La sfida delle convenzioni dalla teologia alla filosofia

Il volume di Idolo Hoxhvogli richiede un'immersione totale. Secondo l'autore non serve essere prolissi per raccontare una storia complessa come quella dell'animo umano

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La sfida delle convenzioni dalla teologia alla filosofia

La comunità dei viventi”, pubblicato dalla casa editrice fiorentina Clinamen, è il secondo libro di Idolo Hoxhvogli; un saggio che sa essere al tempo stesso denso di contenuti, ma breve, scritto in prosa ma con la capacità di evocare immagini vivide come solo la poesia sa fare. Idolo Hoxhvogli, classe 1984, è nato a Tirana e vive a Porto San Giorgio, nelle Marche. Si è formato in filosofia alla Cattolica di Milano e all’Università di Macerata. Nei suoi scritti l’atteggiamento critico del sapere filosofico si incontra con un particolare modo di vedere l’uomo, il mondo e la società. I suoi lavori sono presenti in riviste come Gradiva e Cuadernos de Filología Italiana. Il suo primo libro, “Introduzione al mondo”, è stato pubblicato da Scepsi & Mattana nel 2011 e OXP nel 2015. Ne “La comunità dei viventi” mostra come non serva essere prolissi per raccontare una storia complessa come quella dell’animo umano. Attraverso brevi capitoli, della lunghezza di appena una pagina, Hoxhvogli parla di un viaggio, il viaggio dell’anima: “viaggiare è percorrere l’invisibile, trascendere ogni registro mentre il mondo rinasce insieme ai viventi”. L’autore fa conoscere la storia dell’uomo da un punto di vista biologico, naturale, ma qual è la storia che nessuna scienza potrà mai raccontare? L’evoluzione del nostro pensiero, del nostro io che si relaziona con il Mondo in un percorso in divenire: uomo e mondo, essi nascono e rinascono insieme in un gioco senza fine in cui l’uomo è un eterno nomade che erra per comprendere il mistero della sua esistenza. Il cogito e la fides, pensare e credere sono due attitudini fondamentali dell’uomo: la prima è razionale, la seconda è irrazionale. L’umanità è legata a due vocazioni: Dio, il bene e il peccato, lo scandalo della nostra nascita. Questo saggio parla di questo paradosso irriducibile: ci intrappoliamo in leggi, in abitazioni etiche, strutture amministrative in cui la nostra libertà è accuratamente vigilata e la nostra creatività repressa fin da bambini, eppure non possiamo farne a meno. Qual è lo spazio occupato dall’uomo nel mondo? “Lo spazio occupato dall’uomo è superiore a quello del suo giaciglio”. Non basta una casa per sentirsi a casa. Se gli alberi, grazie alla fotosintesi, “sanno fare la rivoluzione stando fermi”, l’uomo, anche se in costante movimento, riduce i territori che percorre a materia funzionale per i suoi bisogni. Quella tecnocratica è una “dittatura a sorpresa”, propria di macchine che non si spengono mai. “Chiedere diritti alla tecnocrazia significa ignorare che la macchina conosce solo compiti e funzioni”, in cui Dio, come disse Nietzsche “è morto”. In questo libro, un percorso da leggere e vivere, l’essere umano, fragile e stupito dal mondo, sceglie di nominarlo e di attribuire segni alle cose che vede, scopre il peccato, la paura della morte e dell’altro, la necessità di una comunità che lo tuteli. Allo schematismo esistenziale l’autore contrappone la possibilità di intrecciare in maniera feconda la speranza, il cogito e la fides, la consapevolezza che la “libertà è il risultato di un atto di forza” da contrapporre al potere che schiaccia il vivente.

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