INTERVISTA Marija Stevanović. «Faccio meno fatica a guidare il pullman che l’auto»

Intervista alla prima conducente donna della Pulapromet

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INTERVISTA Marija Stevanović. «Faccio meno fatica a guidare il pullman che l’auto»
Pronti, si parte. Foto: DARIA DEGHENGHI

È proprio una folata d’aria fresca questa prima presenza femminile – di fatto inedita – tra le file dei conducenti di autobus della società di trasporti pubblici urbani, Pulapromet. Il suo nome è Marija Stevanović, è laureata di primo grado all’Università di scienze applicate, studentessa di informatica del corso specialistico, madre di tre figli in età scolastica e ora, sì, anche questo, conducente d’autobus. Marija è in servizio da meno di due mesi e non è passata inosservata. Da un capo all’altro della città, di autobus in autobus, di fermata in fermata, i passeggeri esultano. Certamente nelle grandi città la donna ai comandi del tram, del treno e dell’autobus non rappresenta assolutamente una novità (benché il gentil sesso sia sempre in nette condizioni d’inferiorità numerica), ma a Pola è pur certo e documentato che di donne al volante di un mezzo pubblico non se ne sono mai viste prima d’ora. Dovere di cronaca c’impone dunque un’intervista che non tarderà a rivelarsi molto piacevole per l’inesauribile grinta e il buon umore dell’intervistata, che infatti esordisce manifestando tutto il suo stupore per quella che ritiene essere una fama assolutamente immeritata.

Insomma, come si vive questa condizione di primato assoluto?
“Il primo mese a bordo del pullman è stato inconcepibile, tanto più che di carattere sono piuttosto ritirata. Fatto sta che entrando al bar mi circondavano, mi facevano i complimenti, gli auguri, le congratulazioni, e io lì a non capirci nulla. Naturalmente io non avevo annunciato a nessuno la mia entrata in servizio, e mi guardavo bene dal lasciare la stazione in divisa, anzi, me la toglievo sempre per indossare l’abito… civile, e tuttavia la notizia sembra essersi diffusa a macchia d’olio. Poi le manifestazioni di giubilo in autobus, veramente incredibili… Tutti lì a dare il benvenuto e alcuni anche a dire qualcosa in più. Qualcuno ha esclamato: ‘Sapesse quanto l’abbiamo attesa…’ e un altro: ‘Ci hanno detto che aveva gli occhi azzurri…’ e poi fuori servizio il padre che dice teneramente al figlioletto: ‘Hai riconosciuto, vero, la signora autista?’. Insomma, manifestazioni di sorpresa, entusiasmo e stupore che mi hanno lasciata completamente spaesata e costretta a chiedermi: ‘ma cosa diavolo ho fatto per meritare tutte queste attenzioni?’”.

Come mai ha deciso di guidare l’autobus? Ammetterà che non è la prima scelta di carriera per una donna.
“È stato un momento, mi creda. Tutto quello che faccio lo faccio con spontaneità. Un giorno mi sono trovata a leggere l’annuncio della società dei trasporti pubblici che diceva: ‘Vieni a fare l’autista, spesiamo l’esame di guida’… La mia prima reazione è stata negativa. ‘Ma che faccio? Mi metto a guidare l’autobus? Ma stiamo scherzando?’. Nel giro di un paio di mesi è cominciata a frullarmi per la testa l’idea che sarebbe stata una cosa stupefacente proprio perché inattesa: ‘Pensa –, mi dicevo – se lo facessi sul serio?’. Sarebbe proprio uno spasso. ‘Già, ma chi mai mi darebbe una corriera in mano? Dico proprio a me? Non, non è possibile’. Insomma, sulla scia di questi dialoghi interiori mi sono lasciata andare senza più pensarci”.

Ma che mestiere ha fatto fino ad allora?
“Studiando, con tre figli piccoli a carico, ho sempre fatto solo lavori precari. Ora che i ragazzi sono più grandi e relativamente autonomi, e ora che ho preso la laurea magistrale, mi sono permessa finalmente di avere un lavoro a tempo pieno. Questo qui, di conducente. E non c’è bisogno di dire quanto ho reso fieri i miei ragazzi. I bambini hanno indossato la tessera dell’autobus al collo e ci hanno girato a scuola senza più togliersela di dosso. Era assurdo, lo ammetto, ma per loro anche questa è stata un’avventura assolutamente fuori dal normale. Quanto ai lavori che ho fatto, ne ho fatto davvero tanti, oltre a studiare, ovviamente. Ho fatto l’impiegata alla reception a Pomer, poi l’autista delle consegne di cibo a domicilio, ma anche ripetizioni per studenti rimandati, pulizie delle villette turistiche, di tutto, mi creda. Le consegne a domicilio sono state una decisione necessaria perché all’epoca i bambini erano piccoli e io ancora studentessa, per giunta divorziata con l’ex marito fuori città. In pratica quello era l’unico lavoro col quale avessi potuto conciliare tutti i miei impegni. Ora è diverso. Ora posso permettermi la mezza giornata di lavoro senza interruzioni. Con la società dei trasporti ho un contratto che scade il 31 dicembre, e vorrei restare, se mi vorranno ancora”.

Non abbiamo dubbi. Piuttosto, che cosa dicono i colleghi uomini?
“Nessun problema, anzi, e poi, anche al politecnico sono stata l’unica donna. Ci ho fatto l’abitudine, sono… recidiva. È vero che all’inizio si mettevano in riga per fiutare la situazione. Quando entravo in rimessa all’improvviso il mormorio finiva per lasciare spazio al silenzio. Ma è durato pochissimo. Appena mi hanno conosciuta hanno lasciato cadere le pastoie e via a parlare ‘da uomini’ come si è sempre fatto. Le risparmio i dettagli… A quest’ora siamo solo colleghi e non uomini e donne. Si discute liberamente, senza freni”.

Prendere la patente è stato difficile?
“Beh, le regole della precedenza sono sempre quelle, non è che si studia altro, per la parte teorica, almeno. Quindi si parte con questo vantaggio. Ma per salire a bordo e mettere in moto il mezzo, questo è stato già un altro paio di maniche. L’automobile e l’autobus sono ovviamente due cose affatto diverse. Nel pullman, che è alto, abbiamo una migliore percezione della strada, ma poi ci sono altre quantità da assumere. Cambiano la distanza di sicurezza, lo spazio di frenata, il mezzo è pesante, il cambio mastodontico. La prima volta che ho cercato di inserire la retromarcia è stato un supplizio. Fortunatamente gli autobus moderni hanno tutti il cambio automatico e non abbiamo alcun problema di marce, ma col mezzo attempato della scuola guida c’era da fare delle belle sudate. Non per niente il mestiere è stato maschile per lungo tempo. Ora che sono passati due mesi, le dirò, faccio meno fatica a guidare il pullman che l’automobile, anzi, è l’auto a darmi più pena in questo momento. Sapesse le figuracce che faccio in macchina! Per svoltare mi metto a ruotare il voltante con veemenza con mia madre accanto a rimproverarmi: ‘Ma che diamine fai tutti questi giri di volante, sei mica in autobus!’. Ora in macchina ne combino di tutti i colori, investo i cordoli stradali, non sento che il motore si spegne anche due volte di seguito. Chi mi vede così spaesata in auto è un bene che non sappia che sono conducente d’autobus di professione”.

Come ci si adegua invece ai turni? Ne avete per tutto il giorno e la notte?
“Veramente la nuova linea notturna non è un problema. È solo una e le partenze sono poche, si comincia alle 23 e si finisce alle 3, ma c’è solo una partenza all’ora e il resto siamo in attesa. Poi, le nostre giornate lavorative iniziano alle cinque, e quindi siamo allenati a fare i turni. Si lavora sei giorni a settimana, uno è libero, l’orario di lavoro giornaliero è di sette ore, ma è chiaro che non siamo al volante sette ore al giorno. Ci sono le attese, le pause, gli intervalli. Per esempio, viaggiamo 45 minuti, poi per 25 minuti siamo fermi. Oppure un’ora al volante e 40 minuti a terra. In altri casi, dipendentemente dai tragitti e dalle linee, le pause sono anche di un’ora è mezza. Su sette ore di servizio, la metà circa sono di corse effettive, e l’altra metà sono di attesa. Poi per chi abbia finito di viaggiare la sera tardi, il prossimo turno non parte se non dopo otto ore di riposo, in modo che l’autista abbia tutto il tempo per recuperare. Ma queste sono norme prescritte dalla legge e noi non abbiamo scelta. Il turno peggiore è probabilmente quello che inizia alle 11 e termina alle 18 della sera. Sono sempre le solite sette ore di servizio, ma occupano tutto il giorno che di fatto è come se fosse un giorno perso. Ma è solo una delle possibilità”.

Ha già un tragitto preferito, una linea del cuore?
“Da quanto ho capito gli autisti dei mezzi pubblici si dividono tra quelli che amano lavorare di volante e quelli che invece preferiscono spingersi nelle viuzze strette dei centri storici. Ho scoperto di appartenere alla seconda classe perché amo molto cacciarmi nelle stradine anguste di Gallesano, Medolino, Monte Serpo. Ho decisamente un debole per Monte Serpo con la sua rete stradale tortuosa e impossibile. Più difficile il passaggio, più grande l’emozione. Poi c’è un’altra distinzione che in realtà è la sua stessa negazione, e dice: ci sono autisti che hanno già sbattuto contro un palo e quelli che devono ancora sbatterci. Insomma, nessuno è mai arrivato alla pensione senza investire il povero palo, che per definizione ha i giorni contati. Io non ci sono ancora arrivata, ma c’è tempo. Ogni cosa a suo tempo… A breve avremo un’altra assunzione femminile, per cui non sarò più l’unica donna in servizio. Ma sarò sempre la prima”.

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