Reti sociali e salute mentale giovanile

Nell’ambito delle Giornate della Facoltà di Filosofia ha avuto luogo il laboratorio «Tiktok dice che è ADHD!»

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Reti sociali e salute mentale giovanile
Rosanda Pahljina Reinić, Stela Košić e Ivona Sabol. Foto: GORAN ZIKOVIC

A detta del sito EpiCentro dell’Istituto italiano superiore di sanità (ISS), coordinato scientificamente dal Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute (CNAPPS) dello stesso, l’ADHD (acronimo di sindrome da iperattività/deficit di attenzione) consiste in un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato da iperattività, impulsività, incapacità a concentrarsi che si manifesta generalmente prima dei 7 anni d’età. La sindrome è stata descritta clinicamente e definita nei criteri diagnostici e terapeutici soprattutto dagli psichiatri e pediatri statunitensi, sulla base di migliaia di pubblicazioni scientifiche, nel “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali” (DSM – Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders)”, pubblicato dalla American Psychiatric Association e utilizzato come referenza psichiatrica a livello internazionale. Secondo lo scritto, l’ADHD può essere definita come “una situazione/stato persistente di disattenzione e/o iperattività e impulsività più frequente e grave di quanto tipicamente si osservi in bambini di pari livello di sviluppo”.

Si tratta, quindi, di una patologia molto seria che porta ad ansia, irrequietezza e incapacità a recepire correttamente le informazioni e la diagnosi dev’essere sempre stabilita clinicamente, determinata e seguita da un équipe di esperti, mai un’autodiagnosi, purtroppo sempre più messa in pratica dalla popolazione giovanile della tanto discussa Gen Z. Come mai e da dove deriva questo trend?

Hashtag ADHD
In effetti, capirlo è semplice. Coloro che sono avvezzi al mondo dei social avranno notato il recente aumento di Reel e Tiktok legati all’hashtag ADHD, nonché i miliardi di visualizzazioni a riguardo. Osservandoli, sono moltissimi i giovani che affermano di riscontrare gli stessi sintomi della patologia e si convincono di esserne affetti. Un’autodiagnosi non si può sicuramente accettare, ma apre degli spunti di riflessione che fanno capire come mai alcuni ragazzi si identificano in un disturbo.
In tale contesto, per comprendere se questa impennata da sindrome da ADHD sia normale, nell’ambito della Settimana che fino al 10 maggio celebrerà le Giornate della Facoltà di Filosofia, ha avuto luogo il laboratorio “Tiktok dice che è ADHD!”, coordinato dalle studentesse del secondo anno di psicologia Ivona Sabol e Stela Košić, mentorate dalla professoressa Rosanda Pahljina Reinić, dell’Ufficio per il supporto accademico (Dipartimento di Psicologia).
“Il workshop è teso allo studio dell’influenza delle reti sociali sulla salute mentale dei giovani e sull’ampiezza dei contenuti messi in piazza sulle varie piattaforme. Negli stessi è molto difficile determinare la veridicità delle informazioni riportate, per cui spesso i ragazzi effettuano l’autodiagnosi e non si affidano agli esperti per una valutazione e un colloquio professionali, il che può portare a serie conseguenze”, ha riferito Sabol.
Sulla scia delle sue affermazioni Košić è dell’idea che il fenomeno vada osservato da entrambe le parti, nel senso che coloro che ricercano e si fermano a seguire e ad ascoltare i video relativi alla succitata patologia sicuramente soffrono di qualche disturbo, non se lo inventano soltanto per il gusto di farlo. Bisognerebbe, però, consapevolizzarli del fatto che etichettarsi l’ADHD senza il parere degli specialisti non va assolutamente bene e può essere pericoloso.

Aspetti positivi e negativi
In concerto con la tematica affrontata, le studentesse hanno proposto ai colleghi, suddivisi in due gruppi di lavoro, di mettere su carta in forma anonima gli aspetti positivi e negativi del fenomeno. Tra i vantaggi sono stati riportati la riduzione del senso di solitudine, la possibilità di accesso a un’abbondante quantità di informazioni, il coraggio di cercare un aiuto professionale, una più semplice reperibilità degli esperti attraverso i social network. Quali aspetti negativi invece i ragazzi hanno segnalato una gonfiatura dei sintomi e la ricerca di un senso di unicità, informazioni scarse e spesso false, l’autodiagnosi, la stigmatizzazione dell’individuo, l’ipocondria, come pure il sentirsi isolati e la chiusura in sé stessi.
A riguardo dei contenuti trattati, la docente Rosanda Pahljina Reinić ha spiegato che dall’anno scorso il Dipartimento di psicologia in collaborazione con il suddetto Ufficio ha organizzato un ciclo di laboratori i quali, seguiti da un mentore, preparano gli studenti di psicologia dei corsi di laurea magistrale ad approcciarsi e ad affrontare contenuti simili. “Ciò è importante per il miglioramento della qualità degli studi. Inoltre, sempre per ciò che concerne gli workshop, è nostra intenzione tradurre le stesse in forma di articoli scientifico-popolari da pubblicare sul portale svejeok.hr, di modo che i contenuti siano accessibili anche a un pubblico più ampio”, ha ancora aggiunto l’esperta.

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