«Lucia di Lammermoor» raccontata attraverso la musica

A colloquio con Pier Luigi Pizzi, che firma la regia, le scene e i costumi dell’opera di Donizetti la cui première è in programma questa sera al TNC di Zagabria

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«Lucia di Lammermoor» raccontata attraverso la musica

Pier Luigi Pizzi è una leggenda vivente. Il regista, scenografo e costumista italiano, attivo da settant’anni nei più importanti teatri e festival del mondo, ha creato spettacoli straordinari, edizioni che hanno fatto storia e suscitato l’entusiasmo della critica internazionale.
Questa sera al TNC di Zagabria va in scena “Lucia di Lammermoor” diretta dal Maestro Marcello Mottadelli, con la regia, le scene e i costumi firmati da Pier Luigi Pizzi e le forze del teatro lirico della capitale. Lo spettacolo è dovuto all’Ambasciata d’Italia a Zagabria e all’Istituto Italiano di Cultura di Zagabria, in collaborazione con il Teatro Nazionale Croato zagabrese.
Costumi geniali
“… la scena e i costumi di Pier Luigi Pizzi sono semplicemente geniali nel ricreare con mezzi moderni quell’atmosfera di esotismo orientale che indubbiamente ha la sua parte nella fluvialità della partituta e nel barocchismo canoro…” osservava il grande Massimo Mila per la rossiniana “Semiramide” del 1981.
“Guardare questo spettacolo… procura una soddisfazione immediata dei sensi, accarezzata da un’armonia perfetta “ scriveva il critico dell’”Opéra International” per l’“Ariodante” di Händel, nel 1983.
Il fascino delle creazioni scenografiche del Maestro colpisce anche se osservate tramite il mezzo telematico. Concezioni di ampio respiro, essenzialità e raffinatezza, impeccabile organizzazione architettonica dello spazio con relativi effetti prospettici e contrappunti di luci ed ombre, accesi contrasti timbrici, elegantissimo minimalismo… sono solo alcune delle impressioni suscitate in noi dalla geniale creatività del Maestro. “Ho studiato architettura” spiega. E si vede. Un colloquio con Pier Luigi Pizzi è un’occasione ghiotta da non perdere.
È la sua prima collaborazione con il Teatro di Zagabria questa “Lucia di Lammermoor”?
“Due anni fa avevo firmato le scene-costumi-regia di ‘Madama Butterfly’ che era andata in scena nella capitale. Però era un l’allestimento che veniva dall’Italia ed era stato pensato per un teatro italiano. ‘Lucia di Lammermoor’, invece, è da considerarsi una produzione dell’Opera di Zagabria, in quanto è stata concepita proprio per gli spazi, gli artisti, le potenzialità della Casa zagabrese.”

“Cleopatra” di Theodossiu per il Sferisterio di Macerata

Può spiegarci il concetto chiave, il suo approccio a questa perla del belcanto?
“Sarà una ‘Lucia’ semplice. Siccome nel corso della mia lunga carriera ho provato tutto, ora cerco di lavorare ‘per sottrazione’, cioè usando quegli elementi che ritengo siano necessari ad aiutare il pubblico a entrare nello stato d’animo giusto. La musica in quest’opera poi è talmente trascinante che non è necessario mettere in scena molta roba. La mia non è una lettura realistica, non ci sono elementi architettonici che rimandano all’epoca storica, ma solo accenni, indicazioni. Alberi, nebbie che si confondono e mescolano con la fragile mente di Lucia. Degli interni, che non devono essere necessariamente quelli del castello – creati per esaltare la recitazione e seguire l’instabile percorso psicologico della protagonista – nei quali Lucia cerca una quiete che non troverà.
Tutto parte da Lucia, dalla sua fragilità, e dalla musica. Ho cercato di accentuare l’aspetto poetico, romantico di quest’opera. Ad esempio, nella scena in cui Lucia attende l’amato, introduco l’arpa sul palcoscenico, che con la sua morbida sonorità (esegue l’assolo), contribuisce a creare quell’atmosfera romantica in cui si svolge l’incontro dei due innamorati. Nell’ultima scena invece faccio entrare Edgardo, il quale piange sulle spoglie mortali di Lucia dando sfogo a tutto il suo dolore. Sono scelte registiche volte a rendere la commozione della tragedia quanto più toccante.”
Come si abbinano i costumi a questa essenzialità scenografica?
“I costumi sono semplici. Il coro veste di grigio, un colore anonimo, in quanto non esprime dei sentimenti propri – come nei cori verdiani, nel Nabucco o nel Macbeth -, tutt’al più segue e commenta l’azione.”
Lei come regista che cosa si aspetta dal cantante? Come lo plasma?
“In realtà, il regista si aspetta un’adesione e una fiducia totale da parte del cantante. A volte ci riesce, altre volte no. Dipende anche dall’abilità attoriale del cantante. La mia prima ‘Lucia’ la feci alla Scala con Pavarotti nella parte di Edgardo. ‘Guarda, non aspettarti da me che reciti. Io sono qui per cantare. La gente viene per sentire la mia voce’. Io più di tanto non ti posso dare’. Infatti Pavarotti non era un attore. Maria Callas? Certo, era brava. Esprimeva gli stati d’animo con gli occhi, il volto, le mani, le braccia, aveva il senso del teatro, dello spazio. Sapeva calcare il palcoscenico. Un’altra cantante che si distinse come attrice e interprete fu Leyla Gencer, tra l’altre.
Le generazioni più giovani invece ci tengono, sempre più, a creare un personaggio completo, a curare la recitazione. Anche dal punto di vista fisico si presentano meglio. Si impegnano per tenersi in forma e avere un aspetto quanto più gradevole. Una volta non era così. Personalmente, ho avuto esperienze molto appaganti con gli artisti giovani.”
Qual è la sua opinione rispetto ai cambiamenti d’epoca nelle opere che da qualche anno sono sempre più voga?
“Sono del parere che l’opera vada raccontata attraverso la musica dell’autore. Dobbiamo cercare di ricreare il clima che la musica suggerisce. Poi non è detto che non si possa cambiare epoca, proporre vie innovative, non necessariamente legate a una tradizione diventata polverosa e anche difficile da accettare. Questa operazione però non deve essere sistematica. Non bisogna per forza mettere l’opera in abiti contemporanei per cercare a tutti i costi un’attualità che necessariamente non c’è. Bisogna togliere tutta la polvere ma lasciare la sostanza vera dell’opera, così come il compositore ce l’ha data.
Non è possibile, come oggi spesso accade, cambiare addirittura la drammaturgia. Così abbiamo le Carmen che uccidono Don Josè, o delle Desdemone che risuscitano dallo strangolamento di Otello (oppure Tosca che cambia idea e non si suicida, ma tranquillamente ritorna sui propri passi, nda), dei Marchesi di Posa che improvvisamente si fingono morti per poi uccidere Filippo II, il re, e diventare re a loro volta. Questo modo di procedere è estremamente discutibile, e non mi interessa tale tipo di trasposizione.
Ciò non toglie che io (la trasposizione d’epoca) l’abbia fatta parecchie volte. Sono stato tra i primi. E continuo a farlo, specie nel teatro comico. Recentemente, ho curato ‘Il matrimonio segreto’ di Cimarosa messo in abiti moderni, e ha funzionato perfettamente. È una commedia, una situazione che potrebbe accadere anche oggi, per cui è credibile. Il cambiamento d’epoca può convincere a patto che il regista sia mosso da motivazioni ben precise, e non snaturi il senso dell’opera.”

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