DIARIO DI UN DIPLOMATICO Il nuovo Papa e le aspettative croate

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DIARIO DI UN DIPLOMATICO Il nuovo Papa e le aspettative croate

Dopo sei mesi dal mio arrivo a Roma, ebbi il raro privilegio – per un Ambasciatore a Roma – di vedere il Papa, nonostante io fossi stato accreditato al Quirinale e non al Vaticano. Infatti, nel marzo del 2013 Benedetto XVI rassegnò le dimissioni e al soglio di San Pietro salì il nuovo Papa, Francesco. E così, nel marzo di quell’anno partecipai alla cerimonia d’insediamento del Pontefice, in qualità di membro della delegazione della Croazia, capeggiata dall’allora Presidente Ivo Josipović. Una cerimonia sobria, come voleva il nuovo Papa, senza esagerazioni né troppi sfarzi, come ci aveva informato il decano dei corrispondenti della stampa estera accreditati al Vaticano, il fiumano Silvije Tomašević. E così, vedemmo il Papa, che ci salutò cordialmente, il Presidente Josipović, e noi altri, l’Ambasciatore croato in Vaticano Filip Vučić, il consigliere per le relazioni con le comunità religiose Stjepo Bartulica (membro dell’ Opus Dei, ma Josipović lo volle nel suo ufficio proprio per far vedere che lui, agnostico, non nutriva alcun pregiudizio verso coloro che non la pensavano come lui), ed io, E ricevemmo in dono delle pubblicazioni d’occasione, come consuetudine. E poi non successe niente di spettacolare nelle relazioni tra la Croazia e il nuovo Papa. I contatti venivano mantenuti per il tramite della legazione croata in Vaticano, l’Ambasciatore Filip Vučak e un diplomatico che presto cominciò a dare i numeri e alla fine dovettero mandarlo a casa perché attraverso il suo blog privato aveva cominciato a tenere delle omelie da vescovo e poi aveva voluto candidarsi a sindaco di Zagabria, dopo aver raccolto centinaia – migliaia, diceva lui, di adesioni da parte dei fedeli… Ad ogni modo fu un periodo abbastanza quieto e normale, fino a che non entrò in carica il nuovo governo, quello di centrodestra, nel 2015. Il nuovo premier, un businessman canadese, Tihomir “Tim” Orešković, volle subito iniziare il suo mandato di premier con la visita al Papa. È prassi consueta che le prime visite degli statisti avvengano in Paesi amici e magari a Bruxelles, all’Unione europea. Invece il nuovo premier croato, sconosciuto nel Paese, ma installato dal nuovo vincitore delle elezioni, Tomislav Karamarko, a capo della coalizione composta dall’HDZ e dal nuovo partito Most, volle cominciare il suo mandato con la benedizione del Papa, da credente e devoto cattolico. L’Ambasciatore Vučak faticò un bel po’ tentando di convincere il nuovo premier, che era proprio a digiuno di politica e diplomazia, che questa non era più la prassi nel mondo, da circa due secoli. Semmai, la benedizione sarebbe stata impartita durante una visita ufficiale, ma anche quella dipendeva sia dalla dinamica delle relazioni del Vaticano con lo Stato in questione sia dagli impegni del Papa. Non ci fu verso di convincere il premier croato e così per il mio collega Vučak furono tre mesi di implorazioni al Segretariato di Stato del Vaticano affinché questa visita si materializzasse. Bisogna dire che il nuovo premier faceva anche qualche fatica a parlare il croato e infatti durante il suo discorso inaugurale aveva confuso i “cittadini” con gli “edifici” – in croato, infatti, i due vocaboli si assomigliano – “građani” per cittadini, “građevine” per edifici. E così, quando arrivò, dopo tre mesi di convulsi preparativi al Vaticano, io e Vučak ci trovammo a parlare con lui – in inglese, perché quando faticava a trovare la parola, semplicemente si sintonizzava sull’inglese. Buon per noi, ma abbastanza difficile per il suo seguito e la sua scorta. Infatti, arrivarono tutti – il premier e il suo seguito – abbastanza numerosi per creare dei grattacapi anche al cerimoniale del Vaticano, che certo un’esperienza di fatto di casi un po’ strani ce l’aveva. Infatti, a Roma venne tutta la famiglia completa, la moglie, emozionatissima, e i figlioli del premier, un terzetto di bei bambini, dei quali il più giovane aveva quattro anni. Già quando atterrarono all’aeroporto di Ciampino provocarono una violazione delcerimoniale, perché in pista erano fermi degli aerei da combattimento e i pargoletti vollero assolutamente salire su uno di essi. Poi, prima di andare dal Papa, la signora Orešković ci spiegò, molto emozionata, che il vero scopo della visita era di convincere il Papa a fare il cardinale Alojzije Stepinac, arcivescovo di Zagabria durante il governo degli ustascia, santo – subito. Anche il premier credeva fermamente nella sua missione e perciò aveva tanto insistito per recarsi, quanto prima, dal Papa. Naturalmente, il Pontefice fu molto cordiale con questo strano tipo e la sua signora e si mostrò anche molto affabile con i tre Gianburrasca del premier, che naturalmente si erano lanciati subito all’arrembaggio e avevano cominciato a scorrazzare per il Vaticano durante la visita. Ognuno di loro aveva la sua guardia del corpo, della quale erano molto orgogliosi, e subito vollero che i gorilla mostrassero loro le pistole d’ordinanza, che a dire il vero, avevamo dovuto pregarli di lasciarle in macchina, in custodia ai nostri autisti, perché il Vaticano è già abbastanza sicuro, e il Papa certamente non voleva fare del male al loro papà… Ovviamente, il Pontefice declinò con molta fermezza, ma anche cordialità, vedendo con chi aveva a che fare, la proposta di proclamare Stepinac santo – seduta stante e tutto si concluse con la grandissima delusione della signora Orešković, che contava tanto sul fatto che sarebbe riuscita a tornare a Zagabria con il santo…

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