«Internet è ormai un’ideologia»

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«Internet è ormai un’ideologia»

FIUME | Si è tenuta di recente al Campus di Tersatto, la Settimana della Facoltà di Lettere e Filosofia di Fiume. In tale occasione è stato celebrato il 20º anniversario della fondazione della Facoltà e il 45º della fondazione dell’Università degli Studi di Fiume. Tra i numerosi eventi organizzati in quest’ambito, particolare rilievo ha avuto la conferenza tenuta dal prof. Lucio Cristante, personaggio di spicco del mondo universitario triestino. L’evento è stato ospitato dal Dipartimento di Italianistica dell’Ateneo fiumano.

Lucio Cristante, docente estremamente noto tra le fila accademiche italiane, è professore ordinario all’Università di Trieste dove insegna Letteratura latina e Filologia latina. È direttore del Dipartimento di Studi umanistici e membro del Senato accademico. Si occupa attivamente di musica antica e di prassi esecutiva. Ha dedicato la propria attività di ricerca allo studio dei testi artigrafici latini e si occupa in particolare di tradizione grammaticale e della trattatistica musicale dall’antichità all’umanesimo. Ha curato la traduzione e il commento di poeti quali Ovidio, Claudiano e Reposiano e ha affrontato problemi di critica testuale ovidiana e di edizione e commento di poeti tardoantichi dell’“Anthologia Latina”.

I manoscritti del patriarcato di Aquileia

Cristante ha collaborato alla redazione del dizionario della lingua latina edito da Le Monnier. Oltre a essere direttore della rivista “Incontri di filologia classica” e condirettore, con Loriano Zurli, della rivista “Anthologia Latina”, è membro del comitato scientifico della rivista “Voces” e della rivista informatica “CentoPagine”. È socio della Fondazione Lorenzo Valla e membro della Consulta universitaria di studi latini. Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo e di fargli un’intervista per sentire quali sono i suoi punti di vista riguardo all’era di Internet e come quest’ultima si riflette sul ruolo di filologo e sul rapporto tra scrittura e conoscenza. Durante la piacevole chiacchierata, Lucio Cristante ci ha anticipato il futuro della tradizione umanistica. Inoltre, siamo venuti a conoscenza del significato della prima banca dati digitale dei manoscritti con notazione musicale del patriarcato di Aquileia.

Che cosa significa essere filologo nell’era Internet?

“Innanzitutto bisognerebbe partire da ciò che intendiamo per filologia e per mestiere del filologo”, ha esordito il nostro interlocutore. “Se con il termine di filologo ci si riferisce a colui il quale è interprete e critico dei testi o di tutto ciò che può essere ridotto a testo, quindi parola e comunicazione degli uomini, è ovvio che con l’era Internet, il filologo assume un ruolo decisamente più importante rispetto ai tempi passati. Ripercorrendo i settori specialistici, la modellizzazione dei testi è un ambito di studi in cui il filologo può intervenire maggiormente. È un filologo di formazione classica e antichistica, che conosce queste cose. Sono infatti gli antichisti quelli che hanno formalizzato (prima dell’era di Internet) tutti i loro testi e le metodologie delle edizioni critiche. Secondo me è un ruolo che diventa insostituibile anche nella programmazione informatica, il che non significa sostituirsi al tecnico informatico, ma offrire quelle che sono le soluzioni che poi, dal punto di vista tecnico, vengono realizzate da chi possiede competenza tecnica”.

Quando parla di ideologia di Internet, che cosa intende?

“È un giudizio che esprimo sull’uso scorretto che si fa di Internet. Una buona ideologia di Rete dovrebbe essere quella che noi abbiamo a disposizione sempre e in qualsiasi momento. È un concetto di sviluppo massimo del termine di enciclopedia intesa come parola greca (enkyklos paideia), letteralmente ‘istruzione circolare’, ovvero conoscenza globale e totale del tutto. È un’ideologia positiva perché avere tutto a disposizione è un fatto impressionante per un filologo”, ha proseguito Cristante. “Non c’è alcun problema di dover andare a cercare i dati. Io condanno un altro tipo di ideologia, ovvero quella secondo la quale la massa di dati con cui ci confrontiamo ha prodotto un’acriticità nella valutazione; un esempio in questo senso sono le bufale di Internet, cioè il prenderle per vere. Il filologo deve saper controllare i contenuti di Internet ed essere garante che quello che egli stesso posterà poi in Rete sia documentato, affidabile e scientificamente fondato”.

Com’è avvenuta la trasformazione di Internet da strumento di condivisione a ideologia?

“Si tratta dell’usare senza possedere la necessità mentale-epistemologica-scientifica di verificare la correttezza di un documento. È questo il guaio fondamentale”.

La tradizione umanistica è in pericolo?

Come finirà il rapporto tra scrittura e conoscenza?
“È una cosa connaturata al nostro modo di essere uomini perché la nostra comunicazione avviene mediante la parola, che poi trova una codifica nella scrittura. Al giorno c’oggi non bisogna più puntare esclusivamente sulla scrittura poiché i mezzi che ce la trasmettono rendono possibile il mantenimento dell’oralità e della sonorità della parola. Sono dell’avviso che non si possa fare a meno della scrittura, dato che quest’ultima è un processo di fissazione del pensiero. Il pensiero, che è logos, è una parola che si può sempre riascoltare, rileggere, rivedere. Questo fa sì che la scrittura di qualsiasi tipo) sia connaturata. Se per scrittura intendiamo gli strumenti con cui noi esprimiamo i mezzi della nostra comunicazione, credo che siamo in un’epoca in cui possiamo approfondire il rapporto che tutti questi elementi hanno con la conoscenza. Se pensiamo che la scrittura informatica sia una scrittura numerica e il numero valga sia per la parola che per l’immagine, allora sappiamo di avere un elemento di sintesi più grande rispetto al passato perché con un numero esprimiamo la parola, l’immagine e addirittura il suono. Abbiamo realizzato l’ideale pitagorico”.

La tradizione umanistica è in pericolo di svalutazione, o addirittura d’estinzione?

“Beh, di estinzione non direi, di svalutazione può essere, nel senso che la tradizione umanistica è la tradizione con cui gli uomini hanno formato e tramandato il loro pensiero e le multiformi vicissitudini. Quindi la tradizione umanistica non può venire meno, perché è connaturata all’uomo. Che sia ormai svalutata, è un dato che oggi può venire verificato soprattutto da chi, a livello di ricerca, opera in settori molto più tecnici e tecnologici in cui conta il prodotto che si riesce a dare, piuttosto che il processo di elaborazione del pensiero degli uomini. In questo senso, la svalutazione c’è. Quando ci si comincia a interrogare a che cosa servano gli studi umanistici, significa che abbiamo già iniziato a svalutarli”.

Quanto è attuale nell’Europa odierna il pensiero di Eratostene riportato da Strabone sulla necessità di fondare l’uguaglianza in termini collettivi e di misurare la disuguaglianza in termini individuali?

“La sociologia odierna potrebbe dare una risposta più precisa. Il concetto di uguaglianza, sia collettiva che individuale, nel mondo antico è molto diverso da quello che noi intendiamo oggi per uguaglianza. Nell’antichità il problema della democrazia era un problema di garanzie che gli uomini liberi volevano avere tra di loro. Le donne, gli schiavi e gli stranieri, ad esempio, non avevano diritti. La domanda è legata a problemi e situazioni con cui ci confrontiamo noi oggi”.

Fra i suoi tanti progetti c’è la realizzazione della prima banca dati digitale dei manoscritti con notazione musicale del patriarcato di Aquileia. Di che cosa si tratta?

“Il progetto è stato finanziato dall’Unione europea e ha portato alla digitalizzazione di tutti i manoscritti medievali appartenenti al patriarcato di Aquileia. Esso è stato una realtà molto importante, che si estendeva su un territorio vastissimo siccome comprendeva anche una parte della Slovenia e della Croazia. Rappresenta una realtà problematica perché il patriarcato di Aquileia aveva all’interno della Chiesa latina (la Chiesa di Roma) un proprio statuto particolare. Ad esempio, sappiamo dalle testimonianze che la musica della liturgia nella Chiesa di Aquileia (siamo nel IV-V secolo dopo Cristo) era una musica particolare, molto diversa da quella che si faceva a Roma nelle Chiese del Papa. Nei manoscritti dall’VIII secolo in poi, non ritroviamo più queste specificità, bensì le minime varianti rispetto a quello che è il contesto europeo più ampio. Troviamo però delle tracce che sono dichiarate e che hanno mantenuto il ricordo della sua vecchia tradizione. Questa è stata bruscamente cambiata con la conquista di Carlo Magno. Egli, con il patriarca di Aquileia detto Paolino di Aquileia, ha normalizzato nell’unità del Sacro Romano Impero la liturgia di Aquileia a quella di tutta la chiesa antica. Mentre non lo ha fatto con Milano, che mantiene ancor’oggi la sua liturgia ambrosiana. Quella di Aquileia è sparita definitivamente. Si tratta di un patrimonio immenso studiato soprattutto da colleghi sloveni e ungheresi. La banca dati contribuisce a fare il quadro della situazione e comparativamente a individuare delle particolarità. La banca dati dispone di 110mila immagini ed è consultabile presso la Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli”.

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