Architettura: arte e ideologia

All’IRCI di Trieste sono stati presentati i risultati della ricerca condotta da studiosi sloveni, croati e italiani racchiusi nel volume a cura di Paolo Tomasella, il quale si è soffermato sulla questione dei confini tra Fiume e Sušak

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Architettura: arte e ideologia

Che cos’è l’architettura se non una forma d’arte applicata all’edificazione, alla trasformazione degli spazi urbani con varie destinazioni: industriali, urbane, abitative, sociali, culturali e sportive. In ogni epoca questa espressione artistica ha acquisito aspetti diversi a seconda dei luoghi in cui si è sviluppata e della sua capacità di diffondersi. Tra la Prima e la Seconda guerra mondiale in Italia si confermò il razionalismo, che si rifaceva al modernismo internazionale. Espressione di questo furono i grattacieli ricoperti di mattoni rossi, come quelli che venivano costruiti a Chicago, per fare solo un esempio di cui c’è traccia a Trieste, in un edificio di via Donota e del grande palazzo sulle rive, progettato a fine anni Venti dal Berlam. A Fiume l’architetto triestino Nordio edificò la Casa Albori, alta 53 metri, simbolo del razionalismo fascista, rifacentesi a quel concetto di modernismo che permeava tutta la cultura architettonica dell’epoca.

 

Documentazione storica e sociale

Ma cosa centra la politica con tutto questo? È la domanda che si sono posti i redattori del volume presentato all’IRCI di Trieste “L’architettura contesa. Esperienze del Moderno nella Venezia Giulia”, a cura di Paolo Tomasella e realizzato da Francesco Krecic, Daina Glavočić e Julija Lozzi Barković.

Il lavoro è frutto di una ricerca condotta da studiosi sloveni, croati e italiani “svolto senza pregiudizi, documentato anche dal punto di vista storico e sociale”, come ha ricordato nella presentazione Franco Degrassi, presidente dell’IRCI, “per dare una visione più ampia della questione dei semplici aspetti tecnici e architettonici. Se è vero che l’architettura è stata utilizzata dalle dittature per identificarsi, è altrettanto vero che i risultati sono rimasti e vanno oltre l’ideologia. Si tratta pertanto – ha concluso Degrassi – di non demonizzare le opere, ma di studiarle e capire come si integrano nella cultura nuova, per un futuro condiviso anche sulla via della loro conservazione, per aggiungere un mattone importante nella conoscenza di queste terre e delle genti che vi abitano”.

Confini e identità nazionale

Paolo Tomasella nella sua esposizione ha puntato immediatamente il dito sulla questione dei confini che, per quanto riguarda Fiume, va indietro nel tempo nella divisione tra questa e Sušak e nella conflittualità che si verificò tra la parte italiana e quella croata. Nella Venezia Giulia si era manifestato il bisogno di un’identità nazionale durante il fascismo e nel tentativo di cancellarne le tracce nel dopoguerra durante l’epoca di Tito. Un esempio: la grande stella rossa sul grattacielo di Fiume, che non cambiava l’architettura dello stesso, ma ne marcava una diversa identità. Ci è voluto il giusto tempo – ha proseguito Tomasella – per prendere distanza dagli eventi di quegli anni. Oggi viviamo in un contesto europeo ed è cambiata la visione generale. La Sovrintendenza croata ha vincolato l’abitato di Arsia per evitare le trasformazioni che stavano avvenendo in modo confuso”. La città mineraria del 1937, per inciso, fu costruita dal regime fascista in base al progetto dello studio Pulitzer di Trieste. L’abitato, d’impronta razionalista, aveva i principali servizi: scuole, ospedale, campo sportivo, ufficio postale, cinema e perfino un albergo. “Si è compreso – ha proseguito Tomasella – quanto fosse importante quel modello nuovo di città, come le edificazioni avessero destinazioni, frutto di uno sviluppo sociale che esigeva risposte: basti porre a confronto i mercati coperti che furono costruiti in quegli anni. Le città diventavano luoghi di lavoro e dell’abitare”.

Il Grattacielo di Fiume

Il rinnovo degli anni Trenta

“Nel ‘38 Fiume approvò un piano regolatore – ha ricordato la prof.ssa Julija Lozzi Barković – con l’obiettivo di risanare la città vecchia. La città portuale, come Trieste, aveva edifici settecenteschi, era edificata in orizzontale più che in verticale. Negli anni ‘30 si cercano nuove destinazioni, si costruiscono i viali destinati ai lavoratori portuali, viene risistemata la zona della stazione, costruiti palazzi residenziali nell’area del littorio. A Sušak nello stesso periodo si sviluppano pure i temi sociali con la Casa croata di cultura, in competizione con la città italiana. Anche lo sport ne usufruisce; vengono realizzate la Casa dello Sport a Fiume e il Club Sokol croato Sušak-Rijeka”. Un altro terreno di confronto sono i siti della memoria di cui sono esempio il Tempio votivo a Cosala, l’ossario di Tersatto, il monumento a Gortan di Vermo e i monumenti dell’Isonzo. “Cosala nel 1934 aveva celebrato i 10 anni di Fiume italiana, nel 1957 Tersatto significò i 10 anni dalla fine della guerra e il ricordo degli eroi jugoslavi – ha riferito la storica dell’arte Daina Glavočić -. Due cime del territorio divise nelle vittime delle guerre, la convergenza di diverse esperienze architettoniche in uno stesso luogo, ma si evidenzia anche una tensione verso la modernità, verso l’uso di nuovi materiali come il cemento armato, la sensibilità verso temi come la salute, che coinvolge tutto il centro Europa con la costruzione dei sanatori”.

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