ECONOMIA E DINTORNI Piccole imprese e startup: un percorso irto di insidie

Quando il crimine occupa spazi lasciati scoperti da chi dovrebbe lavorare per il bene comune

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ECONOMIA E DINTORNI Piccole imprese e startup: un percorso irto di insidie

Dato di fatto: l’economia rallenta, le piccole e medie imprese sono schiacciate dall’incremento dei costi semivariabili e fissi, le materie prime scarseggiano costantemente e il sistema bancario resta impermeabile al grido di dolore, ignorando la necessità di immettere liquidità funzionale allo sviluppo dell’economia reale. Dopo lunghe riflessioni e analisi, abbiamo deciso di palesare un nostro più che ragionevole dubbio: è un paradosso parlare di inconsapevole alleanza tra criminalità e sistema bancario, perché spesso le alleanze più scellerate avvengono per caso? O esiste in ogni caso un fenomeno che si consolida e accontenta le due parti in questione, in quanto la parte più “sana” (o, meglio, meno “insana”) non fa nulla per modificare lo status quo, favorendo di fatto la parte “bacata”? E che ruolo hanno in questo ambito il sistema normativo e quello della repressione finanziaria, orientati sempre più a senso unico contro la piccola attività?
Ci rendiamo conto che stavolta il gioco si fa duro, non si tratta del consueto stile provocatorio che chi scrive adotta in modalità oraziana (ridentem dicere verum: quid vetat?), ma di una realtà talmente grave da far diventare complottisti anche i più strenui difensori dell’antropologia della buona fede.

Primo indizio

Già dall’entrata in vigore delle famigerate procedure di Basilea abbiamo assistito al fenomeno dell’aumento del ricorso agli usurai da parte dei piccoli imprenditori. Secondo tali procedure, la banca deve infatti concedere credito solo a clienti altamente patrimonializzati, ergo con storicità pluriennale e con business consolidati; sgradite le start up, soprattutto se realizzate da giovani e giovanissimi. Se il business è considerato estremamente interessante e le garanzie sono adeguate (secondo il giudizio unilaterale della banca) all’azienda viene concesso fido, ma a tassi molto alti, mentre le condizioni migliori vengono riservate alle aziende fortemente dotate di capitali e riserve.
Ciò comporta che la piccola impresa, specie di recente costituzione, non ha la capacità di patrimonializzarsi perché una parte rilevante di margine viene erosa dagli elevati oneri applicati dal sistema bancario, mentre la grande azienda, specie se multinazionale, tratta condizioni che consentono alla banca di conseguire poca marginalità; ma come sappiamo la banca ossequia tali “potenti” a scapito dei meno provvisti di mezzi propri. Conseguentemente il piccolo, per crescere, deve avvalersi di ambiti “parabancari” privati, dove il denaro viene prestato a condizioni capestro, ma che comunque permettono alla società di sopravvivere almeno per un breve periodo. La criminalità ringrazia.

Secondo indizio

Anche il legislatore, soprattutto (ma non solo) in Italia, tanto in ambito normativo fiscale quanto in ambito emergenziale vessa pesantemente il piccolo cittadino/imprenditore/contribuente. Un esempio su tutti: nell’ormai celebre (ma non celebrato) Decreto Liquidità del secondo Governo Conte, si prevedeva che entro i 25mila euro (poi portati a 30mila) richiesti dalla piccola impresa, danneggiata dal Covid secondo determinati parametri di perdita di fatturato, la Pubblica Amministrazione (ergo, lo Stato) avrebbe emesso garanzia totale a prima richiesta in favore della banca erogante il finanziamento; ciò significava che lo Stato si assumesse in toto il rischio e che la banca fungesse solo da ente erogante a rischio zero.
Il provvedimento sottolineava a chiare lettere che in tali condizioni l’Istituto doveva erogare non appena ricevuta la garanzia dello Stato “senza eseguire formalità di merito creditizio”. Orbene, la norma non ha però previsto alcuna sanzione laddove l’Istituto eseguisse invece merito creditizio, cosa che puntualmente è avvenuta, talché molte aziende, pur trovandosi pienamente nei parametri di legge, si sono viste negare l’affidamento nonostante la garanzia dello Stato. Tanta è l’arroganza del Sistema Bancario, che le motivazioni di diniego sono state chiaramente espresse con la formula “si comunica che non è possibile procedere in applicazione dei parametri interni adottati da questa Banca per la valutazione del merito creditizio”, pertanto in pieno sfregio alla norma e al Governo che l’ha emanata.
Le norme vigenti in materia di rapporti tra banca e clientela prevedono da alcuni anni il tentativo obbligatorio di conciliazione attraverso l’istituto della Mediazione, gestito dalle Camere Arbitrali delle Camere di Commercio; regolarmente i clienti si presentano alla mediazione con i loro legali (da essi stessi pagati) e la banca controparte altrettanto regolarmente non si presenta, nella più proterva sicurezza che nessuno potrà mai sanzionare tale disgustoso comportamento. Vistosi negato un sacrosanto diritto e non avendo denaro a sufficienza per procedere con un contenzioso di merito lungo e complesso, l’azienda si rivolge a canali alternativi, accettando condizioni “inappropriate”, ma con la speranza di sopravvivere fino a una possibile ripresa. La criminalità ringrazia ancora una volta per l’inattesa cortesia.

Terzo indizio

A questo punto l’unico alleato del piccolo imprenditore dovrebbe essere chi combatte il reato per definizione, ovvero gli organi di Polizia Finanziaria e l’Agenzia delle Entrate. Paradossalmente, quest’ultima è pronta a bastonare il contribuente che non cela i profitti, li dichiara, ma con trasparenza manifesta l’impossibilità di pagare quanto dovuto all’Erario per ragioni di crisi di liquidità, preferendo destinare le risorse disponibili agli stipendi e alle spese correnti per produrre (energia, affitto locali e quant’altro). L’Agenzia interviene pesantemente con atti forzosi, dai pignoramenti ai sequestri dei conti bancari, informandone immediatamente il Sistema Bancario, che anziché aiutare l’impresa in un momento così difficile chiude ogni rubinetto e revoca tutti gli affidamenti in corso. In simili situazioni abbiamo assistito a molti, troppi suicidi di piccoli imprenditori, e chi non si è suicidato ha bussato a porte sommerse. A questo punto la criminalità, commossa da cotanta generosità, ringrazia deferente e spera che lo status quo duri a lungo.
Caro paziente lettore, “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”, secondo la fortunata espressione di Agatha Christie. Consapevoli di ciò, diventa assolutamente necessario che si realizzino le più solide aggregazioni fra piccole e medie imprese per fronteggiare con determinazione il nemico comune: la rassegnazione verso l’ineluttabilità del degrado.
Ad majora!

*senior partner di jurisconsulta
– cultura d’impresa

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