ECONOMIA E DINTORNI La trasformazione dell’agricoltura e lo sviluppo economico

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ECONOMIA E DINTORNI La trasformazione dell’agricoltura e lo sviluppo economico

Nel precedente intervento abbiamo sollecitato da parte del lettore le riflessioni storiche e macroeconomiche sulle dinamiche generali del rapporto fra settore primario, società ed economia reale. Oggi vogliamo concludere questa disamina approfondendo l’attuale “peso” dell’agricoltura di fronte agli investimenti internazionali e al divenire della consapevolezza mondiale in ambito fabbisogno, occupazione e sostenibilità ambientale. Gli osservatori economici concordano sul fatto che per troppo tempo si è assistito alla progressiva riduzione del peso dell’agricoltura nell’economia, in termini di investimenti, di PIL e di occupazione. Oggi il ruolo dell’agricoltura cambia nel corso del processo di sviluppo, come testimonia il riferimento di economie a diversi stadi evolutivi. L’evoluzione delle caratteristiche dei sistemi agricoli si manifesta nel corso dello sviluppo attraverso una serie di processi che evidenziano la trasformazione del sistema dall’agricoltura tradizionale a quella globalizzata, attraverso un processo di modernizzazione. La trasformazione agricola si concretizza in tre diversi stadi: in primis, la densità della popolazione e le potenzialità climatiche del luogo di produzione; in secundis, con la modernizzazione dell’agricoltura si aggiungono a questi fattori l’urbanizzazione, le infrastrutture di mercato e le tecnologie produttive; in tertiis, pur continuando ad agire i precedenti aspetti, nell’agricoltura globalizzata sono essenziali i flussi di commercio internazionale e gli investimenti diretti dall’estero, le tecnologie post-raccolto e la gestione dei flussi informativi.
Le evidenze storiche
È un’evidenza storica come l’agricoltura abbia fornito contributi fondamentali alla crescita economica: ad esempio nella rivoluzione agraria in Inghilterra prima della rivoluzione industriale in epoca moderna, e in epoca contemporanea durante la Green Revolution in Asia meridionale. Si riconferma pertanto la necessità di attrarre importanti investimenti per aumentare la produttività agricola come condizione vincolante per estrarre risorse di capitale e lavoro dal settore agricolo verso gli altri settori dell’economia. Ciò spiega il fallimento delle strategie di crescita economica che hanno cercato di saltare la fase di sviluppo dell’agricoltura prima di puntare allo sviluppo del settore industriale, nel tentativo di velocizzare il processo di crescita economica. Come nel caso della Novaja Ekonomičeskaja Politika, la nuova politica economica sovietica avviata da Lenin nella primavera del 1921, le cosiddette “jump strategies” erodono risorse dal settore primario in assenza di aumenti di produttività agricola e irrimediabilmente falliscono, comportando danni rilevanti al sistema socio economico per i successivi decenni.

I benefici generati

Le dinamiche del cambiamento strutturale determinano situazioni differenziate sia a livello globale che all’interno delle diverse aree, e anche di un singolo Paese; tanto a livello macro quanto a livello micro producono beneficio in vari ambiti: occupazione; sicurezza alimentare; economia rurale e servizi ambientali. Come abbiamo visto, il settore agricolo è capace di contribuire allo sviluppo economico in termini di prodotto, in termini di risorse, in termini di mercato e in termini di scambio con l’estero, comportando crescita anche nei settori non-agricoli. Il contributo dell’agricoltura alla crescita del PIL è tanto più grande quanto maggiore è il peso iniziale del settore primario, e quindi tale contributo è più importante per le economie ai primi stadi di sviluppo. Man mano che un sistema economico si diversifica, il peso dell’agricoltura tende quantitativamente a diminuire.
Schematicamente, il settore agricolo vede diminuire il suo contributo alla crescita economica quando: la domanda alimentare e di prodotti agricoli in genere è meno condizionata dal reddito, rispetto alla domanda di beni non-agricoli; lo stesso comparto agricolo, sviluppandosi, esige più input non-agricoli; l’azienda agricola, crescendo, richiede servizi extra-agricoli superiori alla domanda agricola, e perciò la quota di valore aggiunto agricolo sul prezzo finale dei prodotti agro-alimentari è decrescente, in favore dell’ingerenza del comparto industriale sui margini di contribuzione.

Effetto moltiplicatore

È invece evidente che l’impresa agricola contribuisce in misura fondamentale alla crescita economica: in un’economia in via di sviluppo, ove il tasso di crescita dell’agricoltura è fonte determinante di materie prime; nelle economie sviluppate, ove è fonte di fattori a sostegno dell’industria (capitali e lavoro), e presenta effetto moltiplicatore della produzione e dei redditi agricoli sulla crescita complessiva del PIL. Riguardo al primo punto, l’esperienza dello sviluppo contemporaneo ha mostrato come sia necessario che l’offerta dei prodotti agricoli e alimentari avvenga a prezzi relativi decrescenti, in modo da contribuire a mantenere competitive le produzioni (agricole e non) del Paese, estraendo risorse dall’agricoltura per trasferirle ai settori non-agricoli senza che vi siano effetti negativi in termini di offerta agricola aggregata. Da qui la necessità di attrarre investimenti per aumentare la produttività dei fattori agricoli, al fine di generare un surplus commercializzabile. L’aumento della produttività agricola è perciò determinante per la crescita aggregata: il valore aggiunto agricolo pro-capite è la variabile causale nei Paesi in via di sviluppo. Purtroppo gli attuali investimenti internazionali non sono sufficienti per aumentare la produttività, limitando pesantemente la crescita del settore agricolo nei Paesi in via di sviluppo.
Riguardo al secondo punto, l’indicazione è ancora privilegiare l’industria nella strategia di sviluppo, in relazione al suo maggior effetto moltiplicatore sul resto del sistema economico. Tuttavia non bisogna sottovalutare i collegamenti derivanti dagli effetti di domanda finale, secondo cui una strategia di industrializzazione guidata dalla domanda agricola può avere effetti benefici sulla crescita economica, dato che una crescita dei redditi agricoli comporterebbe un aumento della domanda da parte delle famiglie agricole per beni di consumo prodotti dai settori non-agricoli.

Un ruolo centrale

Anche in un contesto internazionale estremamente differenziato quale l’attuale, la crescita della produttività agricola è componente fondamentale delle strategie di sviluppo. L’agricoltura continua a essere un settore molto ampio (tra il 30 e il 50 per cento del PIL nei Paesi all’inizio della trasformazione strutturale): la crescita dell’agricoltura ha quindi un peso notevole nel determinare le performance di crescita dell’intera economia. La crescita agricola è immediatamente percepibile come aiuto a combattere la povertà rispetto ai settori non-agricoli: da approfondite e diversificate analisi svolte recentemente sui sistemi di Costa d’Avorio, Cina, America Latina e Africa sub-Sahariana, l’uscita dalla povertà risulta direttamente proporzionale alla crescita del settore agricolo. Lo sviluppo agricolo crea benefici alla parte meno abbiente della popolazione molto più della crescita non-agricola, in media circa 3 volte di più, un’enormità. Il risultato è attestato dal World Development Report 2018 e dai dati FAO. Nelle aree citate il fenomeno è confermato: dall’incremento delle caratteristiche tecnologiche della produzione agricola (maggiormente labour-intensive rispetto alle produzioni non-agricole); dal miglioramento della propensione marginale al consumo delle famiglie agricole (che sono normalmente più povere delle famiglie non-agricole); dai vantaggi comparati in alcune situazioni particolarmente critiche, come l’Africa sub-sahariana, grazie alla notevole dotazione di risorse naturali e forza lavoro particolarmente adatta alle produzioni primarie.

Etica, cultura e ambiente

Fermo restando tutto quanto esaminato in ambito macro e medio economico, sia in materia di sviluppo che di sostegno del comparto primario nel più ampio scenario dell’economia mondiale, non possiamo dimenticare il grande tema della dignità sociale e reddituale di chi produce. Tutelare il reddito dei produttori agricoli, degli allevatori, dei pescatori è missione fondamentale, è la premessa per una filiera pulita, libera dall’illegalità e capace di lavorare di più sulla formazione dei prezzi; infatti, incentivando la qualità e la migliore organizzazione dei produttori, s’incentiva la qualità della risorsa alimentare, in una parola il cibo. In Europa, nelle Americhe, così come nei Paesi meno sviluppati, c’è impegno affinché i giovani scelgano il proprio futuro nell’agricoltura, che vede ancora una fortissima presenza di over 65; un vero patto generazionale. Forse è finalmente maturata la condizione per mettere al centro il sapere in agricoltura; dove c’è cultura c’è orientamento e condivisione per l’innovazione e il cambiamento. La cultura è base della consapevolezza per un’agricoltura più sostenibile e rispettosa dell’ambiente, che pur legata alle tradizioni sappia utilizzare progresso e tecnologia.

La sfida dell’innovazione

È la grande sfida dell’innovazione sociale in agricoltura, che attraverso i Big Data sia in grado di: rilevare i bisogni in tempo reale; azzerare il consumo di suolo; recuperare superficie agricola produttiva; riqualificare tutti gli ambiti rurali; abbattere l’uso della chimica, con particolare riguardo ai pesticidi; lavorare nella frontiera del benessere animale a partire dal superamento dell’uso degli antibiotici; puntare sull’efficienza energetica attraverso impianti di piccola taglia delle nuove fonti rinnovabili (eolico e biomasse), aumentando il tasso di indipendenza energetica delle imprese nel settore primario.
Se è vero, come scrive Wendell Berry (letterato, giurista e coltivatore di tabacco americano), che “mangiare è un atto agricolo”, è altrettanto vero che produrre cibo è un atto sociale, che riguarda le comunità internazionali e che deve ricevere la partecipazione consapevole delle filiere imprenditoriali multi settoriali. Attraverso gli organismi del commercio mondiale, la politica internazionale deve ridimensionare dazi e barriere che inevitabilmente danneggiano le imprese più piccole, deve saper conciliare regole giuste in mercati aperti senza ripetere gli errori del passato, che hanno portato a una globalizzazione finanziaria per pochi, escludendo molti players, per quanto seri e competenti.

Conclusioni

Abbiamo chiarito il contributo dell’agricoltura alla crescita economica, a conferma del ruolo cruciale svolto dal settore primario in qualunque strategia di sviluppo. Il contributo si esprime in termini di prodotto, di risorse, di mercato e di scambi con l’estero: l’agricoltura è un eccellente distributore di dividendi della crescita economica, ma anche di equità nell’interesse dei ceti meno abbienti. Dopo decenni di stagnazione, è necessario aumentare la quantità degli investimenti internazionali in agricoltura e migliorare la loro allocazione: ricerca, assistenza tecnica e divulgazione, logistica rurale, irrigazione e capitale umano rappresentano le priorità. La strategia degli investimenti si deve basare su approcci multi-settoriali, che tengano presente la dinamica del settore agricolo nel contesto del più ampio sistema economico. Principi irrinunciabili per conseguire buoni risultati nei sistemi non evoluti: trasparenza, reciprocità, clausole di salvaguardia certe e coerenti, standard elevati di sicurezza alimentare e tutela ambientale.
Nelle situazioni in cui la trasformazione agricola è già operativa è necessaria una strategia complessiva di sviluppo rurale, il cui obiettivo principale sia ridurre il divario rurale-urbano collegando i piccoli produttori agricoli ai mercati globali di prodotti ad alto valore aggiunto.
Le priorità assolute sono: modernizzare l’agricoltura in aree a elevato potenziale; investire in capitale umano per una migrazione di successo; promuovere reti di sicurezza sociale per chi resta indietro; generare opportunità occupazionali nelle aree rurali. In tali scenari il ruolo dei giovani sarà centrale.

*senior partner jurisconsulta – cultura d’impresa

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