INTERVISTA Matija Dedić: «Un progetto che scaturisce dal cuore»

Il rinomato pianista zagabrese esibitosi a Palazzo Modello nell'ambito dell'iniziativa «Emozione, sentimento» dedicata a Sergio Endrigo, ricorda i suoi primi passi nella musica e la grande amicizia tra suo padre e il cantautore polese

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INTERVISTA Matija Dedić: «Un progetto che scaturisce dal cuore»
Foto fornita da CI di Fiume

Matija Dedić è senza dubbio uno dei musicisti jazz più apprezzati nel panorama della musica croata che, nonostante fosse figlio di nomi del calibro del compianto cantautore Arsen Dedić e della cantante Gabi Novak, è riuscito, grazie al suo talento fuori dal comune, a uscire dall’ombra dei suoi genitori e ad affermarsi come pianista sulla scena jazz croata e all’estero. Sempre disponibile e aperto, il musicista ci ha concesso una breve intervista prima di salire sul palco del Salone delle Feste di Palazzo Modello, dove si esibito nell’ambito del progetto “Emozione, sentimento” promosso l’anno scorso dalla Comunità degli Italiani e realizzato con il supporto finanziario dell’Ufficio per le minoranze, della Città di Pola e dell’Unione Italiana allo scopo di far rivivere l’opera del grande cantautore polese Sergio Endrigo e di sottolineare la sua importanza. In seno al progetto, Matija Dedić ha inciso il CD “Matija Dedić plays Sergio Endrigo” e a Fiume ha presentato con successo, dinanzi a un foltissimo pubblico, una selezione di brani.

La memoria di un legame indissolubile
Come rilevato dal musicista, il concerto di Palazzo Modello è stato un omaggio a Endrigo, che è stato grande amico di suo padre. “In questo modo ho voluto tenere viva la memoria della grande amicizia tra mio padre e Sergio Endrigo – ha sottolineato Dedić –. Dalla Comunità degli Italiani di Pola mi era giunto l’anno scorso l’invito di incidere un CD con i brani di Endrigo e avevo accolto quest’occasione con grande piacere. Le condizioni per la registrazione dei brani erano perfette e a questo aveva fatto seguito un bellissimo concerto promozionale al Teatro Popolare Istriano (INK) di Pola, al quale si era esibita come mia ospite la bravissima Tina Vukov. Purtroppo, in Croazia i nomi di Sergio Endrigo, Gino Paoli e Luigi Tenco – con i quali io ero cresciuto – non sono noti come meriterebbero, per cui non credo che questo progetto avrà occasione di vivere anche in altre parti della Croazia (forse avrò la possibilità di suonarlo a Belgrado per un gruppo ristretto di persone similpensanti), per cui sono molto felice di essere stato invitato a Fiume dalla presidente della Comunità degli Italiani, Melita Sciucca, e di poter portare avanti questo progetto per me molto speciale. Quando Edi Cukerić, produttore del CD, aveva proposto di candidare il disco al premio Porin e ad altre simili manifestazioni, io avevo rifiutato perché per me si tratta di un progetto unico che non entrerà in competizione con ciò che viene prodotto oggi sulla scena musicale croata. Questo CD è destinato alle persone che mi sono care e a coloro con cui mi trovo sulla stessa lunghezza d’onda, come pure agli appassionati della musica di Sergio. Questo è un progetto che scaturisce dal mio cuore e va al cuore di coloro che lo apprezzano”.

Ha dei ricordi personali di Sergio Endrigo?
“Uno degli aneddoti più conosciuti che riguardano Sergio e la mia famiglia racconta come Sergio andava spesso con mia madre Gabi al mercato di Dolac, dove acquistava le ‘sarme’, che adorava, e le portava lo stesso giorno in aereo a casa a Roma. Ciò che posso dire è che la morte di Sergio, nel 2005, colpì molto mio padre Arsen”.

Come ha selezionato i brani che compongono il CD?
“La CI di Pola aveva proposto venti canzoni di Endrigo, al che io ne avevo selezionato dieci. Come avevo fatto con i dischi in cui suonavo le musiche di Arsen e di Gibonni, non volevo registrare un CD troppo lungo. Desideravo incidere un disco più fruibile”.
In una breve digressione, Matija ci ha raccontato di essere un appassionato di pallacanestro e che, nonostante la sua bassa statura, aveva giocato nella terza lega di Graz, durante gli studi di pianoforte jazz.
“La musica era sempre il mio amore, mentre la pallacanestro era l’amante – ha proseguito –. All’età di 13 anni, nel 1986, vidi Dražen Petrović nel Dom sportova contro il Real Madrid e mi innamorai di questo sport. Lo stesso mi capitò con il jazz. Dopo aver sentito poche battute del The Köln concert di Keith Jarrett sentii tutto ciò di cui avevo bisogno per appassionarmi di musica: un costante amore per la musica colta con una dose d’improvvisazione. La mia insegnante di pianoforte riconobbe in me tanto tempo fa la capacità di improvvisare e già all’età di dieci anni mi fece conoscere Dubravko Detoni (illustre compositore, scrittore e pianista croato, nda), mentre all’esame di ammissione alla Scuola di Musica, dove i bambini di solito suonano delle canzoncine, io suonai il tema funk della colonna sonora della serie ‘Povratak otpisanih’, all’epoca molto popolare. La mia insegnante di pianoforte, Blaženka Zorić, era molto severa ed esigeva molto da me. Di conseguenza, da maturando dovetti rinunciare al viaggio di maturità e ad altre cose. Tutti noi musicisti siamo un po’ danneggiati (risata)”.

Amore per Bach
“Sono molto grato alla mia insegnante perché riconobbe in me la capacità di improvvisare e mi disse, quando decisi di sostenere l’esame di ammissione all’Accademia di Musica di Lubiana, che non sarei riuscito a superarlo – ha osservato –. Sorpreso, le chiesi perché e mi rispose: ‘Matija, tu ami Bach così tanto che ti liberi da ogni convenzione e regola mentre lo suoni, mentre sappiamo che nell’interpretazione di Bach esiste una serie di regole’. A proposito di Bach, a suo tempo avevo inciso un CD con le sue musiche assieme a Darko Jurković-Charlie.
Dicevo degli esami d’ammissione. La mia insegnante aveva ragione perché la commissione dell’Accademia di Lubiana non approvò la mia esecuzione di Bach e non venni ammesso. Non riuscii a superare nemmeno l’esame dell’Accademia di Zagabria, al che decisi di andare a Graz. Non avevo idea di nulla perché nel jazz ero autodidatta, ma avevano compreso il mio amore per il jazz e, su raccomandazione di Boško Petrović, decisero di prendermi. Avevano capito che, se non mi avessero ammesso, sarei stato capace di gettarmi giù dal balcone (risata). La musica classica e il jazz sono per me mamma e sorella, per cui non posso capire per quale motivo all’Accademia zagabrese non esista ancora un corso di jazz. Quando mi chiedono la mia opinione sulla scena jazz croata rispondo che la fondazione di un dipartimento jazz all’Accademia darebbe legittimità alla nostra musica. Diversi grandi nomi del jazz croato, come Boško Petrović e Miljenko Prohaska, avevano cercato di fare qualcosa in questo senso, ma non ci riuscirono. Allo stesso tempo, a Graz il dipartimento di jazz venne inaugurato già nel 1967. Non capisco questo atteggiamento”.

In che modo ha preparato i brani che suona?
“Avendo già una certa esperienza nel jazz, non è per me un problema prendere un brano di Endrigo e in seguito variare la melodia e lasciarmi andare all’improvvisazione. Questo vuol dire che a ogni concerto queste canzoni verranno eseguite in maniera diversa. L’improvvisazione non è facile, è un lavoro molto esigente. È molto più facile fare parte di un collettivo, come lo è, per esempio, il Tamara Obrovac Quartet, nel quale suono dal 1997. Tamara è meravigliosa con noi e sono molto orgoglioso di farne parte da così tanto tempo. Questo complesso si basa sull’amicizia e sulla fiducia reciproca. Dico sempre che una band non è soltanto la musica e il palco, ma anche i viaggi, le confidenze, i pranzi e le cene… Questo ho con Tamara e sono felice di collaborare con lei, Kruno Levačić e Žiga Golob da così tanti anni.
Vorrei finire con una vicenda legata a Endrigo. Un mese prima della morte di mio padre, tra la infelice operazione dell’anca e la sua morte, mi chiamò Zoran Majstorović, straordinario polistrumentista fiumano, che grazie alle sue conoscenze venne in contatto con la rivista italiana ‘Musica jazz’ che dedica una volta all’anno un numero ai cantautori e registra un CD. Quell’anno era dedicato a Sergio Endrigo, per cui l’idea era di incidere il brano ‘1947’ (che Matija ha suonato al concerto in Comunità, nda). Zoran mi chiese di portare mio padre in studio dopo l’operazione. Destino volle che questo fosse l’ultimo brano inciso da Arsen Dedić. Un fatto di grande valenza simbolica”.

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