INSEGNANDO S’IMPARA Il carnevale

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INSEGNANDO S’IMPARA Il carnevale

Eccoci di nuovo in tempo di coriandoli e stelle filanti, per la festa dei colori, l’evento che decreta il trionfo della fantasia e dove regnano il divertimento, l’allegria e la spensieratezza. Il carnevale, dal latino “carnem levare” (togliere la carne), ovvero “mangiatene finché potete, perché per i prossimi quaranta giorni non ne vedrete altra” è effettivamente la festa più pazza dell’anno, ma è anche una delle più interessanti da vari punti di vista.
Innanzitutto il gozzovigliare – la religione (nostra, ma vale, credo, anche per le altre confessioni), dimostra una certa lungimiranza nel dosare sacrificio e abbondanza, come ad es. per le restrizioni alimentari delle vigilie delle grandi feste. Ma in questo caso va oltre e dà carta bianca agli eccessi per quasi una settimana, alla fine della quale il rigore della Quaresima viene quasi invocato. Anche se nella società del terzo millennio il sentimento religioso si è affievolito, l’entusiasmo per bere e mangiare smodatamente non dà segni di stanchezza, e, da quanto vediamo, si rinnova con grande fervore di anno in anno.
In secondo luogo la tradizione del carnevale offre una preziosa opportunità di staccare a livello psicologico, incoraggiando la gente a uscire dai parametri del quotidiano, con tutti i relativi doveri e responsabilità, e di reinventarsi diversa, lasciandosi andare in comportamenti inconsueti (e senza l’ansia delle conseguenze) e soprattutto è un invito ad accendere l’immaginazione e la creatività. Mascherarsi, godere della libertà di essere qualcun altro, di sentirsi nuovi, estrosi, arditi ed esaltati dalla girandola di allegria, dal gioco e dai piaceri dei sensi. Alla fine si torna ad essere quelli di prima, ma che botta di vita ragazzi!
Infine c’è un’altra importantissima funzione della festa, concentrata nel detto “A carnevale ogni scherzo vale”. Il proverbio ha un significato più profondo che il semplice riferimento alle beffe, burle e canzonature. In passato era il momento in cui si permetteva al caos di sovvertire l’ordine delle cose, di invertire i significati e i ruoli; il momento in cui il giullare poteva ghermire la corona del re e mettersela in testa senza che sua maestà se ne risentisse, anzi stando al gioco.
In altre parole possiamo interpretare il carnevale come una colossale valvola di sfogo per la società, un accordo accettato da tutti i suoi componenti (popolo, autorità civili e religiose, ceti sociali ecc.) secondo il quale per un periodo limitato si sospendono le normali regole, si mette tutto sottosopra, si fa entrare il disordine, con la condizione che poi ritorni tutto a posto e si accettino i sacrifici richiesti.
Usanze simili a quelle dell’odierno carnevale possono essere rintracciate in tutta la storia dell’umanità. Apuleio nelle “Metamorfosi” ci parla delle feste in onore della dea Iside in cui ci si mascherava; riti legati all’eccesso esistevano nel mondo greco, con le feste dionisiache e in quello latino, con i saturnali. In Italia il carnevale si festeggia dall’VIII sec d.C. e si è man mano specializzato nelle varie tradizioni che tutti conosciamo (carnevale di Venezia, Viareggio, Ivrea, ecc.). Nella Firenze dei Medici (sia al tempo di Lorenzo il Magnifico, che un secolo dopo con Cosimo I) finanziare e organizzare magnifici carnevali per la popolazione era un impegno importante che i signori prendevano sul serio e al quale partecipavano con piacere, come testimoniato anche dai Canti carnascialeschi composti da Lorenzo de’ Medici che culminano nei versi “Quant’è bella giovinezza,/che si fugge tuttavia!/Chi vuol esser lieto, sia:/di doman non v’è certezza”. (“Trionfo di Bacco e Arianna”)
Immaginate allora la delusione della sottoscritta quando ha scoperto che in Irlanda il carnevale non c’è, non esiste. Che in questo periodo c’è solo la vita normale, poi arriva il Mercoledì delle Ceneri seguito dai rigori della Quaresima. “Certo che avete fatto un cattivo affare – dissi una volta a una classe con cui si discutevano le feste e le tradizioni, e a cui cercavo di far capire l’importanza del ruolo del carnevale – niente eccessi, niente scherzi né divertimento. Dovete accontentarvi di un paio di pancakes (una specie di spesse palačinke) il Mercoledì delle Ceneri e poi inizia subito il sacrificio della Quaresima!” E di sacrificio si tratta, perché qui la Quaresima la prendono sul serio. La domanda di rito che si sente in quel periodo è “a cosa rinunci quest’anno?”. Di solito ci si astiene dal mangiare cioccolato, bere alcool o cose simili. Ma non finisce qui. La rinuncia deve essere monetizzata, cioè tutti i soldi risparmiati dal non indulgere in questi piaceri per quaranta giorni, devono essere devoluti in beneficenza. Che allegria! Ma, siccome non sanno quello che si perdono, non ne sentono neanche la mancanza. È gente pratica che si adatta alle circostanze.
Però c’è comunque un problema che si presenta ogni anno a turbare questo stato di cose. Sia che si tratti un anno di Pasqua alta o di Pasqua bassa, il 17 marzo, giorno di San Patrizio, cade sempre nel periodo quaresimale. Penso che non occorra spiegare quanta importanza abbia questo giorno per gli irlandesi. La festa del loro santo patrono è celebrata con grandi sfilate (e grandi bevute) non solo a casa, ma in tutto il mondo. Prima tra tutte la maestosa sfilata di New York. A pensarci bene, in fondo è il loro mini-carnevale, se non altro per l’eccesso di alcool, che scorre a fiumi. Allora come conciliare il sacrificio della Quaresima con l’intemperanza di questo evento? Facile: per un giorno la rinuncia può venir sospesa, perché, giustificano, “lo approverebbe anche San Patrizio in persona!” Proprio gente pratica, non c’è che dire.

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