INSEGNANDO S’IMPARA Italiani all’estero. Turisti

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INSEGNANDO S’IMPARA Italiani all’estero. Turisti
Foto: SRECKO NIKETIC/PIXSELL

In un bozzetto precedente abbiamo menzionato l’istinto degli italiani di “far gruppo” quando si ritrovano all’estero. Adesso vorrei sottolineare che c’è un’importante e fondamentale eccezione a questa regola, e cioè quando l’italiano si trasforma in turista. Gli italiani che viaggiano per piacere e diletto diventano un’altra specie, improvvisamente insofferenti e intolleranti verso i propri connazionali che, se incontrati vengono accolti con un linguaggio del corpo freddo e ostile, come se li guidasse il principio “Ho pagato per non vedervi. State lontani che mordo”.
Le mie affermazioni non si basano su teorie ma sull’esperienza. Innanzitutto bisogna specificare che gli italiani viaggiano molto, vanno dappertutto e in ogni stagione per cui le probabilità di incontrarli sono alte. Abitando in Irlanda li vediamo spesso, con i loro zainetti Invicta che fotografano i murales di Belfast. In questi casi è facile ignorarli. Altre volte è più difficile, come quella volta che con mio marito eravamo a Sligo per qualche giorno e alla sera siamo andati a bere qualcosa in un pub. Il locale era affollato, ma appena una coppia diede segno di voler andarsene, come falchetti ci precipitammo a prendere il tavolo. In mano avevano una guida “Irlanda”, per cui o erano italiani o spagnoli. “Siete italiani?” chiesi mostrando solo il minimo interesse. Li vidi irrigidirsi e mormorare di malavoglia un sì. “Ah – feci io sempre con fare sbrigativo – di dove?” Alla risposta “Di Trieste” cambiai atteggiamento perché certe cose non si possono ignorare. Andò a finire bene, perché appurammo di avere conoscenze in comune e alla fine diventammo anche amici, ma la diffidenza iniziale c’era stata eccome, perché in seguito mi confessarono senza troppi giri di parole che “l’ultima cosa che volevamo trovare in Irlanda era un italiano che ci rompesse le scatole”. Come volevasi dimostrare.
Un’altra volta eravamo in viaggio per l’Australia (visita al parentado emigrato che fa parte del corredo di un coniuge irlandese) e in aereo la coppia nella fila davanti era italiana. Mio marito non capiva perché non volessi attaccar discorso (gli irlandesi non si lascerebbero mai scappare un’occasione del genere), ma comprese la situazione alcuni giorni dopo quando ci trovavamo in una riserva naturale frequentata da koala. Noi eravamo con i nostri parenti irlandesi per cui si parlava inglese. Poco distante c’era un gruppetto di giovani italiani che cercava di avvistare gli elusivi orsetti che erano posizionati proprio sopra di noi. Gli italiani si agitavano parecchio “hanno detto che stavano qui”, “ma no, hai sbagliato” “fammi vedere la cartina” “Giulio li ha visti, ma non si ricorda dove” e via dicendo. A questo punto bisognava decidere se intervenire o no. Volevo aiutarli, ma per farlo bisognava cambiare lingua. Saltando tutti i preamboli dissi al ragazzo più vicino “Se ti sposti qua e guardi su li vedi” Lui mi guardò con degli occhi sbarrati che dicevano ‘non penserai mica di parlarmi, vero?’ io gli risposi con uno sguardo rassicurante ‘Tranquillo non ci penso nemmeno’ e lo vidi tirare un sospiro di gratitudine quando mi girai per andarmene. A parte la frase iniziale, tutto il resto si era svolto in silenzio. A dispetto degli stereotipi, eravamo due italiani che si incontravano dall’altra parte del mondo senza neanche dirsi ciao.
Chi non sarebbe d’accordo con me è Beppe Severgnini, giornalista e scrittore, ma soprattutto acuto e arguto osservatore degli italiani sia a casa che all’estero, che nel suo libro “Manuale dell’imperfetto viaggiatore” sostiene il contrario, che i turisti italiani che si incontrano all’estero si salutano con grandi pacche sulla schiena. Sarà. Ma forse, trattandosi di italiani è vero tutto e anche il suo contrario. È interessante comunque che Severgnini abbia dedicato almeno due libri agli italiani che viaggiano e in uno li chiama turisti e nell’altro viaggiatori. Tra i due termini c’è una bella differenza come ha sottolineato l’attore e comico Natalino Balasso parlando di come si viaggiava nel passato rispetto ad oggi: “il viaggiatore era uno che andava in giro per acquisire conoscenza, adesso invece abbiamo il turista che è invece uno che viaggia per esportare ignoranza”.

E sugli aspetti meno lusinghieri dei turisti italiani concorda anche Severgnini che li elenca nel suo volume “Italiani con valigia” in cui appaiono i classici comportamenti che conosciamo come le foto scattate con copioso entusiasmo (in tempi pre-smart phone), lo shopping compulsivo, il comprare le statuette dei templi orientali senza visitare i templi stessi, e i due riconoscibilissimi: fare incetta di bottigliette di shampoo negli alberghi e il livello di rumore che producono le ugole italiche. Penso che su quest’ultimo punto siamo tutti d’accordo e lo possiamo costatare regolarmente anche in Istria, nei ristoranti, per le vie, in riva al mare. Mi ricordo un particolare pomeriggio di luglio sulla spiaggia di Catoro ad Umago. Turisti austriaci, svedesi, tedeschi che si abbronzavano e immergevano nell’Adriatico insieme ai bagnanti locali. L’atmosfera era abbastanza tranquilla fino a che non sono arrivati due gruppi di triestini che hanno alzato notevolmente il livello di decibel. Io non dico che sia una cosa negativa, in fondo portano allegria, ma è una cosa inconfutabile, tanto che c’è tutto un canone di comicità a riguardo. Perciò vi lascio con una barzellettina ambientata in Canada. Una comitiva di italiani sta visitando le famose cascate del Niagara, quando la guida esclama ad altissima voce “Signori, SIGNORI! Attenzione prego. Se fate un attimo di silenzio riuscirete a sentire il fragore dell’acqua”. Buona estate.

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