamente per due anni, la stragrande maggioranza ne studia solo tre, magari con un paio di materie optional portate avanti solo per un anno (AS-Level – Advanced Subsidiary Level). D’altronde una buona parte delle università prende in considerazione solo i risultati delle suddette tre materie che devono essere molto specifiche per accedere al corso di studi universitari desiderato.

Dicendo che le università prendono in considerazione i risultati degli studenti, significa evidenziare un’altra grande differenza tra i nostri due sistemi. Le porte dei nostri atenei sono aperte, noi ci iscriviamo al corso. Qui si fa domanda all’università che, come detto, valuta i risultati degli esami e decide chi far entrare secondo i propri criteri di ammissione. Qualche volta prima di accettare la domanda di un aspirante studente è richiesto anche un colloquio di persona. Questa procedura viene usata soprattutto dalle università più prestigiose. Perciò Oxford e Cambridge fanno fare i colloqui a tutti gli studenti, mentre le altre università del Russell Group (tra cui anche la Queen’s University di Belfast) fanno fare il colloquio ai candidati per i corsi più richiesti (medicina, odontoiatria, veterinaria, scienze infermieristiche, ecc).

È chiaro che questo modus operandi ha ragione di essere nel suo contesto e ovviamente funziona, ma guardato dal nostro punto di vista potrebbe essere interpretato come l’espressione di una visione del mondo (molto anglo-americana) in cui la parola d’ordine è eccellere, dimostrare che si è migliori, capaci di gestire la concorrenza e uscirne vincenti. D’altronde questi studenti sono abituati alla legge della jungla che per loro inizia prestissimo, già a undici anni quando gli alunni delle scuole elementari fanno il primo esame che determinerà il loro futuro, quello che fino ad alcuni anni fa era chiamato Eleven Plus. I risultati di questo esame creano una graduatoria dell’eccellenza dalla quale viene scremata la minoranza al top a cui viene data la possibilità di andare alle grammar school (tipo ginnasio o liceo) mentre gli altri vanno alle comprehensive school o alle scuole tecniche. Osservato dal nostro punto di vista, un tale procedimento potrebbe sembrare antidemocratico – si favorisce un piccolo numero e si trascura la massa, mentre da noi si cerca di dare modo anche agli studenti più deboli di sviluppare le proprie capacità di apprendimento – e anche antipedagogico – bollare precocemente un bambino ad un’età in cui è vulnerabile non è il massimo. Di quest’ultimo fattore si sono rese conto anche le istituzioni scolastiche che hanno parzialmente abolito l’esame ribattezzandolo “transfer test”, il che non risolve il problema in quanto rimane in vigore la differenza qualitativa tra le grammar (a numero chiuso) e le comprehensive.

Un’ultima curiosità, per ironia della sorte, le più esclusive scuole private, tra cui Eton, quelle dalle rette stratosferiche (30-40.000 sterline all’anno) vengono chiamate “public schools”! E ovviamente hanno ben poco di pubblico.

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