La tolleranza e la virtù sociale della ragionevolezza

A colloquio con Elisabetta Galeotti, Professoressa di Filosofia Politica di fama internazionale, intervenuta recentemente a Fiume alla Summer Scholl

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La tolleranza e la virtù sociale della ragionevolezza
La Professoressa Elisabetta Galeotti. Foto fornita dall'intervistatrice

A giugno, la Prof.ssa di Filosofia Politica presso l’Università del Piemonte Orientale, Vercelli, Elisabetta Galeotti è stata ospite della Facoltà di Studi Umanistici e Scienze Sociali dell’Ateneo di Fiume in veste di Keynote Speaker alla Summer School Equality and Citizenship finanziata dalla Croatian Science Foundation. Elisabetta Galeotti è una filosofa politica italiana di fama internazionale, i cui lavori indagano primariamente il campo dell’etica pubblica, con un’attenzione particolare alla virtù della tolleranza, alla gestione dei conflitti in contesti multiculturali e a una diagnosi delle storture dei processi collettivi di produzione della conoscenza e di decision-making. Qui alcune domande che le sono state rivolte:
Durante la Summer School presso l’Università di Fiume sono stati discussi alcuni degli snodi teorici fondamentali della tua carriera filosofica. Quali hanno, secondo te, più rilevanza per l’oggi?
Non è facile rispondere perché in realtà quasi tutte le tematiche che ho affrontato nel corso della mia attività di ricerca sono rilevanti nelle società democratiche contemporanee. Lo è il tema dell’info-sfera drogata di fake news che inquinano la sfera pubblica e hanno effetti deleteri sulla polarizzazione politica. Ma continua a esserlo il tema della convivenza pacifica e rispettosa fra differenze culturali, linguistiche, religiose. Infine il tema della mia ricerca attuale, ossia quello della giustizia fra generazioni, mi sembra toccare il nodo centrale dell’invecchiamento della popolazione nelle nostre società e i problemi che ciò comporta sulla sostenibilità del welfare.
L’importanza delle differenze
Tra i tuoi contributi più importanti al dibattito filosofico troviamo Toleration as Recognition (Cambridge University Press, 2002) in cui hai difeso una concezione specifica di tolleranza come riconoscimento, legandola alla realizzazione dell’ideale dell’eguale rispetto. Ci puoi fornire una breve descrizione della tua proposta filosofica?
A scatenare il mio interesse per il tema della tolleranza nella sua connessione con conflitti pubblici è stato “l’affair du foulard”, esploso nel 1989 in Francia, proprio all’inizio della mia ricerca. Cercando di dare un senso al caso, mi sono resa conto che la teoria tradizionale della tolleranza era insufficiente, sia per comprendere la posta in gioco, sia per dare una risposta corretta ai soggetti coinvolti. La dottrina tradizionale interpretava la questione come una questione di libertà individuale, di libertà di espressione contestata. Ho ritenuto che tale interpretazione fosse alquanto riduttiva, perché non teneva conto dell’asimmetria di potere e status tra i membri dei gruppi maggioritari e minoritari all’interno delle società multiculturali. Per rispondere adeguatamente a questo caso, ho cercato di ampliare la concezione di tolleranza che oggi riguarda in generale lo spazio pubblico e d’altra parte proponendo una concezione non più negativa, come sopportazione o non-interferenza, bensì come riconoscimento delle differenze in esame, finché non ci sia danno a terzi. Ho argomentato che il concetto di tolleranza permette questo allargamento senza perdere nessuno dei suoi tratti caratterizzanti: la tolleranza può espandersi oltre la libertà individuale, verso l’uguaglianza di libertà e di rispetto. Sono tuttora convinta che la concezione della tolleranza come riconoscimento sia la più adatta a gestire un certo tipo di differenze nella nostra democrazia.
L’etica pubblica
Applicando la tua concezione di “tolleranza come riconoscimento” hai affrontato tre problemi contemporanei di etica pubblica, ossia il conflitto riguardo al matrimonio egualitario esteso alle coppie dello stesso sesso, l’affaire du foulard nelle scuole francesi e il caso limite dell’opportunità o meno di tollerare espressioni razziste. Aggiungeresti a questa lista altri problemi contemporanei che la tua concezione della tolleranza potrebbe affrontare con successo?
Penso che la tolleranza come riconoscimento funzioni bene in tutti i casi che hanno a che fare con conflitti identitari legati a gruppi che, a causa delle loro differenze, non godono del pieno status di cittadini. Funziona bene in tutti i casi in cui ci troviamo di fronte a differenze che risultano antipatiche, persino disprezzate dalla maggioranza, e che mettono i loro portatori in una condizione di subordinazione, oppressione, invisibilità. Per dirla diversamente, ogni volta che ci troviamo di fronte non a un semplice disaccordo su valori e opinioni, ma a un disaccordo che s’intreccia con disuguaglianze ascritte e di status, allora abbiamo bisogno di tolleranza come riconoscimento. Se la differenza in questione non causa alcun danno, dovrebbe essere tollerata pubblicamente, ma non solo attraverso la cecità pubblica nei confronti delle differenze sociali, ma anche attraverso il riconoscimento dei loro portatori come uguali. Dopo la pubblicazione del libro, nel 2002, ho analizzato altri casi: il caso della circoncisione femminile simbolica, le polemiche sulla costruzione di moschee nelle città europee con un forte impronta migratoria, la discussione sull’attentato a Charlie Hebdo e, ultimamente, il caso di Saman Abbas, una ragazza di origine pakistana che viveva in Italia, uccisa dalla sua famiglia per aver rifiutato il matrimonio combinato dalla sua famiglia. Tutti i casi richiedono innanzitutto di essere adeguatamente compresi e contestualizzati secondo l’approccio dell’etica pubblica. La mia proposta di fondo è che essere riconosciuti come partner morali costituisce la dimensione non negoziabile dei conflitti identitari, mentre i provvedimenti concreti possono sempre essere oggetto di negoziazione, laddove le ragioni pubbliche e istituzionali a supporto di tali negoziazioni politiche rispettino determinati criteri normativi e valori liberali di sfondo.
Libertà e dominio
L’orbita dei concetti associati alla tolleranza comprende concetti politici essenziali, che vengono spesso dibattuti sui mass media e nei dibattiti pubblici. Pensiamo, ad esempi ai concetti quali dignità, coercizione, il principio del danno a terzi, i disaccordi di valore, il fondamentalismo, l’autorità, il potere, il dominio, la non interferenza, la neutralità, l’equità, la ragionevolezza, l’autonomia, il rispetto (reciproco), il riconoscimento e, infine, la diversità stessa. Quali di queste (o di altre) idee ritieni non sufficientemente esplorate in relazione alle problematiche più acute delle nostre democrazie?
A mio avviso, i concetti che vengono meno esaminati in relazione alla tolleranza nella gestione dei conflitti reali sono il potere e il dominio. Il motivo è che la tolleranza viene tradizionalmente concettualizzata come una questione di libertà di espressione individuale. In questo senso, c’è ovviamente il potere del potenziale agente tollerante di interferire con il comportamento non gradito, ma la questione più profonda del potere è lasciata inesplorata. La questione più profonda del potere, a mio avviso, è il potere della maggioranza della società di definire la gamma degli standard sociali ritenuti “normali”, “accettabili”, “legittimi”, tra i quali gli individui possono scegliere liberamente, senza essere ostracizzati, umiliati, emarginati e così via. Ora, se ammettiamo che le differenze che danno origine a questioni socialmente salienti di tolleranza sono quelle al di fuori dello “standard normale”, allora possiamo cogliere il problema di fondo di chi ha il potere di dichiarare unilateralmente quali preferenze e caratteristiche identitarie e non siano opzioni legittime all’interno di questo paradigma contestuale di normalità, e chi invece è soggetto a tale potere senza poter influire a sua volta sulla determinazione di questi standard almeno in parte escludenti.
Le dinamiche di potere
Nella tua presentazione durante la Summer School hai proprio investigato le dinamiche di potere asimmetrico tra gruppi sociali a partire da un’analisi della virtù sociale della ragionevolezza. Puoi dirci qualcosa sull’importanza di questa virtù nel contesto dei conflitti politici contemporanei?
La ragionevolezza è l’atteggiamento di chi si confronta con gli altri riconoscendo loro lo status di eguali sul piano morale e politico, e cerca pertanto una soluzione al disaccordo che sia basata sulla tolleranza e il rispetto. In una società come le nostre attraversate da profonde diseguaglianze non solo economiche, ma di status, legate alla propria appartenenza a un genere, a una religione, a un’etnia o a una cultura diversa, praticare la ragionevolezza diventa difficile per chi si trova in una posizione di inferiorità, e assume il sapore di condiscendenza per chi si trova in posizione privilegiata. Cambiare questo stato di cose in direzione della giustizia richiede da parte degli attivisti ragionevolezza nel senso ulteriore di cercare di realizzare coalizioni ampie, cedendo a volte su alcune richieste, per favorire un ampliamento del fronte che si propone di muoversi verso una società più giusta.
La filosofia fiumana
La Summer school a cui hai partecipato a Fiume ha il merito di garantire un confronto di idee e tematiche tra ricercatori di provenienze geografiche e culturali molto differenti, nonché permettere a giovani ricercatori di confrontarsi con accademici con una lunga esperienza. Inoltre, vi è una duratura collaborazione tra l’Università di Fiume e importanti istituzioni accademiche italiane. Quali potrebbero essere possibili collaborazioni future?
La Summer School è da anni un luogo dove il confronto delle idee e lo scambio fra ricercatori di Paesi ed età diverse avviene proficuamente. So che la Facoltà di Filosofia di Fiume ha intrapreso altre importanti iniziative, come gli scambi Erasmus+ tra studenti e tra docenti, e anche le fellowships che consentono a giovani studiosi stranieri di soggiornare per un periodo di studio e scambio presso la Facoltà. So che diversi giovani studiosi italiani che collaborano con me hanno tratto profitto da questa occasione. Altre iniziative che vedo sono scambi di dottorandi e un sistema di co-tutele per i dottorandi stessi di Fiume che così trascorreranno un periodo all’estero e avranno un doppio titolo alla fine del loro percorso. Bisogna poi esplorare il vasto mondo delle opportunità delle ricerche europee che sono sempre fondate su partnership e network. In ogni caso già così la filosofia di Fiume si è conquistata un posto d’onore fra i filosofi italiani più internazionalizzati.

*Professoressa di Filosofia politica

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