INSEGNANDO S’IMPARA Belli come solo la mamma li sa fare

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INSEGNANDO S’IMPARA Belli come solo la mamma li sa fare

Che cosa hanno in comune italiani, ebrei e irlandesi? Hanno tutti madri “interessanti” (leggi: difficili e/o complicate) che hanno acquisito status iconico, psicologicamente definito, immediatamente riconoscibile, tale da esser diventato un cliché al centro di un gran numero di romanzi, racconti, film, aneddoti e barzellette e storie varie. Precisiamo subito che oggi discutiamo di questo stereotipo culturale, per cui non si intende offendere nessuno, né si vogliono emettere giudizi sulle singole mamme di qualsiasi nazionalità.

È interessante notare che la lingua faccia da scorciatoia nel delineare complessi rapporti inter-familiari. Basti pensare a espressioni come “cocco di mamma” e “figlio di papà”. È vero che, a seconda della frase, vi immaginate due figli diversi? Nel primo caso un bimbetto prescolare che si rifugia tra le braccia di una mamma protettiva e affettuosa, nell’altro una persona che l’adolescenza se l’è lasciata alle spalle e che si muove autonomamente nel mondo. Usata con intento derogatorio, la prima frase fa riferimento ad un individuo adulto da fuori, ma emotivamente paralizzato dentro; infantile, immaturo e succube della genitrice (soprattutto a detta delle potenziali fidanzate). Nel secondo caso c’è un maggiorenne viziato, che si fa scudo di un genitore potente per esercitare comportamenti aggressivi e prepotenti, intesi ad aggirare norme e regole che si applicano (secondo lui) solo “agli altri”.

Guardato da questo punto di vista, il concetto mamma al suo livello di base, evoca generalmente impressioni positive di amore, dolcezza e calore, ma le cose cambiano quando entra in gioco il rapporto con il figlio, soprattutto maschio e adulto. In altre parole, non ci vuole Freud per capire che le cose si complicano alquanto con l’instaurarsi delle dinamiche che coinvolgono i vari membri di una famiglia. Culturalmente e storicamente, italiani, ebrei e irlandesi hanno dato vita a una figura materna dominante, a volte opprimente, che opera a livello capillare nelle vite dei propri figli sui quali ha molta o troppa autorità.

Spesso dico ai miei studenti che il peggior destino che possa capitare a un maschio italiano sia quello di essere “figlio unico di madre vedova” in quanto la genitrice predisporrà che non ci siano altre donne nella sua vita e molto spesso vincerà la battaglia in quanto il lavoro di base lo ha fatto molto tempo prima dell’arrivo di potenziali rivali. In fondo è fin dall’infanzia che vizia il figlio e lo trasforma progressivamente in quel “cocco di mamma” menzionato prima, cioè in una creatura a lei subordinata che non ha né la capacità, né abbastanza energia per contrapporsi alla sua autorità. Per cui dal suo punto di vista la missione è compiuta. E se il figlio le provoca il supremo oltraggio, quello di sposarsi e andare via da casa, ecco che il giorno delle nozze diventa un momento funereo. Scommetto che molti di voi hanno partecipato a sposalizi dove hanno visto la madre di lui in lacrime che a un primo momento si pensava fossero di gioia, solo per sentirla poi mormorare “Quella smorfiosa me l’ha rubato”.

Basta leggere le numerose storie di vita vissuta nei giornali femminili e sui vari blog dedicati all’argomento, per capire che i rapporti tra la madre e la moglie del cocco sono veri e propri scontri senza esclusione di colpi, per il possesso esclusivo dell’uomo in questione. Ho amiche che hanno perso questa battaglia e conosco personalmente più di un’irlandese che è tornata in patria sconfitta dopo l’avventura (matrimonio e figli) con il classico maschio italiano in appendice a una madre invadente.

La situazione della madre irlandese si discosta leggermente da quella delle altre due “colleghe” su alcuni punti. Anche se si tratta sempre di una figura centrale dell’organismo familiare, lei esercita il suo potere in maniera meno battagliera, usando prevalentemente atteggiamenti manipolatori passivo-aggressivi e facendo leva su un diffuso senso di colpa. Spesso è una madre che quasi si annichilisce in autosacrifici per la famiglia, ma lo fa anche pesare. Molti comici irlandesi hanno dedicato ampio spazio al tema e la cultura popolare è piena di riferimenti a riguardo. Barzellettina esplicativa “Quante persone ci vogliono per cambiare una lampadina nella casa di una madre irlandese?” “Nessuna: tu vai fuori a divertirti, figlio. Io starò qui ad aspettare. Al buio”.

Mio marito sostiene di aver visto, tanti anni fa, in un libro di psicologia di una sua amica, un capitolo intitolato “La sindrome della madre irlandese” (The irish mother syndrome). Siccome non ho trovato nulla di specifico a riguardo, mi fido della sua memoria e riassumo il concetto fondamentale. La sindrome dovrebbe descrivere il trattamento di favoritismo elargito ai figli maschi anche in famiglie numerose. Se calcoliamo che ancora oggi le famiglie quassù hanno facilmente 4-5 figli e che nel passato recente arrivavano a 7-8 o addirittura a 10-12, sembra strano che si potesse operare una tale discriminazione. Invece sembra proprio una questione atavica, che il patriarcato venga trasmesso per via matriarcale. Un nostro amico ci racconta spesso di sua madre che, ancora a metà sigaretta gli vuotava, lavava e asciugava il posacenere. Inoltre, anche quando lui si era già reso indipendente e abitava per conto suo, ogni settimana prendeva due autobus per andare da lui dall’altra parte della città a recuperare la roba sporca, tornandosene a casa con il pacco. Dopo aver lavato e stirato tutto, rifaceva il tragitto in senso inverso per riportargli la roba pulita. Da notare che stiamo parlando degli Anni ‘80, mica dell’Ottocento.

Per finire cito il caso di una mia amica che alla festa per la sua promozione, quando era riuscita a raggiungere un grado molto alto nella sua professione, si è sentita dire dalla mamma “Alzati e cedi la sedia a tuo fratello!” Mammina cara, eh?!

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