ETICA E SOCIETÀ La scienza non diventi marketing

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ETICA E SOCIETÀ La scienza non diventi marketing

In che misura è auspicabile favorire un orientamento di mercato delle istituzioni universitarie? Si tratta di un tema non esplicito che riappare di tanto in tanto. Uno spunto per riparlarne è riapparso nei giorni scorsi con reazioni variegate nei confronti della collaborazione tra l’Università di Fiume e un’istituzione di istruzione superiore, l'”Edward Bernays”. Trascuro i dettagli che riguardano le persone coinvolte e le istituzioni e discuto unicamente di questioni di principio. Trovo utile dibattere questi temi, perché riguardano il futuro del sistema universitario e, di conseguenza, di tutta la società, in considerazione del ruolo centrale delle istituzioni accademiche e della ricerca scientifica nel mondo contemporaneo.

La collaborazione è contestata, a livello di principi, lungo due linee. La prima riguarda la collaborazione in quanto tale tra istituzioni di istruzione superiore nel settore privato e università pubbliche. La seconda concerne i contenuti, manifestatisi in primo luogo con un workshop sulla comunicazione della scienza. Da quanto riesco a capire, si tratta dell’abilità di promuovere i progetti di ricerca e diffondere i loro risultati. In entrambi i casi, l’accusa è di trascurare la missione dell’università sottoponendola agli interessi di mercato.

La mia opinione è che queste accuse debbano essere ponderate e non formulate genericamente. Sono schierato in modo deciso a favore dell’indipendenza del mondo accademico dagli interessi finanziari. Lo affermo avendo in mente la possibilità di tutti di accedere e completare gli studi universitari in condizioni eque. Questo vuol dire, per menzionare il pensiero del grande filosofo della politica, John Rawls, che persone che sono dotate di talento in modo uguale e hanno motivazioni uguali devono avere possibilità uguali di iscrivere uno studio universitario e di completarlo. È inaccettabile che un ruolo sia esercitato dalle condizioni economiche e sociali dalle quali provengono le persone. Inoltre, considero l’importanza della fiducia pubblica nei confronti della ricerca scientifica. Una condizione necessaria per la presenza di questa fiducia è l’indipendenza economica delle istituzioni scientifiche nei confronti degli interessi finanziari. La ricerca scientifica deve essere realizzata, come nella descrizione della Royal Society di Londra nel 17. secolo, da “gentiluomini liberi e privi di vincoli” (naturalmente, grazie ai progressi nell’uguaglianza di genere, oggi parliamo di persone non caratterizzate in base al genere e non esclusivamente di maschi). Non si può soddisfare questa esigenza vincolando i ricercatori ai desideri di finanziatori privati.

Eppure, c’è un modo socialmente responsabile di indirizzare le attività accademiche anche al guadagno di risorse finanziarie. Naturalmente, questa non deve divenire l’attività primaria. Ma se si riesce a svolgerla in modo misurato i benefici possono essere importanti. Ad esempio, investendo le risorse realizzate potenziando l’inserimento di persone che non possiedono abilità usuali e favorendo politiche di equità sociale. Inoltre, si potrebbe oberare di meno le istituzioni pubbliche favorendo la ridistribuzione per altre attività socialmente utili.

Passo alla comunicazione dei progetti di ricerca e dei loro risultati. Ovviamente, trasformare l’attività scientifica primariamente nell’abilità di comunicare sarebbe nocivo. Purtroppo, questo sta già avvenendo in parte. Eppure, nella misura esatta si tratta di una necessità. Quando si richiedono fondi per una ricerca è un dovere spiegare perché questa è utile e importante e quali sono le garanzie di risultati rilevanti. Successivamente, quando i risultati scientifici sono realizzati è fondamentale saperli comunicare. Pensiamo alla recente pandemia. Uno dei problemi logistici principali nel fronteggiarla è stata la pessima comunicazione della comunità scientifica con la popolazione generale. È questa una delle cause della diffusione di cialtronerie tra molte persone. In breve, tuteliamo l’indipendenza del sistema universitario dalle pressioni delle richieste di mercato, ma senza precludere vie che possono essere fruttuose. Non trasformiamo la scienza in marketing, ma coltiviamo la capacità degli scienziati di comunicare con la popolazione generale.

*Professore ordinario di Filosofia Politica

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