Radojka Šverko. Abbracciare il pubblico con l’incanto della musica

A colloquio con la diva della scena musicale croata, attiva da più di cinquan'anni

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Radojka Šverko. Abbracciare il pubblico con l’incanto della musica
Radojka Šverko in occasione del concerto in onore a Ivo Robić. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Cantante, attrice e donna di spettacolo a tutto tondo: Radojka Šverko, diva della scena musicale croata da più di mezzo secolo, non ha bisogno di presentazioni. Riconosciuta e lodata a livello internazionale per delle inconfondibili doti vocali, la cantante originaria di Pisino, nel corso della sua ricchissima carriera, si è esibita con l’accompagnamento di orchestre di spicco e ha collaborato con i più grandi nomi del mondo dello spettacolo in Croazia e oltre, accumulando una serie di premi prestigiosi, tra cui anche il Porin alla carriera nel 2014, mentre di recente è stata ospite del concerto “In ricordo a Ivo Robić” organizzato dal Festival Opatija in collaborazione con David Danijel, in occasione del centenario della nascita del celebre cantante e cantautore croato. Nel corso di una piacevole intervista, Radojka Šverko ci ha parlato dei suoi più grandi traguardi e dell’amore che tuttora la lega al mondo dello spettacolo, soffermandosi su alcune riflessioni circa l’attuale stato della scena musicale in Croazia e a livello internazionale.

È attiva sulla scena musicale da più di cinque decenni, mentre l’anno scorso ha festeggiato i cinquant’anni del suo successo “Kud plovi ovaj brod” con una serie di concerti. È soddisfatta della tournée?
“Devo dire di sì. Per un cantante, ogni concerto rappresenta un motivo di gioia, un’occasione che ci ravviva e ci stimola a proseguire, contribuendo alla nostra creatività”.

Agli inizi della sua carriera, il suo lavoro nell’ambito dello spettacolo rispondeva a una necessità di sopravvivenza, poi naturalmente è stato l’amore per la musica e la scena a stimolarla ad andare avanti. Al giorno d’oggi, che cosa rappresenta la più grande motivazione nel suo lavoro e che cos’è che ama di più del suo mestiere?
“Oltre a quanto da lei elencato, credo che le esibizioni dal vivo contengano in sé un altro vantaggio, ovvero quello dell’affrontamento della propria durata e della propria età, rispondendo, al contempo, al costante bisogno di rimanere presenti, di proseguire, di contribuire, non solamente per necessità proprie e per bisogni economici, ma anche e soprattutto per una necessità emotiva, quella di condividere se stessi con il pubblico. Nel mio caso, si tratta di una sfida costante. Devo ammettere che, nei periodi che richiedevano delle pause nel lavoro, certe volte mi chiedevo se fosse il caso di ritirarmi dalla scena, non solamente per motivi personali, ma anche prendendo in considerazione lo stato generale della nostra cultura musicale. All’inizio della carriera, ti trovi a dover partire da zero. Hai un’abilità, un talento che perfezioni lavorando, studi, ti formi e fai tutto il necessario, per poi arrivare al punto che, dopo numerosi successi e riconoscimenti vari, ti viene imposta, quasi naturalmente, una pausa, una sosta di mesi e mesi. Sono situazioni che bisogna saper affrontare, un compito tutt’altro che facile. Io non mi lamento, non piango, raramente mi esprimo in tali modi. Però credo sia arrivato il momento di comunicare ciò che porto dentro e di condividerlo con il pubblico che mi ha seguito e sostenuto per tutti questi anni”.

Come vede l’attuale stato dell’industria musicale?
“Vorrei sottolineare che l’industrializzazione della musica, tanto in Croazia quanto a livello internazionale, è un aspetto a cui non riesco a rassegnarmi. Durante tutti questi anni, ho accumulato una marea di esibizioni nella mia terra, tra festival e concerti di vario tipo, nonché all’estero, cantando con l’accompagnamento di filarmoniche e orchestre sinfoniche – e tutto ciò era orientato verso un apprendimento professionale, verso un perfezionamento del mestiere. Si trattava di un percorso necessario per chiunque volesse far parte del mondo dello spettacolo. Ora invece sembra che questo aspetto non conti più. Una o due armonie, qualche batteria e la canzone e fatta, ormai la musica si sta riducendo a una formula del genere. Mi chiedo a cosa si possa arrivare andando avanti così e, soprattutto, se sia questo il tipo di musica di cui le persone hanno davvero bisogno. La musica, quella fatta bene, è anche una sorta di terapia. La musica è in grado di farci trasportare da sensazioni vivaci, tenere, allegre, ed è capace di farci commuovere e piangere… sono emozioni di cui non possiamo fare a meno come esseri umani. Credo che con canzoni superficiali, create in maniera sbrigativa come accade oggigiorno, questi sentimenti non siano possibili, e mi chiedo a chi sia diretto questo tipo di musica. Prendendo poi in considerazione le nuove piattaforme per il piazzamento dei brani, queste canzoni arrivano sempre più facilmente e immediatamente alle giovani generazioni, che sono di anno in anno sempre più tristi. Come potrebbe una musica del genere farci ispirare, desiderare, innamorare? È una situazione che, a dir il vero, mi mette tristezza. Ovviamente, con tutto ciò non intendo screditare quegli artisti che certamente meritano un riconoscimento da parte della critica e del pubblico, ma certe volte mi chiedo a che cosa serva la formazione musicale oggigiorno e quale sia l’utilità di conservatori e istituti musicali… Mi rende immensamente felice scoprire un giovane cantante o musicista bravo e talentuoso, e sento sempre il bisogno di porgli i miei complimenti ed esprimere il mio apprezzamento. Va detto anche che salire sul palcoscenico di fronte a un pubblico dovrebbe rappresentare, in primo luogo, un’espressione di rispetto nei confronti della platea. Non ci si può presentare vestiti di stracci, bisogna avere riguardo della propria professione, che ti sostenta e alla quale vuoi dare un tuo contributo personale. Bisogna rispettare un certo dress code, è una regola che tutte le mie esperienze professionali, tanto all’estero quanto in Croazia, hanno di volta in volta confermato. Oggigiorno, sembra che questa norma sia completamente trascurata, se non del tutto abbandonata. Ogni esibizione viene registrata e, come tale, diventa documento di un tempo, un segno e, al contempo, un riflesso di noi e di come ci atteggiamo nei confronti della nostra professione. Dovremmo chiederci, quindi, come vorremmo venire ricordati”.

Parliamo di styling. Oltre che per una ricca carriera nel mondo dello spettacolo, lei è nota anche per il suo stile elegante e raffinato. Come sceglie gli outfit al giorno d’oggi?
“È una bella domanda, anche se la mia risposta forse potrebbe far scandalizzare qualche giovane lettore. Sin dai miei inizi, nel 1969, e fino alla sua morte, la mia strettissima amica e collaboratrice Anita Baričević Kalina si è dedicata con grande passione e professionalità alla moda e al cucito, e, per un periodo, ha pure scritto per una rubrica di moda del Novi list, ereditando il mio posto. Sin dal mio esordio, ha creato praticamente ogni capo che ho indossato, ad esclusione dei cappotti e dei cappelli. Dopo la sua morte, nel 2020, mi sono affidata a un’amica e sarta di Zagabria. Anche da giovane e snella, non ho mai voluto mettere in mostra certi attributi, preferendo piuttosto vestiti più ‘modesti’, per così dire. Devo dire che ho sempre avuto un’ottima collaborazione con Anita e ora con Ana, che hanno sempre saputo creare degli abiti originali e fatti per me”.

Dopo una ricca carriera in cui ha realizzato un imponente discografia (oltre, ovviamente, a una moltitudine di concerti), ha deciso di concentrarsi quasi esclusivamente sulle esibizioni dal vivo…
“Un po’ di tempo fa, ho deciso di non incidere più canzoni nuove. Il motivo è legato a quanto dicevo prima. È perché non cambierebbe nulla. Ho un repertorio talmente vasto che potrei realizzare cinque o sei concerti del tutto diversi, senza alcuna difficoltà o problemi di memoria. Per quale motivo dovrei registrare nuovi brani, che poi cadrebbero immediatamente nell’oblio? Non posso competere con la giovane generazione nell’industria che domina in questi territori”.

Un concerto dal vivo, però, è un’altra cosa…
“È vero. L’esibizione è un’esperienza che si vive anche diversi giorni prima dell’avvenimento, per non parlare della tensione, dell’emozione, dell’eccitamento, del senso di responsabilità e di tutte le emozioni legate a quelle due ore e mezza sul palco. La sensazione dell’uscita in scena e di quel primo contatto con il microfono sono momenti davvero meravigliosi, in cui tutti i tasselli finalmente si sistemano. Allora riprendi quella calma interiore, ti concentri e sei pronto a dare tutto te stesso al pubblico. La musica parte, con canzoni conosciute e altre meno note… è un’esperienza speciale. A volte le pause tra un’esibizione e l’altra sono forse troppo lunghe, però quando nuovamente si riprende la marcia vivi una magia indescrivibile. Ho deciso, però, di non tenere più concerti all’estero. Avevo collaborato con alcune orchestre per eventi particolari, dove proponevo un repertorio raffinato, ma poi ero anche una moglie e una madre, lavoravo nel cinema e in ambito teatrale… sono tutte esperienze che ti portano in una certa direzione. In ogni caso, posso dire di essere soddisfatta di quello che ho fatto. Ho due matrimoni alle spalle, ma ho anche due bellissime figlie, che considero il mio più grande traguardo”.

Ha avuto l’opportunità di trasferirsi all’estero, ma è rimasta sempre legata alla propria terra d’origine. Qual è stata la più grande motivazione a rimanere qui?
“È forse proprio per il fatto che ho avuto l’occasione di viaggiare in tutto il mondo e visitare le più grandi metropoli, da Londra a Parigi, da Roma a New York, dal Cairo a Tokyo… Quando passeggiavo per le strade di quelle città e osservavo quegli enormi palazzi, mi chiedevo dove fosse tutto lo spazio necessario per le persone che ci vivono. Come si fa ad avere il contatto con la natura in centri così affollati? Se vivi a New York, puoi recarti al Central Park, ma non è che tutta la città lo possa fare insieme a te, per così dire. Anche a vent’anni sapevo che non avrei potuto vivere senza il mare, il vento, la natura… semplicemente non fa per me. Oggi si parla tanto dell’emigrazione dei giovani dal Paese, ma bisogna tener presente che saranno tantissimi quelli che torneranno proprio per quei motivi. Di che cos’è che, alla fine, si ha bisogno veramente, oltre a un tetto sopra la testa e una continuità nel lavoro che svolgi? Ho tanti amici ricchi e benestanti, che tuttavia non sono minimamente più felici di chi non ha nulla in termini materiali, e il motivo risiede semplicemente nel tempo. Ti preoccupi delle cose superficiali, vuoi una casa all’ultima moda e una scintillante automobile nuova, e poi arrivi a festeggiare gli ottant’anni, se Dio vuole, e il legame tra i tuoi figli si dissolve totalmente per la pura soggezione all’importanza di una ricchezza economica. Ho avuto modo di conoscere anche molti attori e personalità del cinema hollywoodiano che, per il semplice motivo di mantenere una certa apparenza, vivono in case dei loro impresari. Personalmente, spesso mi sono sentita più ‘ricca’ di loro, motivo per cui, ad esempio, le offerte di ruoli cinematografici non mi hanno mai attirato”.

Qui, però, ha lavorato a più riprese nel cinema e nel teatro. Si è approcciata al lavoro attoriale allo stesso modo come nel caso della musica? Oppure sono state le esperienze teatrali e cinematografiche ad aver influenzato il suo mestiere di cantante?
“Innanzitutto, devo dire di essere estremamente grata a Vlado Štefančić, purtroppo defunto, per avermi inserita nelle produzioni del teatro Komedija di Zagabria, negli spettacoli ‘Gubec-beg’, ‘Grička vještica’ e ‘I miserabili’ (Jadnici). In seguito, ho recitato nella ‘Karolina riječka’ del Teatro Nazionale Croato ‘Ivan de Zajc’, un musical che ha rappresentato un documento di quell’epoca. Più tardi ho preso parte anche allo spettacolo ‘Mirakul’ di Dražen Žanko e Ivan Ivica Krajač che, a mio parere, non ha ottenuto il riconoscimento che avrebbe meritato, nonostante si tratti di un musical la cui tematica comprende Signo (Sinj), la Sinjska alka, la celebrazione dell’Assunzione di Maria, la famiglia, l’eredità e via dicendo, insomma tutto quanto caratterizza la vita in questi territori. Pur non avendo una formazione attoriale professionale, è stato un mestiere che ho svolto con grande entusiasmo, sempre attendendo con impazienza l’andata in scena, indipendentemente dal teatro. Sono tutte esperienze che ci rendevano ispirati e motivati a proseguire, a migliorare. Mi facevano sentire in maniera meravigliosa”.

Le manca la scena teatrale?
“Devo ammettere di sì, certe volte. Credo di aver potuto dare di più per quanto riguarda la recitazione, ma la vita è così, non bisogna lamentarsi”.

Canta della vita e delle piccole cose che ci rendono umani, ma canta anche e soprattutto di amore. Che cos’è per lei l’amore al giorno d’oggi?
“L’amore significa dare e ricevere, non sempre nella stessa misura. La mia vita ha raccontato una storia che, come dicevo prima, mi ha dato due figlie da due matrimoni. Poi, però, ho deciso di non intraprendere più rapporti romantici. Mi sento realizzata in quanto madre, ora sono nonna e pure bisnonna. Il legame con la mia famiglia è ciò a cui tengo di più. Per quanto riguarda l’amore, forse ho punito me stessa, impedendomi di cogliere certe occasioni di ritrovarlo. Ma poi, avendo due figlie da due matrimoni, come anche due infarti e quattro stent coronarici, e poi cinque Porin, di cui uno all’opera omnia… Scherzi a parte, mi sento piuttosto soddisfatta, tutto sommato”.

Tra tutti i concerti che ha tenuto in Croazia e all’estero, e tutti i premi che ha ottenuto, qual è l’esibizione o il riconoscimento a cui è legata di più?
“Di riconoscimenti e concerti ce ne sono stati davvero tanti, dal Giappone agli Stati Uniti, all’Italia, a Malta, alla Spagna… è difficile individuarne solo uno. In ogni caso, però, i premi a cui tengo di più sono quelli che ho conseguito qui, nella mia terra”.

Di recente si è esibita ad Abbazia in occasione della celebrazione del centenario della nascita del grande cantante e cantautore Ivo Robić. Ci può rivelare qualche curiosità del vostro rapporto?
“Ho sempre seguito con grande curiosità e rispetto la sua carriera. Un episodio che mi sta particolarmente a cuore è legato a un mio viaggio a New York. Stavo riposando nella mia camera d’albergo e per rilassarmi avevo acceso la televisione. Scorrendo i programmi, tutt’a un tratto ho riconosciuto il suo volto – era ospite della nota trasmissione di Ed Sullivan, il conduttore che, tra le altre cose, è stato il primo ad aver ospitato i Beatles negli Stati Uniti d’America. Vedendo Ivo Robić in una trasmissione della televisione statunitense, ho provato una gioia indescrivibile. Putroppo, è stato un cantante che nel proprio Paese non ha goduto del riconoscimento che avrebbe meritato, un privilegio all’epoca riservato ad altri. In ciò, provavo una certa empatia nei suoi confronti. Ho vissuto un lungo periodo della mia vita a Fiume e trascorrevo tantissimo tempo ad Abbazia. Conoscevo anche la signora Marta, moglie di Robić, che pure era tra le clienti di Anita Baričević Kalina. Lo stesso Robić aveva espresso il desiderio di realizzare una collaborazione, poiché eravamo, in un certo senso, legati da questa comune esperienza… Un altro episodio che ricordo con tenerezza è il nostro incontro, del tutto casuale, in un aeroporto in Germania, verso la metà degli anni ‘70. Eravamo ciascuno con i propri collaboratori e ci siamo incrociati per puro caso. È stato davvero piacevole e del tutto inaspettato”.

Ultima domanda. Che cosa consiglierebbe alle nuove generazioni e ai giovani artisti esordienti?
“Gli suggerirei di conseguire un’educazione musicale, di non approcciarsi alla musica solamente in quanto fonte di guadagno. Gli consiglierei di innamorarsi, di trasmettere le emozioni attraverso la musica, l’armonia, gli strumenti, e di farne i propri abbracci verso il pubblico”.

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