Il manifesto teatrale come opera d’arte

Alla Galleria Kortil di Fiume, in occasione del Festival delle Piccole scene, è in visione la mostra «Volti, maschere, attrezzi…» curata da Zenon Butkiewicz

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Il manifesto teatrale come opera d’arte
Mariusz Fransowski: “Richard III” (2000). Foto:

Il manifesto teatrale come forma d’arte nacque nell’atelier del celeberrimo artista francese Henri de Toulouse-Lautrec nel 1891, anno in cui realizzò una locandina per il Moulin Rouge. Influenzato dalle stampe giapponesi, che ammaliavano gli artisti negli ultimi decenni del XIX secolo, tra cui anche Van Gogh, creò uno stile personale e riconoscibile in cui spiccava il disegno stilizzato caratterizzato da una marcata linea di contorno e superfici di colore uniforme, che si sovrapponevano creando la profondità nello spazio. Le sue litografie ritraevano la vita notturna della Parigi della Belle Époque e raccontavano la vita degli artisti, musicisti e intellettuali che popolavano i locali parigini dell’epoca.

Le opere di Toulouse-Lautrec diedero, quindi, un impulso agli artisti a pensare il manifesto teatrale come un dipinto, un disegno e, alla fine del XX secolo e all’inizio del XXI, come un esempio di design grafico e di fotografia.

I maestri della scuola polacca
Sono delle opere d’arte anche i manifesti esposti fino al 19 maggio presso la Galleria Kortil di Fiume, nell’ambito del Festival delle Piccole scene, che si conclude oggi nella Casa croata di Cultura (HKD) di Sušak. Selezionati da Zenon Butkiewicz, i lavori compongono la mostra intitolata “Volti, maschere, attrezzi…”, nell’ambito della quale sono esposti manifesti realizzati da maestri della scuola polacca di questa particolare forma d’arte dalla metà del secolo scorso fino al giorno d’oggi. Il percorso espositivo propone lavori di artisti affermatisi in questo campo nella metà del secolo scorso, il cui lavoro è stato portato avanti dai loro successori. Sono proposti anche lavori di artisti che hanno debuttato all’inizio di questo secolo.

L’aristocrazia del teatro
I manifesti presentati pubblicizzano una serie di tragedie e commedie del grande William Shakespeare, di cui i più ricorrenti sono quelli per “Macbeth”, “Re Lear” e “Richard III”. Le opere del più celebre drammaturgo di tutti i tempi sono un’inesauribile fonte di ispirazione in tutte le forme d’arte e nei manifesti presentati alla mostra vengono elaborati in maniera ingegnosa i loro vari significati. Come spiega Zenon Butkiewicz, il manifesto è l’aristocrazia del teatro. Esso non possiede alcuna qualità utilitaria e sceglie da solo il tema e il modo in cui desidera esprimersi. Egli è – prosegue il curatore – lo specchio nel quale si riflettono l’opera letteraria e lo spettacolo teatrale. “L’autore del manifesto suggerisce la direzione nella quale lo spettacolo andrebbe interpretato, ma stimola pure alla ricerca di una risposta personale nascosta nello spazio tra il dramma e lo spettacolo”, sottolinea Butkiewicz.

Gioco con il simbolismo
I manifesti permettono agli artisti di giocare con il simbolismo e di sperimentare con una vasta gamma di tecniche artistiche al fine di comunicare l’idea dell’opera teatrale in maniera sintetica. Come rileva Butkiewicz, le opere esposte sono state create nell’arco di quasi sessant’anni, il che è visibile anche nelle tecniche utilizzate. I manifesti di Jan Lenica e Marcin Mroszczak sono caratterizzati dal grafismo e da un approccio pittorico al tema, mentre successivamente gli artisti utilizzano il design grafico e la fotografia come mezzo principale per la realizzazione della loro idea. Dal punto di vista dell’esecuzione tecnica, dell’immaginazione, del simbolismo e della potenza d’espressione, spiccano i manifesti di Wiesław Wałkuski, in cui l’autore esprime il tema dell’opera in maniera estremamente efficace con un’espressione prettamente figurativa. Particolarmente forte nel suo simbolismo è il manifesto per “Giulio Cesare”, in cui il volto dell’imperatore, decorato con una corona d’alloro dorata e composto di blocchi di pietra, a piano a piano si sgretola.
Altrettanto “forte” e al contempo semplice, è il manifesto di Mariusz Fransowski e Paweł Bołtowicz per “Richard III”, che delinea la figura di un uomo incoronato con una semplice impronta lasciata da una mano (senza il pollice) insanguinata, dove le dita simboleggiano la corona. Si tratta in questo caso di un messaggio chiaro e potente, ottenuto con pochi, ma efficaci, mezzi. Ed è proprio questa capacità di dire e suggerire molto con poco ciò che rende l’arte del manifesto così affascinante.

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